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Striscioni, sfottò e manganellate
Scontri tra i contestatori anti-Berlusconi e le forze dell’ordine
Erano in circa 500 fuori dall’anfiteatro Arrestata una donna per resistenza
Una manifestazione pacifica nelle intenzioni, che però si è trasformata suo malgrado in una bolgia quando i contestatori sono venuti a contatto col cordone di poliziotti e carabinieri che volevano spingerli il più lontano possibile dall’anfiteatro del Pecci.
Tutto è iniziato quando ancora il premier stava parlando sul palco. Alcune centinaia di persone si erano radunate vicino all’Art Hotel e i loro cori non si sentivano nemmeno, nel catino infuocato del Centro per l’arte contemporanea. All’improvviso è arrivato l’ordine di farli allontanare e c’è stata una prima carica per spingere i manifestanti in direzione di viale della Repubblica. Questo è bastato per far aumentare il nervosismo oltre il livello di guardia.
I contestatori si sono ammassati vicino all’ingresso dell’anfiteatro, continuando a urlare slogan e a innalzare striscioni (Noemi, no party; Sei ridiholo; Mamma, arriva Berlusconi, tieni le figliole a casa).
Ed è stato proprio davanti all’ingresso che ci sono state altre due cariche di alleggerimento, quando poliziotti e carabinieri in assetto anti-sommossa sono avanzati rapidamente, manganello alla mano. Qualcuno è caduto, qualcun’altro ha preso una manganellata e le due parti hanno continuato a fronteggiarsi. Nel frattempo all’interno dell’anfiteatro il comizio di Berlusconi e dei due candidati del centrodestra era ancora in corso.
Ma quando i primi sostenitori del Pdl hanno cominciato a venir fuori dal catino, il nervosismo è di nuovo salito alle stelle. Atmosfera da stadio dentro, atmosfera da stadio fuori, ma di quelle da dopo-derby, o se preferite da dopo-Palio, con i sostenitori di entrambe le parti che se le son dette (a distanza) di tutti i colori, con reciproche promesse di trovarsi a solo da un’altra parte.
Una scarpa è volata dal settore degli anti-Silvio verso quella dei fan di Silvio, ed è subito tornata indietro. Un paio di fan del premier si sono fermati sul vialetto, protetti dal cordone, col braccio teso nel saluto romano. Quelli di sinistra hanno provato spostarsi verso viale della Repubblica e il cordone della polizia si è agitato. Alcuni manifestanti sono stati spostati di peso dalla siepe, uno coi capelli lunghi è caduto ed è stato preso a calci senza un apparente motivo.
Poco dopo un sostenitore del Pdl, candidato in un consiglio di circoscrizione, ha denunciato di essere stato colpito da una sassata a un fianco e subito dopo si è fatto medicare al pronto soccorso. Anche un carabiniere ha accusato un colpo al petto e si è fatto medicare.
«Abbiamo allontanato i manifestanti - si è giustificato il questore Domenico Savi - per due motivi: primo perché c’è una norma che vieta di disturbare i comizi, secondo perché la manifestazione non era autorizzata».
Ma la situazione attorno al Pecci non si è calmata tanto presto. I contestatori sono stati di nuovo sospinti verso l’Art Hotel Museo e qui un altro gruppetto di manifestanti è venuto a contatto con la polizia. Un altro ragazzo è caduto ed è stato sopraffatto dagli agenti, mentre gli amici urlavano di smetterla.
Alessandro Pattume Paolo Nencioni
La protesta corre sul web «Qui non ce lo vogliamo»
PRATO. Il dissenso si raccoglie sul web e si ritrova spontaneamente davanti all’anfiteatro “Pecci”: giovani, vecchi, donne e bambini. Senza bandiere ma con un’unica idea, quella di contestare Silvio Berlusconi. Ognuno poi ha i propri motivi ma da pratesi si riconoscono tutti in una frase urlata più volte e poi ribadita spesso tra loro: «A Prato non ce lo vogliamo. Che se ne torni a Roma».
Non ce lo vogliono per molti motivi, e ognuno ha il proprio, quello che più gli dà fastidio. Si va dal giovane ricercatore in biologia, camicia a quadri e faccia pulita, che è venuto a scandire i cori per un motivo semplice e essenziale. «Mi sarebbe dispiaciuto non essere venuto a esprimere il mio dissenso per una persona che mi rappresenta nel mondo ma che mi piacerebbe non lo facesse», confessa. E poi, mentre il cordone di polizia fa indietreggiare i dimostranti assiepati contro uno degli ingressi dell’anfiteatro, in un attimo di silenzio ecco emergere la voce di un bambino. E’ un bambino di cinque anni e il casco da ciclista in testa. Lo tiene in braccio una signora bionda, che ti guarda e ti fa: «Io dovrei far crescere mio figlio in un paese governato da un uomo così? E’ una vergogna» e riprende a urlare insieme al figlio.
E poi un uomo sulla sessantina che ti vede scrivere e si avvicina. «Per fortuna che ci sono questi ragazzi, lo scriva sul giornale. Avevo paura che Prato fosse andata ormai e invece c’è ancora qualche speranza per il futuro. Questa è una cosa - conclude allargando le braccia ai contestatori - che mi fa bene al cuore».
A.P.
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