Quello che segue è l'intervento del prof. Giuseppe Centauro, da lui inviato alla tavola rotonda dello scorso 29 Marzo, organizzata dall'Arci.
MV
Quale futuro per la città etrusca di Gonfienti?
Oggi proprio non posso partecipare al simposio, e sinceramente mi dispiace soprattutto per gli organizzatori, l’Arci - Comitato di Prato e il Circolo ricreativo “Costa Azzurra” che tanto si sono prodigati per realizzare questa tavola rotonda. Debbo però dire a loro conforto, o sconforto secondo i punti di vista, che non ho ormai più parole da spendere per il sito di Gonfienti che non siano state già dette, né tanto meno proposte che non siano già state avanzate.
A tale proposito voglio qui, in rapida sintesi, ricordare:
- nel 2003, la proposta per un Parco Archeologico e Paesaggistico di Gonfienti fu elegantemente bocciata dall’allora Soprintendente ai Beni Archeologici, dott. Angelo Bottini perché ritenuta prematura prima di una qualsiasi declatoria di vincolo da parte dello Stato, rammento che già da quattro anni la SAT scavava con i denari della società interporto e che tale il vincolo verrà posto solo tre anni più tardi!;
- nel 2004, conosciute le risultanze positive delle indagini geo-fisiche preliminari, queste ultime pagate dagli Enti territoriali per dare un perimetro all’antico insediamento, si chiese, con esiti negativi, l’avvio di una campagna di scavi oltre i confini dell’interporto;
- nel 2005, con l’autorevole supporto di Artwatch International e del suo presidente, il compianto prof. James Beck, ottenendo un analogo diniego, fu sostenuta l’applicazione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio con l’immediata messa in tutela del paesaggio storico-antropico della Città degli Etruschi sul Bisenzio minacciata dall’eccessiva invadenza delle infrastrutture ormai approdate alla fase esecutiva in proiezione urbanistica. Ricordo che per la rilevanza del caso e l’importanza archeologica del sito ne scrissero persino testate prestigiose quali il Sunday Times, il Daily Telegraph, The Economist e ci fu l’interessamento straordinario della stessa BBC che chiese di registrare uno speciale televisivo per la trasmissione “Blue Peter”, che poi sarebbe una sorta di Quark inglese, storico programma attivo fin dal 1957;
- ed ancora, nel 2005, fu ricusata l’idea avanzata da più parti di accelerare la messa in sicurezza idraulica della prima area archeologica ritrovata per poter far fruire al pubblico, in modo non saltuario ed episodico, lo scavo dell’eccezionale “casa a corte” d’epoca arcaica;
- nel 2006, tornò prontamente al mittente la raccolta di firme inviata al Sindaco di Prato da parte di molte associazioni culturali pratese, nonché dal neonato Comitato Città Etrusca sul Bisenzio e da oltre 250 cittadini che autonomamente chiedevano la ripresa degli scavi e la pronta realizzazione in situ dell’antiquarium, una struttura promessa da farsi in una porzione di villa Niccolini, nonché l’istituzione di un comitato super partes di esperti internazionali a garanzia della valorizzazione della risorsa archeologica e per promuovere una conoscenza diffusa di quanto fosse stato fino a quel momento ritrovato negli scavi, attuando una forma originale di democrazia attiva applicata ai beni culturali;
- sul finire del 2006, analoga sorte è toccata anche all’appello per salvare dall’obliterazione il cosiddetto “decumano etrusco”, reperto documentario fondamentale per capire l’origine dell’insediamento e la sua relazione territoriale nella piana; brucia ricordare che la sorte di questo grandioso “reperto archeologico” sia stata segnata dopo appena venti giorni dal Convegno “Dalle Emergenze alle Eccellenze”, promosso dalla V° Commissione consiliare della Regione Toscana e sul quale si erano fondate le speranze di rilancio per la salvaguardia del nostro patrimonio;
- come se non bastasse, nel corso del 2007, dopo pochi mesi di “bonifica archeologica” dei terreni edificabili si registra - è bene oggi ricordarlo -, quale amarissimo epilogo dell’intera vicenda, la conclusiva approvazione istituzionale dell’ampliamento dell’interporto, ora legittimamente ammesso ad occupare aree conclamate da un punto di vista della rilevanza archeologica, ma evidentemente non difendibili dalla miopia dell’uomo.
Semmai questa tavola rotonda che, il caso vuole che cada nel bel mezzo della settimana della cultura, appare ancor più beffarda di quanto si potesse solo immaginare, specie se riflettiamo sul fatto che della grande “emergenza archeologica” di Gonfienti restano, al momento, solo tracce nella rassegna stampa delle cronache cittadine o nella patinata brochure della Società Interporto.
Di occasioni di confronto, quando era opportuno e necessario farle, non c’è ne sono state; tanto meno sui temi scientifici e sugli aspetti culturali o storici primari sollevati da tale scoperta.
Parlare di futuro per il sito etrusco, dopo tutto quelle che è successo, è in tutta onestà molto difficile, parlarne adesso sembra poi un oscuro deja vù, o piuttosto un leit motive da notte dei morti viventi.
Dopo il nuovo stop agli scavi, dopo lo stop dei finanziamenti regionali, dirottati su altri siti archeologici, e soprattutto, dopo aver sacrificato una straordinaria verità archeologica come questa, da sola in grado di farci rivivere l’epopea di una grande civiltà che sta alle origini stesse del nostra storia, è un’offesa al buon senso parlare per Gonfienti di magnifiche e progressive sorti. Direi che oggi sarebbe invece opportuno dire basta alle ipocrisie, troppe ne abbiamo sentite e viste, d’altronde gli ingombranti “quattro sassi”, evocati nelle stanze, hanno già lasciato il posto al piazzale di manovra per Tir di passaggio e allo scalo merci, che altro si vuole aggiungere?
Certo nessuno saprà mai dare una spiegazione a tutto questo, salvo negando l’evidenza, anche se in futuro molti chiederanno lo stesso le ragioni di tutto questo. Non si potrà mai coprire del tutto la più grande avventura archeologica del nostro tempo, anche se dissolta nel pantano dell’interporto! Senza aver svolto un vero confronto sul piano tecnico, solo affermando - dopo avere bruciato 2 milioni di euro in indagini preliminari e saggi di scavo - che non si è potuto preservare un acciottolato stradale dalle acque meteoriche, oppure di mettere in sicurezza idraulica muri a cassaforma di fondazioni di case, interrati da oltre 2500 anni, sarà davvero difficile continuare a sostenere un tal genere di argomentazioni; come conservatore e restauratore trovo addirittura puerile che si sia dovuto escogitare motivazioni di questo tipo per giustificare scelte di altra natura, specie di fronte ad una realtà archeologica come questa, di questa importanza.
Allora non ci resta che chiedersi: dove sono finiti i tesori ritrovati nel 2003, tipo la bellissima kylix di Douris, che da sola, visto il luogo dove è stata trovata, quindi la sua inconfutabile contestualizzazione, vale non meno di 5/6 milioni di euro e che da sola avrebbe esaltato qualsiasi museo, di certo l’antiquarium della città etrusca o il nuovo museo civico di Prato?
Mi domando, se non c’è più spazio per questa realtà storica, come potrà esserci per essa un futuro?
Per questo meglio tacere e togliere il disturbo dopo l’osceno preambolo al quale abbiamo assistito nei mesi trascorsi e non essere parte in causa sia pure involontaria e a posteriori di un misfatto di questo genere … a meno che, da subito, non si cambi davvero tutto e si cominci a parlare di risorse culturali, di ambiente, di territorio come bene paesaggistico da salvaguardare e tutelare per costruire un domani diverso, sostenibile e fertile di prospettive.
Prato, 29/03/2008 Prof. Arch. Giuseppe Centauro
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