«La street art è pubblica, vogliamo creare nella legalità»
Ivan Tresoldi: «Le istituzioni non ci ascoltano». Pao Pao: «Io non imbratto, decoro»
MILANO – Per il governo sono diventati anche loro una priorità, tanto che l'esecutivo si appresta a rendere più difficile la vita ai writers. Loro, del resto, non hanno mai goduto di buona reputazione negli ambienti politici. Colpa forse di una certa inflazione che vede all'opera nelle strade sia quelli che potrebbero tranquillamente essere considerati artisti (non a caso, forse, ci fu la presa di posizione di Vittorio Sgarbi in difesa dei graffiti del centro sociale Leoncavallo) sia un esercito di giovani (e meno giovani) che armati di bomboletta spray si limitano a riempire muri e saracinesche di scarabocchi incomprensibili alla maggior parte delle persone. È il loro logo, la loro firma stilizzata, un modo per dire semplicemente: io sono stato qui. Qualcosa, insomma, che di artistico ha davvero poco.
TRA ARTE E PROFESSIONE - Siamo andati ad incontrare due tra i più noti graffitari milanesi, Ivan Tresoldi, 27 anni; e Pao Pao, 30 anni, ormai veterano del settore, famoso per lo stile inconfondibile con cui trasforma i panettoni di cemento messi a protezione di piste ciclabili e isole pedonali in pinguini stilizzati e sorridenti. Abbiamo trascorso una giornata con loro e li abbiamo visti all'opera. «Non sono wrtiter e nemmeno un graffitaro – tiene a precisare Ivan Tresoldi -. La mia casa è la strada, sono nato lo stesso giorno in cui è nato Bob Marley e hanno sparato al Papa. Noi artisti di strada, non abbiamo conflittualità con nessuno. Siamo per la non belligeranza». Eppure il loro passaggio non sempre viene salutato con favore dalle istituzioni e dai cittadini. In particolare, i proprietari dei muri su cui si cimentano a colpi di bomboletta spray o pennerelli indelebili. Ma non sempre è così. Qualche volta i loro lavori arrivano su commissione. «Lavoriamo a progetti condivisi – spiega Tresoldi – ci chiamano anche grandi aziende». Una passione che diventa arte e professione. «Abbiamo fondato Art Kichken e siamo un gruppo di quattro persone che si occupano di mostre, artisti, eventi culturali, con il fine di diffondere l'arte. Una delle nostre missioni è quella di valorizzare al meglio le città con il decoro urbano».
POESIA POPOLARE - Il loro ideale sarebbe creare nella legalità. «Abbiamo proposto progetti al comune, chiedendo spazi su cui lavorare e la risposta sono state solo delle chiacchiere - racconta Ivan -. Noi pensiamo che la street art sia pubblica. Io, Bros e tutti gli altri writers più o meno noti proveniamo dalla strada. Le nostre ribalte sono quelle non convenzionali : i luoghi non deputati come musei o gallerie. Ci sentiamo etnocentrici e non referenziali. E siamo i figli diretti della pop art americana. Stesso embrione. In questo Paese di santi, poeti e navigatori noi portiamo una poesia popolare, così come faceva Pasolini che parlava alla gente. Noi non siamo nei salotti».
LA PRIMA FRASE - Ivan ha iniziato il suo percorso scrivendo sulle saracinesche dei box auto per le strade nel 2003. La sua "poesia d'assalto" doveva per forza uscire dai fogli. E così un bel giorno, ha rotto il ghiaccio nella notte, in una Milano avvolta dalla pioggia. «Ho iniziato a scrivere sui muri, lavorando sulle emozioni delle parole - riprende Ivan - con lo scopo di essere letto e capito da tutti. Non posso dimenticare la prima frase scritta su un muro illegalmente: NOI CHE SI REMA CONTRO LA NOTTE..»CONFRONTO - Ma in queste ore l'obiettivo del governo è quello di porre un freno al fenomeno. E questo proposito, caldeggiato in maniera particolare dallo stesso premier Silvio Berlusconi, è giunto ovviamente anche alle loro orecchie. «Io non mi nascondo, l'arte è pubblica. Tutti i ragazzini che escono con le bombolette spray e lasciano una tag o scrivono, sono figli della borghesia. Il fenomeno è massificato perché si sente il profumo della trasgressione. E non sono d'accordo con le dichiarazioni di Berlusconi, perché reprimere è un reato. Più volte abbiamo chiesto il confronto con le istituzioni. Ma a Milano, solo Sgarbi ci ha capito. Il problema per le istituzioni è quello di legittimare la controcultura di cui noi siamo portatori».LA LETTERA - Sicuramente manca una coscienza culturale per comprendere il confine tra lecito e illecito, che spesso può apparire molto incerto. «Non dimenticherò mai una signora anziana di Milano che mi ha scritto una email chiedendomi dopo la cancellazione di una mia poesia, di colorare con le mie frasi i muri o i parapetti senza anima». « Ivan, torna - mi ha scritto quella donna -, la tua poesia mi manca. Dal settimo piano quando mi affacciavo alla finestra le giornate mi sembravano più luminose».PINGUINI - Ma anche Pao Pao da tempo è finito sotto i riflettori con il suo celebre pinguino nato per caso. Colpa di una libera associazione di idee. Pao Pao, 30 anni, con la barba incolta e l'aria stralunata, si è distinto per aver disegnato animali senz'autorizzazione. Molte le multe, da lui contestate perché «decoravo, non imbrattavo». Ma questa è una favola che farebbe invidia anche ad Ameliè, quella del film. Pao, ex fonico con passato da archivista per Dario Fo e Franca Rame - nel loro archivio multimediale - ha lasciato il teatro, quando ancora era un macchinista alle prime armi per dedicarsi all'arte. Il suo cammino è iniziato con i pinguini stilizzati, ricavati da un fumetto molto goffo. E dal 2001, in un solo anno ha dipinto qualcosa come 100 paracarri. E ha pensato di strappare la città dal grigio con lo spray. Con la passione che è diventata un lavoro. Ma ancora oggi dopo essersi fatto un nome, esce di casa con le sue bombolette spray per dire al mondo che la street art non è vandalismo, ma in taluni casi creatività come la sua. «Imbrattare, significa sporcare e rovinare - dice Pao Pao -. La street art non rovina e non imbratta, ha una sua etica. Se mai abbellisce la città. O cerca di farlo. Perché ha un suo concetto dello spazio pubblico.»A VISO SCOPERTO - Poco più tardi, usciamo insieme a Pao Pao per dipingere un pinguino sul paracarro. E' un via vai di saluti, nessuno si oppone. Molti curiosi si fermano a guardarlo ammirati. «Non ho il culto della illegalità, - prosegue dopo la performance Pao Pao -. Lavoro a viso scoperto: di giorno, di notte, perché solo gli elementi di rottura portano i veri confronti sociali. Io non ho niente da nascondere. E non mi ritengo un vandalo. Non ho mai imbratto i muri. Ho sempre scelto i paracarri, i muri di periferia, o i muri di vecchie fabbriche, oppure i luoghi grigi sen'anima. Perché l'anima cerco di trasmetterla io».
Ambra Craighero
30 ottobre 2008
dal Corriere fiorentino.it
Nessun commento:
Posta un commento