Un colpo al cerchio, e uno alla botte...
Da una parte il malessere che ha raggiunto uno stato tale da richiedere una risposta forte, dall'altra una città ben governata, dove l'azione degli scaricati va continuata; da una parte, il PD che ritiene di dare una risposta forte, dall'altra la necessità di andare oltre le rinunce di Logli e Romagnoli.
Forse il messaggio è più chiaro di quello che sembra: voi avete silurato un mio uomo, ora farò di tutto per silurare voi. A ben vedere, non è una ipotesi così campata in aria.
Intanto, al PD il rischio astensionismo fa paura...
MV
da Il Tirreno del 21/10/08
Martini: malessere grave, ci voleva uno choc «Caro Marco, capisci, è una decisione presa con la morte nel cuore»
«Con la crisi del tessile e il fenomeno cinese la città è un prototipo dei problemi della globalizzazione. E noi dovevamo rispondere» MARIO LANCISI
FIRENZE. «Caro Marco, con la morte nel cuore...». Ha esordito così il presidente della Regione Claudio Martini quando ha dovuto dire al sindaco di Prato Marco Romagnoli che anche lui era d’accordo con la decisione del gruppo dirigente del Pd di non ricandidarlo, assieme al presidente della Provincia Massimo Logli. Sì proprio lui, Martini, che cinque anni fa aveva candidato Romagnoli alla guida di Prato. «Io l’ho scaricato? Niente di più falso. Conosco Marco da trent’anni, siamo molto amici. Nella mia lunga esperienza politica nulla mi è costato di più sul piano umano». Martini, «da pratese iscritto al Pd», precisa, ha deciso di spiegare al Tirreno il senso del terremoto pratese. La decisione di fare tabula rasa. Seppure con la morte nel cuore...
Una soluzione sorprendente. Da cosa nasce, presidente? «Dalla consapevolezza che il malessere di Prato è arrivato ad un punto così acuto da esigere una risposta forte».
Ci voleva un sondaggio per capirlo? «Il sondaggio è solo uno strumento di una verifica più ampia dalla quale è emerso il disagio profondo della città. Prato è una città prototipo, emblematica. In passato lo è stata come distretto del tessile, per la coesione sociale e l’integrazione. Era il tempo in cui i telai giravano e producevano ricchezza, il corpo sociale si presentava unito e la città era felicemente multietnica».
Oggi invece? «Si assiste ad una sorta di mutamento antropologico. Prato è diventata il prototipo delle difficoltà a gestire la globalizzazione. Non a caso nel sondaggio i pratesi indicano quasi esclusivamente due problemi: il lavoro e i cinesi. L’economia e l’integrazione. Quelli che ieri erano punti di forza, oggi rappresentano punti di forte problematicità. La crisi economica si è saldata con l’esplosione del fenomeno cinese. Così ad una fase di crisi mai vista, il Pd ha ritenuto di dare una risposta forte».
Una risposta choc. «Ci tengo a precisare che in discussione non è l’operato del sindaco e del presidente della Provincia. Tutte le classifiche ci dicono che Prato è stata amministrata bene».
Perché li cambiate allora? «Ci stavo arrivando. Il punto vero è il sentimento collettivo di una città che teme di non farcela di fronte ad una crisi economica impetuosa. Il problema è più politico che amministrativo. Governare bene non basta in tempi di tale sommovimento. Si è detto nel corso degli anni: a Prato c’è la bufera. Ma la bufera non è passata. Da qui un senso di scoramento, di sfiducia. Prato vive una sorta di blocco psicologico. Che va superato. Dobbiamo saltare l’ostacolo».
Intanto saltano Romagnoli e Logli.... «Il Pd ha ragionato su due ipotesi. La prima: proviamo a rafforzare l’attuale assetto amministrativo. La seconda: diamo un segnale di forte innovazione. Occorre, ci siamo detti, una scossa forte. Che dia il senso che abbiamo capito il male oscuro della città e lo vogliamo affrontare con determinazione. Abbiamo deciso così d’intesa con loro».
Romagnoli e Logli rischiano di essere i capri espiatori di una crisi più grande delle loro competenze. «Questo rischio c’è, non lo posso negare. Posso solo dire questo: non c’è nulla nell’operato di Romagnoli e Logli che non sia degno di essere proseguito dai successori».
Fuori Romagnoli e Logli. E chi dirige il Pd resta al suo posto? «Il problema del sindaco e del presidente della Provincia si è posto perché ora ci sono le elezioni amministrative alle porte. E’ chiaro che la svolta che Prato deve compiere riguarda tutta la classe dirigente di questa città».
Ma come può fare una città a gestire una crisi che è globale? «Possiamo fare la nostra parte. In almeno tre direzioni. Sul piano economico il talento che ieri ha fatto di Prato la capitale del tessile deve spingere oggi le imprese a inventare e fare nuovi prodotti e le istituzioni devono aiutarle; i pratesi devono diversificare le loro attività verso nuovi settori e prodotti, nuovi affari e ad innovare al massimo le loro attività. Poi c’è il problema della convivenza con la comunità cinese. Già il sindaco Romagnoli ha fatto molte cose, ora dobbiamo andare oltre. Infine Prato deve rafforzare di più il suo rapporto con la Regione. Uscire da una sorta di isolamento. Sentirsi città della Toscana. Spesso agli imprenditori che si lamentano dico: “Fate progetti e portateli in Regione”. Usciamo dal torpore».
C’è chi dice che avete fatto un regalo alla destra. «Continuo a pensare che il regalo lo avremmo fatto stando fermi. L’esultanza della destra è effimera. Il sondaggio è chiaro: i pratesi esprimono tutto il loro disagio ma affidano al centrosinistra il compito di risolverlo. La stragrande maggioranza degli intervistati sostiene che a vincere le elezioni saremo noi, non la destra. Gli elettori del centrosinistra non si sposteranno sul Pdl, casomai sull’astensionismo. E’ per ridare slancio che abbiamo fatto una scelta forte».
Il prossimo sindaco? «Niente nomi. Mi limito a sottolineare l’esigenza di un rinnovamento generazionale. Le crisi si superano anche con classi dirigenti nuove».
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