TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

mercoledì 8 aprile 2009

Editoriale. Terzo Paesaggio. Parte seconda




Terzo paesaggio parte seconda


“D'altronde, neppure partecipare sembra esente da rischi se teniamo nella debita considerazione la scienza delle impronte digitali e la malizia delle applicazioni statistiche. A che pro scegliere, infatti, se la situazione non consente la scelta?”
Ernst Junger

“ Cos'è il Terzo Stato?
Tutto.

Cosa ha fatto finora?
Niente.

Cosa aspira a diventare?

Qualcosa.”

Emmanuel Joseph Seyès

I temi sollevati nel nostro primo intervento sono soltanto accennati. Occorre entrare nel dettaglio.
Prima di tutto riprendiamo il discorso della partecipazione al processo di definizione del Parco della Piana e ad un possibile percorso di informazione-formazione-azione che potrebbe attivarsi grazie al contributo dei cittadini.
Anche se la partecipazione concessa e programmata può lasciare scettici e sollevare non poche obiezioni, siamo dell'idea - lo ripetiamo – che l'invito del Garante Regionale debba indurci a raccogliere le forze dell'ambientalismo e di tutti i gruppi civici che sono interessati alla difesa del territorio per proporci degli obiettivi comuni.
Ma così come abbiamo fatto a proposito dei paesaggi, tenteremo un'analoga classificazione anche per i cittadini, in quanto abitanti e fruitori del parco e come soggetti impegnati nel processo partecipativo.
In questo caso useremo il termine illuminista di Stato per definire una parte di popolazione che non è una classe né una corporazione economica ma semmai una parte biologica della società.
Il Primo Stato è costituito da coloro che fanno parte delle istituzioni, dal Sindaco fino all'ultimo consigliere di circoscrizione, da chi governa i comuni ma anche le Asl, le Province, gli uffici scolastici provinciali, le società partecipate, i funzionari dei vari settori dei pubblici servizi.
Il Secondo Stato sono tutti i cittadini che pur essendo, per scelta, per caso o per necessità, fuori dal palazzo, sono riuniti in realtà associative riconosciute, quali partiti, associazioni, circoli, chiese.
Il Terzo Stato invece si può ancora una volta definire l'incolto. Sono tutti i cittadini solitari o sociali, a cui è difficile attribuire un'identità ideologica omogenea, che non hanno tessere né certificati di adesioni formali. Fanno parte di questo segmento della società anche gli appartenenti a gruppi volontari di azione e di protesta, i cosiddetti comitati, e coloro che si aggregano sulla base di problemi contingenti e occasionali o che partecipano ad eventi politici per loro singolo interesse. Sono Terzo Stato i molti soli, gli autodidatti, gli indignati e gli scettici. Molti sono disinformati. Forse moltissimi di loro lo sono.
E' chiaro quindi che la grande scommessa della partecipazione, il vero scopo di essa è quello di raggiungere il Terzo Stato e portarlo a ragionare insieme agli altri due.
Il Primo e il Secondo Stato non hanno bisogno di essere invitati.
Il Primo perchè è il gestore del territorio e non sente la necessità di confrontarsi con altri soggetti (anzi, il confronto fa aumentare le ore di lavoro e rende più insicuro il raggiungimento di obiettivi a cui si punta) ma ne è obbligato.
Il Secondo non ha bisogno di inviti perchè è già di per sé votato alla partecipazione. L'essenza stessa dei fini associativi è quella di partecipare, esserci, contare. Vi è da dire anche che Primo e Secondo stato sono spesso intersecati e normalmente chi fa parte delle istituzioni fa anche parte di un partito o di un raggruppamento di settore. Ma non coincidono.
Invece gli appartenenti al terzo Stato non hanno mai una doppia identità; essi possiedono molto raramente dei canali aperti con l'istituzione o con l'associazionismo.
Abbiamo fatto questa apparente digressione, sia per cercare di dare un'identità teorica agli argomenti, che per far capire quale sia, anche in questo caso la frontiera da conquistare.

Torniamo al Parco.
Nel primo documento abbiamo cercato di evidenziare l'esistenza di tre tipi di territorio all'interno della famosa entità-parco ancora tutta da costruire.
Li abbiamo chiamati: paesaggio urbano (costruito), paesaggio rurale (coltivato) e paesaggio incolto (residuale non sfruttato).
Il Terzo Paesaggio, pur standoci a cuore anche il secondo e, per motivi diversi anche il primo, è l'essenza del Parco. E questo noi vorremmo che fosse un'idea il più possibile condivisa.
Se l'incolto fosse considerato come un avanzo da continuare a consumare, non capiamo a cosa possa servire il progetto che siamo chiamati a costruire.
Occorre quindi mettere nell'ordine giusto i campi su cui si opera perchè, secondo noi, questa operazione non ha senso se costituisce solo un nuovo livello burocratico per coordinare la costruzione di piste ciclabili, o per conservare una, massimo due, piccole, aree protette. Potremmo qui allietare la lettura con lo slogan: dieci, cento, mille Focognano! Ma anche in questo caso, le parole d'ordine non esauriscono la molteplice realtà dell'incolto. E' certamente importante che in pianura si moltiplichino le aree umide protette (biologicamente le più attive) e si cerchi di ricreare le condizioni per il passaggio e la sosta di palmipedi e trampolieri, ma sono importanti anche i luoghi abbandonati, i boschetti, i residui infraurbani, le aree dismesse -agricole e industriali-, dove la natura si reinventa.
Quindi, il nostro contributo deve essere innanzi tutto una forte spinta nella direzione della conservazione del territorio, dove non si svolge attività produttiva e dove non vi è costruito, né abitativo, né infrastrutturale. Anche quando siano spazi residuali, topologicamente incorporati nelle zone urbane.
A tale proposito è bene ricordare che la protezione del territorio incolto deve fare i conti con il meccanismo urbanistico della perequazione che, ad esempio a Prato, diventerà molto probabilmente la dinamica principale dello “sviluppo urbanistico”. E' evidente che i terreni infraurbani che si intende liberare all'interno della città densa, verrebbero scambiati con consumo di territorio incolto o rurale a favore di giardini coltivati fra le abitazioni.
Giardini pubblici e nuovi spazi aperti di socializzazione “open air”, come piazze o piazzali (si spera non parcheggi!), necessitano come il pane alla città densa e la loro funzione è tanto più importante, quanto più vengono progettati non solo in base alle esigenze umane, ma anche a quelle del movimento naturale di riproduzione e colonizzazione delle specie viventi. Se consideriamo giardini anche lastricati di cemento e bordature di siepi potate radicalmente due volte l'anno, allora pensiamo solo all'uomo. Se proviamo a dare spazio alla dinamica naturale delle specie viventi, allora il punto di vista cambia. Ma comunque li si realizzi, essi non potranno essere scambiabili con il territorio vergine, all'esterno o al limitare del costruito, laddove la vita si rinnova, si ricrea e fornisce sé stessa alle zone totalmente antropizzate.
Riassumendo, il Terzo paesaggio è per una regione, come dice Gilles Clement, quello che l'inconscio è per la mente. E non esiste vita senza l'inconscio.

Proprio per le sue caratteristiche di molteplicità e di diversità, l'incolto procura inquietudine e desiderio di sorveglianza. Se quindi lo portiamo alla luce e l'istituzione compie un'assunzione di responsabilità nei suoi confronti, occorrerà stabilirne uno statuto giuridico, dei confini, le proposte di vissuto positivo per le persone, il controllo e la sua carta di identità culturale – sia scientifica che antropologica.
Vi sono stati e probabilmente ci saranno anche in futuro, casi in cui il territorio incolto ha ospitato gruppi di marginali, per lo più migranti (africani, rom) che vi hanno insediato attività illegali. Il caso che meglio ricordiamo è accaduto ai margini del parco torinese della Pellerina. E' evidente che l'assunzione di responsabilità delle istituzioni, Stato ed Enti Locali, significa anche cercare di adeguare la pubblica sicurezza alle caratteristiche ambientali. Significa in termini molto spicci polizia a cavallo, in bici o dotata di automezzi adeguati; significa un corpo forestale funzionante e soprattutto la conoscenza dei luoghi.
Senza farsi irretire dal miraggio del controllo del territorio -che è un'illusione anche in città-, bisogna comunque capire che ogni ambiente ha le sue specifiche necessità di un sistema sociale di sicurezza pubblica.
L'importanza del Terzo Paesaggio all'interno di un territorio molto urbanizzato, come lo è in media quello europeo, e nello specifico, nel bacino dell'Arno, è immensa.
Noi abitanti del Primo Mondo siamo molto fermi nella nostra richiesta allo stato brasiliano di mantenere integra l'estensione attuale della Foresta Amazzonica, considerata universalmente una riserva di benessere per l'intero pianeta. Tanto ad essere disposti, come comunità internazionale, ad indennizzare la nazione sudamericana per il prezzo di un mancato sviluppo nelle aree del bacino del Rio delle Amazzoni.
Ma siamo altrettanto disposti a cercare di ricreare aree boschive di pianura, ad esempio nel Parco della Piana, più utili nel corto periodo agli abitanti, di quanto non lo sia direttamente l'Amazzonia?
Per sondare il terreno con le amministrazioni locali, si potrebbe partire da un elemento che a qualcuno può persino apparire scontato ma che invece si scontra con molti scogli culturali ed economici. Si tratta dell'abolizione di ogni permesso di caccia nelle zone comprese nel parco.
O più logicamente un accordo di tutti i comuni interessati, per un'abolizione completa dell'attività venatoria.
Noi pensiamo che l'abolizione della caccia sia assolutamente un prerequisito per la concretizzazione del progetto.

Per terminare questo breve excursus sul progetto “parco della piana”, vi è la necessità di riesaminare i termini della sua estensione territoriale. La percentuale che potrebbe mettere a disposizione Prato, secondo le attuali ipotesi, è molto superiore a quella degli altri comuni confinanti. Firenze rischia di mettere sul piatto poco più che una pista aeroportuale, una scuola per carabinieri e la cittadella viola - niente secondo paesaggio e del terzo pezzetti residuali -. Campi e Sesto, gli altri due soci, sembrano piuttosto riluttanti a cedere sovranità su terreni che potrebbero essere edificabili. E tutti sappiamo che gli amministratori toscani, di questi tempi si aggirano famelici in cerca di spazi da far fruttare. E' evidente che uno squilibrio in termini di estensione ma anche di qualità – e per qualità intendiamo la presenza di rurale e incolto- non invoglierebbe certo il comune maggiore azionista a consentire ai vicini di mettere bocca sul proprio territorio, senza effettivamente contribuire granchè in ettari di terreno.
La cosa che però ci appare paradossale è che, come andiamo sostenendo da due anni, il Parco dovrebbe estendersi nel Comune di Prato molto di più di quanto sia attualmente previsto . Mentre le attuali carte si fermano alle Cascine di Tavola, la nostra città dispone del vasto territorio infraurbano delle frazioni, che la cinge da sud a nord, passando per l'ovest. Questo territorio è la naturale prosecuzione di un vasto corridoio ecologico che non può e non deve essere escluso dal progetto, pena la sua marginalizzazione e l'assalto dell'espansione edilizia (per mezzo della perequazione), altrove respinta grazie proprio al parco.
Vista la vastità della “nostra” parte del Parco, non sarebbe allora più sensato pensare ad un parco pratese, ovviamente comprensivo di Gonfienti, con il bacino del Bisenzio, il parco archeologico e la tutela delle zone pedocolllinari di Pizzidimonte e Calvana, che girasse in senso orario attorno alla città densa fino ad arrivare a nord all'imbocco della Val Bisentina, ai piedi del colle de Le Sacca e del Borgo di S. Lucia?
Questi territori davvero ci danno il senso di un Parco e soprattutto in essi vi è molto da difendere dal punto di vista sin qui trattato del Terzo Paesaggio.
Concludiamo l'intervento con questo punto interrogativo che, in coerenza al nostro punto di partenza, ci invita a impostare un pubblico e trasparente dibattito, partendo proprio da qui.

Per conto di Municipio Verde
Riccardo Buonaiuti

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