A partire da domani, il controllo della sicurezza della cosiddetta Zona Verde di Baghdad, il quartiere centrale della capitale irachena, sede delle principali rappresentanze diplomatiche, verrà trasferito dall'esercito americano al ministero dell'Interno iracheno.
La mer, la fin...
mercoledì 31 dicembre 2008
Guerra. Primi passi di allontanamento.
A partire da domani, il controllo della sicurezza della cosiddetta Zona Verde di Baghdad, il quartiere centrale della capitale irachena, sede delle principali rappresentanze diplomatiche, verrà trasferito dall'esercito americano al ministero dell'Interno iracheno.
Editoriale. Quelli con la puzza sotto il naso.
Il Presidente della Regione Toscana ha dichiarato alla stampa che per l'anno nuovo ci vuole meno puzza sotto il naso.
Guerra. Una trottola di piombo fuso.
30.12.2008
Alberto Piccinini
Animali: tutti contro gli zoo bastardi.
Ammaestrare animali e raccoglierli in parchi molto simili agli odierni zoo risale alla nascita delle prime civiltà moderne. I Greci furono i primi ad addestrare leoni, orsi e cavalli e ad insegnare loro movimenti innaturali; in questo modo gli animali da sempre simbolo della natura, servivano per svalutarne la considerazione, legiferandone l'autorità. L' Impero Romano più di ogni altro, con i combattimenti tra uomini e animali e con il Circo Massimo, esaltò la cultura della supremazia umana sul resto dell’universo. Gli spettacoli con carneficine di massa servivano per motivi ben precisi: controllare la popolazione e ostentare la ricchezza e il potere di Roma sulle regioni lontane e sugli animali selvatici che le abitavano.
Con il cristianesimo i massacri e le crudeltà diminuirono e le esibizioni cambiarono, invece di atroci uccisioni venivano fatti danzare, presi in giro, molestati, ridicolizzati così come accadeva per nani e storpi. Il nuovo intrattenimento, meno violento, serviva allo stesso scopo del precedente: sminuirli e collocarli al di sotto del dominio umano. Prima dell' avvento dell' industrializzazione, in una società basata sull'agricoltura e l'allevamento dove piante e animali autoctoni venivano annientati per proteggere la proprietà, disporre ed esporre animali esotici pericolosi era considerato un vanto, sinonimo di un’appartenenza ad una classe privilegiata le cui ricchezze gravavano sulla vita di tutta quella schiera di uomini e donne che "sfortunatamente" non erano nati dall'unione di sedicenti nobili. A quel tempo avere felini e grossi mammiferi provenienti dalle colonie più remote del pianeta era un simbolo di potere e rinchiuderli in gabbie serviva ad intimorire e sottomettere la cittadinanza, per lo stesso motivo avevano maniglie d' oro alle porte.
Oggi in un mondo totalmente antropizzato, la natura è stata finalmente sconfitta: luoghi incontaminati non esistono più e quei pochi che resistono stanno scomparendo insieme alle specie che li abitano. Gli zoo servono esclusivamente all' essere umano, una sorta di alibi per preservare artificialmente gli animali (meglio se rari) il cui habitat è stato annientato. La loro casa è stata distrutta dalla civilizzazione. Quel dannato progresso, spacciato con l'inganno di sollevare l' umanità da malattie, paure, povertà e fatiche, ha invece causato tumori, mediocrità, sofferenze psicologiche e tanto sfruttamento. Tutto è stato prezzato e gli animali sono visti come una fonte di guadagno. L' uomo, essere supremo capace di tutto, non ha più nessuna inibizione.
Negli ultimi anni, per risollevare la loro attività commerciale, gli zoo sono stati riformati: anche per i più indifferenti le gabbie di cemento e i piccoli serragli apparivano troppo crudeli e rischiavano di comprometterne l'immagine e quindi i profitti. Per far fronte a questi problemi sono stati ampliati i recinti, piantati alcuni alberi e soprattutto modificata la legislazione con un’infinità di paradossi e menzogne. Dal 2005, con l' attuazione di una direttiva europea, i giardini zoologici (non più zoo) sono obbligati a perseguire le seguenti finalità: potenziare il ruolo della conservazione della biodiversità allo scopo di proteggere la fauna selvatica e di salvaguardare la stessa diversità biologica, nonché partecipare a ricerche scientifiche, programmi di educazione e sensibilizzazione del pubblico e del mondo scolastico. Ma come si possono obbligare gli altri animali a vivere in spazi che non appartengono loro, nella totale dipendenza dall'umanità e pensare di fargli del bene, di proteggerli ed educare i bambini alla loro conservazione?
In tutto il pianeta il cemento avanza quanto l'inquinamento. Sempre più lotti di terra vengono strappati alle specie selvatiche che insieme ad alberi, piante e popoli indigeni li abitano. L'ingordigia umana prelevando, imprigionando e facendo riprodurre gli animali per i propri scopi là dove ha distrutto o alterato il loro habitat, manifesta tutto il suo egoismo. I responsabili di giardini zoologici, bioparchi e parchi faunistici, al contrario di quello che affermano, sfruttano e non preservano l' estinzione della fauna selvatica. Ricerche scientifiche, lucro e divertimento sono le principali cause dell'esistenza di queste strutture.
La conseguenza è la reclusione di migliaia di animali-non-umani segregati da circensi, stati, enti o società specializzate in sfruttamento animale per soddisfare i propri obbiettivi. Queste prigioni sono visitate, usate e tollerate per il semplice fatto che l' umanità, autoelettasi padrona di tutto e di tutti, dispone degli altri animali a sua discrezione. E’ così punto e basta e gli zoo, con la loro totale inutilità, ne sono la prova inconfutabile. "Abbiamo trasformato gli animali da esseri animati simili a noi in freddi simboli del potere dell' uomo sulla natura” J. Mason.
Come realmente preservare il nostro pianeta non lo sappiamo, sicuramente dobbiamo toglierci quella maledetta corona che sta conducendo l’essere umano la natura e gli animali in miseria; questo apporterà la rivoluzione della nostra esistenza, dei rapporti tra noi e noi e tra noi e tutto il resto.
A Ravenna il parco faunistico che vogliono costruire servirà esclusivamente per fare guadagnare altri soldi all'Alfa 3000, società già detentrice del circo Medrano e proprietaria dello zoo safari di Fasano; infatti non a caso la struttura verrà costruita accanto a Mirabilandia: essa, come affermano le categorie dei commercianti e decanta l'amministrazione comunale, servirà a destagionalizzare il turismo cioè per far arrivare (e spendere) gente non solo d' estate.
Guerra. Pacifismo e lucidità di analisi.
Nel tutelare il diritto al ritorno degli ebrei nelle terre di Israele, si sarebbe dovuto tenere conto di quei popoli che in quelle terre vivevano legittimamente da centinaia di anni; la convivenza pacifica sarebbe stata forse possibile ma si è scelto di cacciare i palestinesi. Punto.
Da un paese democratico, erede delle tragedie dell'Olocausto e della persecuzione (anche da parte cattolica) degli ebrei in giro per il mondo,mi aspetterei anzi pretendo di più, molto di più, certo non le "uccisioni mirate" di esponenti palestinesi o reazioni spropositate come questa perchè altrimenti aveva ragione il presidente Truman ha sganciare atomiche su Hiroshima e Nagasaki per risparmiare le vite dei soldati americani.
http://www.rachelcorrie.org/
Prato. Ancora classifiche
MV
da la Nazione del 31/12/08
Sviluppo, Prato è ultima
Anticipazione della ricerca regionale su dati Istat
di ROBERTO DAVIDE PAPINI
NON PER INFIERIRE proprio sotto le feste, ma un’altra ricerca (con le indagini statistiche di fine anno Prato non ha molta fortuna) evidenzia la situazione di crisi della provincia pratese. Dopo il tracollo nella classifica sulla qualità della vita del “Sole 24 Ore” (50 posizioni perse in un anno), questa volta si tratta di un’indagine elaborata dall’Irpet (l’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana) che pone Prato all’ultimo posto in una particolare classifica che misura l’indice di sviluppo e che si riferisce al 2007, ma viene resa nota solo ora. Un dato ancor più rilevante se pensiamo che nel 1995 (l’anno preso come riferimento dai ricercatori Irpet) la provincia pratese era nelle primissime posizioni piazzandosi in un ottimo terzo posto dietro Siena e Arezzo.
SI TRATTA di risultati che fanno parte di una ricerca più ampia che sarà presentata nelle prossime settimane e che si chiama “Toscana in cifre”. L’anticipazione che siamo in grado di offrire mostra con chiarezza un risultato sconsolante dal punto di vista dello sviluppo inteso in senso globale. I dati (forniti dall’Istat ed elaborati dall’Irpet) incrociano una serie di parametri, principalmente di tipo economico e lavorativo, certo, ma anche altri inerenti aspetti diversi: dalla salute alla speranza di vita; dagli aspetti civici alla sicurezza, sino all’inclusione sociale (con particolare riferimento alle questioni dell’immigrazione). Per questo, l’ultimo posto in questa classifica a tutto tondo, che va al di là dei dati economici (e quindi della difficile congiuntura del distretto tessile) appare particolarmente pesante.
NELLA CLASSIFICA che viene fuori da questo incrocio di dati e parametri, davanti a Prato vede al primo posto Siena seguita da Arezzo. Le prime due posizioni sono le stesse del 1995, con un sensibile calo, però, dell’indice di sviluppo. Fatto 100 quello della Toscana, l’indice di Siena è intorno a 110, mentre era oltre 120 e quello di Arezzo segue lo stesso decremento. A cambiare tra 1995 e 2007, come detto, è la terza posizione che non è più ad appannaggio di Prato, ma che va alla provincia di Firenze (che era quarta nel ’95). Subito dopo Firenze c’è Pistoia, poi Grosseto, Pisa, Livorno, Lucca e Massa e Carrara. All’ultimo, malinconico posto, come detto, c’è la provincia di Prato, passata da un indice che sfiorava 120 nel 1995 a un indice che supera di poco 80.
Prato. Col cuore in mano...
Questo della provincia è un tema che troppo poco è stato trattato anche dai vari comitati civici che sono nati in questi anni: la Primavera, a Prato, dovrebbe arrivare anche qui...
MV
da la Nazione del 31/12/08
Logli: ‘Dobbiamo ridare fiducia ai pratesi, ecco come’
‘Sostegno al credito, ma a chi pensa al distretto’
«ABBIAMO tutti un cuoricino così...». Uno degli assessori della giunta Logli, ieri al termine della conferenza stampa di fine anno, l’ultima per il presidente, di fatto costretto a rinunciare al secondo mandato dopo il famoso sondaggio dei misteri, soprattutto perché il problema era il Comune. C’era un clima di grande amarezza, perché davvero a Palazzo Buonamici (e non solo lì) si continua a non capire il perché. Logli ha ricordato senza enfasi le cose fatte, i bilanci sani, le tasse al minimo, gli investimenti, la citazione della Provincia sul sito del ministero di Brunetta fra le cento eccellenze italiane della pubblica amministrazione. E poi ha parlato di Prato: «E’ un momento molto difficile, ma è necessario reagire, senza pessimismo e demagogia. Occorre guardare fino in fondo ai problemi ma anche al positivo che c’è. La nostra forza continua ad essere il nostro saper fare, il nostro saper lavorare e la grande disponibilità alla coesione sociale».
UN APPELLO alla fiducia e al coraggio, al senso di responsabilità. «Amministrare bene non basta più — ha aggiunto — di fronte a una situazione eccezionale, caratterizzata da smarrimento e paura diventa indispensabile individuare tutti insieme gli obiettivi da raggiungere. In questa direzione lavoreremo in questi mesi». Ai primi di gennaio – ha annunciato il presidente – il tavolo di distretto dove siedono tutti gli attori istituzionali ed economici sarà convocato per affrontare la questione del sostegno al credito. «Ci sono due proposte, una degli industriali e l’altra degli artigiani da valutare – ha spiegato – Noi ci siamo, ci siamo con il nostro patrimonio. Ma basta furbizie, è necessario un patto sulla responsabilità etica delle imprese. Non possiamo pensare soltanto a salvare le singole aziende, ma a salvaguardare e rilanciare tutta la filiera». E intanto Logli ha annunciato che proprio ieri la Regione ha dato il via libera a un finanziamento da 3,8 milioni destinati al Centro di ricerca, che sarà operativo dal prossimo anno. Poi qualche cifra sul bilancio 2009: prelievo fiscale al minimo, un taglio del 10% sul canone per il prelievo idrico industriale, investimenti per quasi 25 milioni (ad esempio per l’ex statale 325, il by pass di Poggio, le scuole, il recupero dell’ex area Misericordia), e un grande impegno per la formazione e il lavoro. «Il 2009 – ha aggiunto Logli – sarà l’anno del grande evento espositivo legato al tessile. La data è già fissata: dal 18 settembre al 10 gennaio 2010. E’ una scommessa per ridare fiducia a Prato e alle sue tante potenzialità».
SOLO a precisa domanda, un commento sul Pd. «Non sono pentito della mia scelta di non ricandidarmi — ha concluso —, serviva uno scossone. Il dibattito su regole e candidature mi sembra però stia durando un po’ troppo, sono tuttavia convinto che con le primarie si comincerà ad affrontare con la determinazione e il senso di responsabilità necessari le grandi emergenze di Prato. Il Pd resta secondo me l’unico partito a poterla riprendere in mano, a governarla senza facili demagogie, affrontando la complessità dei problemi».
an. be.
Prato. Pini instabili e barriere antirumore.
da la Nazione del 31/12/08
PER SALVAGUARDARE la stabilità dei pini lungo la declassata saranno necessari ulteriori lavori per la realizzazione delle barriere antirumore nel tratto tra il casello autostradale Prato est e il Museo Pecci, disposta dall’assessorato all’Ambiente. Questo comporterà un prolungamento delle opere, che saranno concluse entro la fine di febbraio. Durante i lavori è emerso infatti che sul lato dello scavo le radici principali dei pini sono particolarmente superficiali e il loro taglio causerebbe danni e instabilità alle piante, con pericolo di caduta: così per evitare lo scavo in prossimità delle radici, verranno effettuate delle speciali lavorazioni di carpenteria metallica collegate alla fondazione sulle quali fissare le barriere senza necessità di scavi profondi. Inoltre per migliorare la qualità dell’opera è prevista l’applicazione sulle strutture in vetro di uno specifico trattamento superficiale a base di biossido di titanio con proprietà autopulenti.
Il progetto, realizzato dal Servizio ambiente del Comune, prevede 270 metri di schermatura per limitare rumore e smog nell’area di Mezzana. Le barriere hanno un’altezza di 4 metri e sono composte da lastre di vetro stratificate di 2 metri per 3. Il terreno fra il margine stradale e gli schermi antidecibel sarà sistemato a verde. L’investimento complessivo è di 516 mila euro suddiviso fra Provincia (20% della spesa), Comune (41%) e Regione (39%).
Prato verso le amministrative. PD, ancora un rinvio
Perché per l'ennesima volta, in attesa che la segreteria si faccia i suoi buoni conti e si proceda ad una "equa" spartizione tra le varie correnti delle candidature, l'assemblea provinciale viene rinviata.
Nel frattempo, l'Italia dei Valori non si fa tanti problemi ad aderire alle primarie di coalizione - ovviamente sostenendo a spada tratta tutte le decisioni del PD, alla faccia della sudditanza psicologica - dopo che inizialmente lo stesso partito aveva dichiarato la sua indisponibilità.
Si, dai... riavviciniamo così i cittadini alla politica!
MV
da la Nazione del 31/12/08
Pd, rinviata l’assemblea Idv: «Pronti alle primarie»
RINVIATA ancora una volta l’assemblea provinciale del Pd, che doveva riunirsi ieri sera. I problemi sono i soliti: i confini della coalizione e il nodo della Provincia, per la quale si punta a un candidato unitario, che ancora non c’è. Non è stata per ora fissata la data della riunione, a questo punto probabilmente se ne parlerà dopo Befana. Intanto la direzione dell’Italia dei Valori ha deciso di partecipare alle primarie di coalizione senza proporre propri candidati. «La decisione è stata presa all’unanimità — dice una nota del partito — sottolineando lo spirito di partecipazione attiva alla campagna delle primarie in sostegno dei candidati del Pd, partito a cui si riconosce la leadership della coalizione». L’Idv si attiverà fra i suoi iscritti e simpatizzanti «per una adesione massiccia nella convinzione che un buon risultato nella consultazione delle primarie, potrà contribuire a riavvicinarei i cittadini alla politica».
Prato. Ricordate il Centro culturale islamico?
Sappiamo benissimo che la polemica è nata sull'ampliamento dell'attuale Centro culturale, e sul suo spostamento in un altro fabbricato in prossimità dell'attuale, e non sulla costruzione di una moschea. I simpatici xenofobi che ora si accompagnano a Milone sono stati in prima fila a protestare, perché una tal cosa avrebbe portato "ulteriore degrado".
Oggi, fa comodo farla passare come una questione urbanistica, che pure esiste - e anche in questo concordiamo con l'assessore: perché una riflessione generale sul futuro della città e della sua articolazione non può prescindere dal considerare le necessità di nuovi luoghi di aggregazione per le varie fedi religiose di una città multietnica e multiculturale.
Un motivo in più, potremmo dire, per fermare l'iter di approvazione del nuovo Piano Strutturale e riaprire tutta una serie di questioni!
MV
da la Nazione del 31/12/08
Centro culturale islamico i pachistani trovano uno stanzone
CONTINUA la raccolta di fondi della comunità pachistana di via Marini per la realizzazione di un centro culturale islamico. La comunità ha trovato un locale al Macrolotto, uno stanzone, che potrebbe essere idonea per le esigenze dei fedeli islamici.
Mentre a Firenze il dibattito sulla nuova moschea si accende, a Prato i pachistani cercano soldi per il loro centro culturale e sembrano a un passo dalla soluzione definitiva, anche se a suo modo si tratta di un ripiego. L’iniziale richiesta di costruire una moschea (ovvero un luogo di culto) si è infatti scontrata con le normative che richiedono la destinazione a finalità di culto di un’area o di un fabbricato dove si intende ospitare una moschea. «In pratica occorre una vera e propria variante al piano regolatore — conferma l’assessore comunale alla città multietnica, Andrea Frattani — oppure un cambio di destinazione di un fabbricato». Secondo Frattani, questo aspetto viene sottovalutato anche nel dibattito urbanistico cittadino. «Il fatto è che nel dibattito sulla variante al Piano regolatore che ha impegnato un’ampia discussione su fattori più o meno economici — dice ancora Frattani — questo problema non è stato sviscerato, per cui al momento se uno vuole aprire un luogo di culto deve fare i conti con questo ostacolo».
La comunità pachistana aveva anche chiesto al Comune se aveva degli immobili da vendere dove poter mettere la sede del Centro culturale, ma la risposta è stata negativa. «Abbiamo risposto — conclude Frattani — che essendo patrimonio piubblico non è che possiamo venderlo a chi vogliamo, ma occorre fare una gara».
Prato. Social Card?
Eh si... Grande mossa, quella del governo!
Il dato veramente inquietante è nel numero di persone che l'hanno richiesta, e che dovrebbe far riflettere sulla situazione generale, magari iniziando a reintrodurre nel dibattito politico termini come "reddito di cittadinanza", "minimo sociale garantito", "basic income" - collegandolo a nuove modalità di produzione e riproduzione della moneta, come lo SCEC.
Possiamo provarci?
MV
da la Nazione del 31/12/08
Code:anziani in ‘pellegrinaggio’ In moltidanno la caccia ai 120 euro
Social card: ‘Sballottati tra Inps, Comune e Poste con sorprese’
ARMATI di santa pazienza e sfidando i rigori dell’inverno, si mettono in coda allo sportello per cercare di non perdere quel “bonus” di 120 euro sulla loro tessera ricaricabile. Social card che alcuni pensionati pratesi hanno già in tasca, altri si stanno affrettando per richiederla in queste ore, visto che scade proprio oggi il termine per richiedere l’arretrato sugli ultimi tre mesi.
Lo dimostra il viavai di persone anziane che negli ultimi giorni si sono affollati nei diversi uffici postali della città: solo nella giornata di lunedì il minuscolo sportello di Iolo è stato preso d’assalto da un’ottantina di cittadini, che si sono presentati con tanto di moduli compilati dal patronato per ritirare la loro agognata social card. Perché alla fine 40 euro al mese sono meglio di niente, lascia intendere qualche pensionato intervistato all’uscita dalla filiale di via Marianna Nistri. Peccato che prima di vederli, questi soldi, il più delle volte debba consumarsi un pellegrinaggio tra Poste, Inps e Caf, tappe di un sentiero segnato da tanti intoppi burocratici. Una vera e propria trappola per Vincenzo Cusumano, che ha sì ricevuto la carta d’acquisti insieme al Pin (il codice personale per usarla, tipo bancomat), ma non può utilizzarla perché sprovvista della ricarica per fare, ad esempio, la spesa al supermercato. E magari che imbarazzo vedersi respingere la carta alla cassa perché priva di importo. “Che trovata del governo! – denuncia - potevano pagare direttamente i 40 euro sulla pensione anziché inventarsi questa inutile macchina complessa”.
HA IL DENTE avvelenato Cusumano, dopo aver saputo dall’impiegata postale che deve rivolgersi all’Inps per capire l’origine del disguido (spettano all’istituto di previdenza gli accertamenti sui diritti del richiedente), mentre se l’è cavata con un’ora e mezza di fila Maria Rosadi, richiedente della social card per conto della mamma affetta d’Alzheimer. “Mi hanno detto che la documentazione è incompleta e che devo rivolgermi al Comune che deve verificare lo stato di malattia del parente. Non ho molto tempo a disposizione e mi dispiacerebbe perdere i 120 euro di arretrati”.
Situazione ancor più difficile per Gina Lombardi, anziana vedova che vive con il suo cagnolino con soli 500 euro al mese di pensione e, per di più, a rischio di sfratto. “Ho già la tessera, spero che l’attivazione avvenga il più rapidamente possibile. Sono due giorni che impazzo tra questi uffici: ieri due ore dal sindacato, oggi un’ora e mezza alle poste dove peraltro il personale è stato molto paziente”.
C’è anche chi si rammarica di non rientrare tra i beneficiari della social card, come Mimì Angiolini che percepisce una pensione di circa 600 euro al mese. “Il sistema di accesso ai requisiti è veramente assurdo. Non saranno certamente 40 euro a cambiarti la vita, ma almeno sono meglio di niente”.
Maria Lardara
In ostaggio della burocrazia
SOCIAL CARD, beato chi l’ha avuta. Perché dall’osservatorio provinciale di Cgil, Cisl e Uil, sembra proprio che la carta acquisti ricaricabile non stia finendo nelle tasche dei 30mila pensionati che vivono in città.
Troppo complicato e lento l’iter burocratico per ottenere lo strumento, troppe le aspettative deluse secondo le rilevazioni di Spi Cgil di Prato. “Su un campione di 2mila pensionati, ovvero quelli che si sono rivolte presso le nostre sei sedi territoriali – fa sapere la segretaria Anna Buti – solamente 110 domande potranno andare verosimilmente a buon fine. Non abbiamo ancora il riscontro con i dati dell’Inps per cui è difficile sapere al momento se tra le file dei nostri pensionati c’è qualche possessore di una carta attiva”. Senza contare il rischio di dover dire addio al rimborso dei tre mesi per non rientrare nella scadenza temporale della domanda. “C’è il sospetto che sia stato solamente spot pubblicitario del governo alla vigilia di Natale. Ci auguriamo comunque che sia data la possibilità di una proroga”, dichiara la responsabile provinciale di Spi Cgil .
Minori le richieste pervenute negli uffici di Fnp Cisl: “Su circa 300 domande è stata attivata una procedura solo per 64 persone: si tratta prevalentemente di nostri iscritti”, spiega Enzo Risaliti, responsabile di Fnp Cisl, lasciando così pensare che la social card entrerà nel portafoglio di pochi anziani.
E mentre da Poste italiane non arriva nessuna notizia sulla quantità delle tessere distribuite fino a questo momento a Prato – “senza istruzioni ministeriali non siamo ancora in grado di conteggiare le pratiche”, fanno sapere dagli uffici centrali di via Arcangeli – l’unica certezza rimane un regolamento che rischia di creare un esercito di poveri di serie A e poveri di serie B (reddito inferiore a 6mila euro l’anno pere la card). “Inoltre – ricorda Giovanni Barone di Uilp – all’esame dei requisiti fa cumulo la situazione del nucleo familiare”. Non sono molte le istanze capitate sulla scrivania del sindacato dei pensionati della Uil. “Pesa indubbiamente l’etichetta di ‘tessera dei poveri’ che scoraggia. Se poi si aggiunge il fatto che sui nostri 3150 iscritti su tutta la provincia, il 50% è composto da donne anziane, vedove e con difficoltà a spostarsi si spiega perché un primo bilancio delle social card da parte nostra non può che essere negativo”.
M.L.
Riflessioni. Dove nasce la questione morale
Crisi morale e crisi politica. La politica “patrimonializzata” e la fragilità del PD
di Nadia Urbinati
La Repubblica, 29 dicembre 2008
La questione morale è il segno di un modo di concepire e praticare la vita pubblica che con il pubblico non ha nulla a che fare. Dietro il cinismo o la disonestà degli amministratori pubblici si annida profonda la crisi della politica, sia come funzione pubblica che deriva e dipende dal mandato elettorale, sia come etica del servizio pubblico. Le due dimensioni sono strettamente legate tra loro. È questo il legame che si è infranto in questi lunghi anni di mai compiuta transizione verso una democrazia dell’alternanza. A prescindere da quella che sarà la provata responsabilità legale di alcuni amministratori pubblici, il giudizio politico non può che essere negativo, anche per quel preoccupante uso del linguaggio che è emerso dalle intercettazioni: amministratori pubblici che parlavano di "cose loro" invece che di "cosa pubblica".
Non si tratta di una novità. Dalla fine dei partiti tradizionali e dall’inizio dell’era Berlusconi, la politica è venuta con sempre più frequenza ad associarsi alla dimensione del privato: alla proprietà prima di tutto, ma anche alle opinioni personali e ai legami amicali o di parentela anch’essi privatissimi. Pochi esempi recenti: il Presidente del Consiglio afferma di voler cambiare, lui, la Costituzione, come se la Costituzione fosse cosa sua propria; in nome delle sue proprie opinioni personali in merito alla vicenda di Eluana, il ministro Sacconi si rivolta contro la decisione del giudice violando platealmente il principio e la pratica della divisione dei poteri. La funzione pubblica è sempre più identificata con la persona che la svolge.
Oggetto di denuncia quando il patrimonialismo fece la sua apparizione, più di dieci anni fa, questa anomalia è diventata un tema di lamento inutile ma sempre tollerato, mai effettivamente contrastato e infine metabolizzato dall’opinione politica e da quella pubblica per diventare un fatto di (mal) costume ordinario. Eppure, nonostante l’abitudine al malcostume che i media alimentano, nonostante non faccia scandalo che il Presidente del Consiglio dica di voler cambiare la Costituzione o che il ministro Sacconi resista alla decisione del giudice, fa sussultare il dubbio di disonestà che si è abbattuto sul Pd, segno di una crisi di legittimità morale di un partito che pare nato vecchio - non abbastanza partito, eppure già uso all’abitudine partitica più antica. Fa sussultare perché l’ombra della questione morale che si è allungata su questo fragilissimo corpo politico è un segno preoccupante di quanto sia cambiata la coscienza collettiva del nostro paese, un mutamento che finora pensavamo interessare in maniera estesa solo la maggioranza, o molta parte di essa.
Questa debolezza etica dovrebbe preoccupare quale che sia l’esito di questa o quella indagine. Il dubbio di cinismo e disonestà è da solo un problema. Sul Pd, sui suoi dirigenti nazionali e regionali, pesa una responsabilità grande: quella di riuscire a bloccare ora, subito, la trasformazione oligarchica e affaristica che si estende su di esso. Chi scrive ha sempre ostinatamente pensato che il problema del Pd non sia tanto quello di non lasciare spazio ai giovani, ma quello di non essere stato capace di educare alla politica (che è un agire etico) una nuova generazione di servitori del bene pubblico. Dalla fine dei partiti tradizionali, i quali erano comunque grandi scuole di cittadinanza partecipata e responsabile, il susseguirsi di sigle e l’abbattimento sistematico delle tradizionali forme aggregative politiche hanno creato analfabetismo etico e l’erosione del linguaggio pubblico. Le aziende, luoghi privati di lavoro e di carriera, sono diventate il punto di riferimento valoriale e di fatto l’unica scuola di funzione pubblica, ovviamente la meno adatta perché la più distante dall’idea di bene generale e dalle sue procedure di controllo. La narrativa delle intercettazioni telefoniche è rivelatrice di questa trasformazione di linguaggio e di valori; ma anche della fragilità del Pd, una fragilità che è stata fin qui celata dietro le varie tornate di mobilitazione per le primarie. Ma un partito che ha come solo momento partecipativo la competizione elettorale non è ancora un partito. È al più uno strumento per consentire a individui, gruppi o fazioni di competere per vincere e fare "carriera" politica. Le competizioni elettorali per le primarie, mentre consentono di scegliere i candidati, creano necessariamente divisioni di amici e nemici. Un partito che vive solo di primarie non è per questo un partito ma un campo di battaglia; un corpo lacerato, senza ideali unificanti, ma con molta adrenalina per mobilitare concorrenti rivali.
Riflessioni. Perequazione, indennità d'esproprio, rendita
Perequazione, indennità d’esproprio, rendita: le tre parole che strozzano la buona urbanistica. Ragioniamo sui loro significati nell’Italia di oggi: è il solo modo per comprendere come allentare il cappio.
Perequazione. L’esigenza di una equità nelle scelte della pianificazione del territorio è da tempo presente. Ma equità tra chi e per che cosa? Non in termini di giustizia sociale, non tra gli abitanti, cittadini o aspiranti tali: tra i proprietari di suolo urbano. Nella versione nobile voleva significare “indifferenza dei proprietari alle destinazioni dei piani” (Aldo Moro, 1964). Ma era già stata condotta al fallimento la proposta di legge del ministro Fiorentino Sullo, e dopo i crolli e le alluvioni del 1966 si tornò a una perequazione parziale dei valori immobiliari, già in atto con la legge urbanistica del 1942: si decise che negli strumenti urbanistici attuativi, a partire dai piani di lottizzazione (legge 765/1967), tutti i proprietari inclusi dovessero ripartire tra loro, equamente, oneri e vantaggi dell’urbanizzazione ed edificazione.
Poi , la svolta. Si cominciò a parlarne negli anni che prepararono il declino dell’urbanistica italiana e videro esplodere quella che poi fu battezzata Tangentopoli. I piani urbanistici venivano redatti, adottati, approvati ma poi non erano attuati: in molte parti d’Italia (non in tutte però) la città s’ingrandiva e trasformava secondo altri disordinati disegni, sotto la spinta di altri interessi: quelli del mercato immobiliare (che gli incorreggibili continuavano a chiamare “speculazione urbanistica”). Alcuni nodi oggettivi c’erano: la disciplina del diritto sui suoli urbani non era stata riformata come la Corte costituzionale avrebbe preteso, e la situazione normativa era molto pasticciata; le amministrazioni pubbliche, salvo eccezioni, non erano attrezzate per pianificare con la tempestività che la velocità delle trasformazioni richiedeva.
Gli urbanisti e gli amministratori cercarono nuove strade. Si manifestò un accordo largo sulla articolazione dei piani in due componenti: una strutturale e strategica e una operativa. Sui contenuti dell’una e dell’altra componente c’era confusione, l’introduzione di quella distinzione nelle legislazioni regionali e nelle prassi di pianificazione la aumentò. Una “corrente di pensiero”, che aveva preso la maggioranza nell’Istituto nazionale di urbanistica, propose una nuova prassi per raggiungere la “indifferenza dei proprietari alle previsioni dei piani” e soprattutto per evitare di espropriare le aree necessarie per gli spazi pubblici. Strano che la proposta venisse proprio da quella Emilia Romagna nella quale era chiaro da tempo che l’espansione urbana era terminata, e dove si era riusciti a superare brillantemente il traguardo degli standard urbanistici non solo in termini quantitativi (30 mq ad abitante, invece dei 18 ex lege nazionale), ma anche acquisendo praticamente tutte le aree individuate. E strano che la proposta venisse avanzata proprio mentre in Francia si stava abbandonando l’analogo sistema dell’attribuzione ai suoli di un plafond de densitè.
Ecco la proposta dell’INU. Spalmiamo una cubatura (tot metri cubi di edifici per ogni mq di terreno) su tutta l’area che vogliamo urbanizzare: volumi teorici ugualmente spalmati sulle aree sulle quali sorgeranno quartieri e lottizzazioni, fabbriche, servizi e spazi pubblici urbani e territoriali. Se ci serve un’area per fare un parco o una scuola consentiamo al proprietario di tenersi stretti i suoi volumi teorici spostandoli su un altro suolo, e ci facciamo dare gratis l’area che ci serve per gli usi pubblici. Naturalmente, più estendiamo le aree urbanizzabili più aree per servizi riusciamo a ottenere. Quindi dimensioniamo il piano non sulla base dei fabbisogni effettivi, ma inseguendo le spinte della proprietà immobiliare: in quel mercato nel quale (come gli economisti liberali seri hanno dimostrato) la concorrenza non c’è.
La questione è strettamente legata a un’altra: quella dei cosiddetti “diritti edificatori”: quella bizzarra teoria secondo la quale se un PRG ha attribuito una capacità edificatoria a un’area questo “regalo” non può essere tolto al proprietario senza indennizzarlo adeguatamente. Ma di questo termine abbiamo già scritto qui altre volte, e rinviamo ad altri articoli.
L’esempio eccellente (si fa per dire) di questa teoria e di questa prassi è stato il nuovo PRG di Roma, che ha confermato e aggravato il consumo di suolo autorizzato rendendo edificabili ulteriori 14mila ettari dell’Agro romano. Sindaci pro tempore Rutelli e Veltroni, consulente generale il presidente onorario dell’INU, Giuseppe Campos Venuti.
Indennità d’esproprio. E’ indubbiamente un nodo irrisolto. Se ne è discusso ampiamente, a partire dagli anni 60 del secolo scorso. La Corte costituzionale è intervenuta più volte, criticando norme che consentivano ad alcuni di guadagnare grazie alle scelte del piano, e ad altri di non guadagnare perché remunerati, nel caso di espropriazione, da un’indennità d’esproprio di entità molto più modesta. La Corte indicò anche una delle strade percorribili per sciogliere il nodo: decida il legislatore che il valore che deve essere riconosciuto al proprietario non deve compensare l’edificabilità, e iil problema è risolto. Il Parlamento tentò, ma la forza degli interessi contrari prevalse e il principio fu introdotto (con la legge Bucalossi del 1977) ma in modo debole, contraddittorio e, per così dire, sterilizzato.
Da allora è stato un declino continuo. La proprietà immobiliare, invece di essere ricondotta a una sua “funzione sociale” (come la Costituzione, articolo 42, vorrebbe), è stata assunta come “motore dello sviluppo”: più il suo valore economico aumenta, più l’economia va. Guai a ridurre il prezzo degli espropri: alla proprietà immobiliare deve essere riconosciuto tutto il valore che il “mercato” (quel mercato) gli riconosce.
Ecco allora che i comuni non espropriano più. Adesso hanno un alibi per preferire di spendere in opere inutili ma di prestigio (eccelle l’architetto Calatrava con le sue opere) e nell’allestimento di eventi che mettano in competizione una città contro un'altra: queste sono considerate le spese indispensabili, per le quali si può rinunciare a realizzare asili e parchi, o espropriare aree in cui localizzare un’edilizia abitativa depurata da una parte almeno della rendita.
Rendita. Eccoci alla terza parola, al terzo nodo che strozza la buona urbanistica. Che cos’è la rendita? Secondo l’economia classica, quella fondata su un’analisi del ruolo sociale e umano dell’economia, la rendita è una delle tre componenti del reddito: il salario, che corrisponde all’impiego, da parte del lavoratore, del suo tempo di lavoro; il profitto, che secondo alcuni è l’appropriazione di una parte del valore creato dal lavoro, secondo altri la remunerazione corrispondente al ruolo imprenditivo; la rendita, che è la quota del reddito della quale si appropria il proprietario di un bene necessario alla produzione, per il solo privilegio di esserne proprietario. Ora è chiaro che mentre al salario e al profitto corrisponde un preciso ruolo sociale, finalizzato alla produzione di merci, anche all’interno di una logica capitalistica alla rendita corrisponde un ruolo meramente parassitario.
Negli anni 60 e 70 questa verità era chiara alla parte stragrande dello schieramento politico, nel parlamento e nelle amministrazioni locali, e alla cultura specializzata. Era la tesi comune alla sinistra, ma non solo a questa: lo testimoniano dibattiti, tentativi legislativi ed esperienze amministrative nell’area del “centrismo” a guida DC. Perfino gli esponenti dell’industria moderna, del “capitalismo avanzato”, se ne convinsero, e compresero (1970-71) che se non si fosse contenuta la rendita (in particolare quella urbana) le condizioni di vita dei lavoratori (affitto, trasporti, servizi) sarebbero divenute più costose, e quindi la pressione sindacale sarebbe cresciuta e avrebbe costretto a cedere al salario quote di profitto. Oggi no: la rendita immobiliare, componente essenziale della proprietà immobiliare, è considerata il “motore dello sviluppo”.
Che fare? Eccoci all’ultimo passaggio di questo lungo eddytoriale, che compensa del lungo silenzio. Molti (i cittadini che si mobilitano per una città migliore, i lavoratori che chiedono abitazioni meglio accessibili, meno costose, più decentemente servite, i gruppi di abitanti minacciati dallo sfratto per fine contratto o per “rigenerazione urbana”, e i loro comitati, associazioni, sindacati), quando ascoltano questa analisi, pongono questa domanda: che fare oggi? Raramente trovano risposte nel mondo degli esperti, che non siano quelle comprese negli slogan perequazione allargata (definiamola così per distinguerla da quella tradizionale, quella dei “comparti” della legge del 1942 e dei “piani di lottizzazione” della legge del 1967), rendita motore dello sviluppo, vocazione edificatoria del suolo. Proviamo a dare qualche risposta. Non sarà organica, ma tenteremo di indicare alcune possibili strade.
Il primo passo da compiere è assumere consapevolezza. Bisogna convincersi che la perequazione, nei termini in cui viene proposta e praticata, è un’imbecillità perniciosa. É un’imbecillità perché, seppure poteva avere un senso nell’età dell’espansione, non ne ha certamente nessuno oggi. É un’imbecillità perché non tiene conto che – come gli eventi recentissimi dimostrano – l’attività immobiliare non è più il motore di nessuno “sviluppo”, neppure il meno sostenibile: è solo un fattore di crisi. Ed è perniciosa perché non comporta altro che l’espansione generalizzata delle “capacità edificatorie”, comunque travestite. Predicare e praticare la perequazione allargata significa soltanto incentivare la piaga italiana dell’aberrante consumo di suolo. Criticare il consumo di suolo e continuare a difendere la perequazione è segno di ipocrisia, oppure testimonianza di schizofrenia. E infine, parlare di equità solo a proposito dei valori immobiliari e utilizzare la perequazione come strumento della pianificazione significa perpetuare ed accrescere la profonda iniquità nell’uso della città-
Ugualmente, è pernicioso continuare ad adoperare l’espressione “diritti edificatori” senza ricordare che questi vengono attribuito solo con l’atto abilitativo: non dalle decisioni del piano urbanistico generale, e neppure da quello attuativo. É sempre possibile revocare una decisione urbanistica se questa non ha ancora ottenuto effetti concreti, se non ha comportato spese per opere legittimamente e documentatamente sostenute. Il territorio non ha alcuna “vocazione edificatoria”, ove operatori e amministratori rozzi o complici della speculazione immobiliare non gliela concedano.
Resta il problema della rendita immobiliare. È un problema che richiede attenzione e, soprattutto, determinato impegno politico. Anche qui, la premessa necessaria è che si restauri il principio, mai smentito dalla teoria e continuamente confermato dalla pratica, che la rendita immobiliare è una componente parassitaria della vita economica della società: è un mero pedaggio che si paga al privilegio proprietario. La rendita immobiliare va ridotta quanto è possibile farlo, e va “tosata” a favore del potere pubblico, che è quello che la determina: è quello che, con le scelte dei piani e gli investimenti dell’urbanizzazione, storica e attuale, è produttore delle differenze e delle convenienze che la determinano.
Ridurre la rendita si può, anche con i piani urbanistici. A Napoli, quando la giunta del primo Bassolino varò con De Lucia i primi atti della nuova pianificazione (la variante di salvaguardia e quella di Bagnoli), accaddero due serie di eventi. Le pendici che dal Vomero scendono verso la città greco-romana si coprirono di vigne e orti: terreni in attesa di edificazione, restituiti in modo irrevocabile alla naturalità, ritrovarono una funzione (e un valore) di suolo agricolo. E l’IRI, proprietaria dell’area Italsider di Bagnoli, ridusse nei suoi libri contabili il valore del suolo, che aveva perduto l’edificabilità prevista.
Si può poi, e si deve, battersi per ottenere una definizione legislativa che definisca che cosa fa parte del “valore venale” dei suoli in qualsiasi negozio nel quale intervenga la pubblica amministrazione. La determinazione del “valore venale” a cui si commisura l’indennità espropriativa non è misurato dal mercato, ma dalle stime che ne fanno le strutture a ciò adibite. Non sembra affatto insensato (ed è invece del tutto coerente con le indicazioni che più volte la Corte costituzionale ha suggerito) precisare che l’utilizzabilità di tipo urbano di un suolo non va considerata tra i parametri che determinano il “valore venale” dell’area: né in caso di acquisizione pubblica, né di imposizione fiscale o tributaria.
É difficile ottenere una simile definizione normativa? Probabilmente si, ma se nessuno la propone con forza, se comuni, province, regioni, partiti e raggruppamenti politici, organi di formazione dell’opinione pubblica, università e associazioni culturali non si muovono, non propongono, non sollevano il problema (e quindi, ripetiamolo ancora una volta, non mostrano di aver assunto consapevolezza del problema) nulla potrà accadere. E allora sarà inutile meravigliarsi e lamentarsi e piangere quando l’ennesima alluvione avrà distrutto case e campi, avrà travolto persone e automobili, quando le città saranno diventate sempre più invivibili, il territorio e le sue urbanizzazioni sempre più inefficaci ai fini di una vita dignitosa, le abitazioni sempre più care, gli abitati più poveri espulsi sempre più lontano, gli spazi pubblici sempre più negletti.
E nel frattempo? Si ricominci con la pianificazione prudente. Si riparta dal calcolo dei fabbisogni reali, certi nelle esigenze e nelle disponibilità a operare, per quanto riguarda le abitazioni necessarie, e le nuove attività realmente utili per la produzione (di commercio e di “non luoghi” ce ne sono gìà troppi, meglio lasciarne deperire i sacrari e far rivivere il commercio nelle città). Si sottraggano dai fabbisogni calcolati di nuovi volumi e superfici quelli oggi inutilizzati, e si ricominci da quelli, dalla loro trasformazione e riutilizzazione. Si misuri con parsimonia quali e quante nuove aree sono necessarie per nuove attrezzature, per raggiungere standard ragionevoli, e si vincolino e acquisiscano quando si hanno le risorse per farlo. Si ripristini l’impegno (legislativo e amministrativo) di far pagare a ogni nuovo intervento gli oneri necessari per le opere di urbanizzazione connesse a quell’intervento, e li si utilizzi davvero (come prescrive la legge del 1977) per acquisire, realizzare, far funzionare le attrezzature necessarie. Si utilizzino saggiamente le vaste aree vincolabili nelle loro caratteristiche di natura e paesaggio che la legislazione consente di conservare nel loro stato senza bisogno di indennizzare il vincolo, consentendone l’utilizzazione agli abitanti delle aree limitrofe.
E si impari a fare i conti in tasca a chi compie operazioni immobiliari, ponendo a carico dei suoi oneri quote consistenti del valore dovuto all’incremento della rendita. In questa logica, come qualche comune sta iniziando a fare, si può rendere attuale un’antica intuizione di un grande esperto di diritto amministrativo, Alberto Predieri, che – a proposito della pianificazione veneziana – propose oltre trent’anni fa di inserire l’edilizia sociale tra le urbanizzazioni necessarie, da porre a carico degli standard urbanistici e dei relativi oneri. E dare così un contributo serio al problema della casa in affitto a canone sociale, di un’edilizia abitativa che resti pubblica e in affitto per sempre.
Appello. Stop al consumo del territorio!
Ma ha una malattia molto grave: il consumo di territorio.
Un cancro che avanza ogni giorno, al ritmo di quasi 250 mila ettari all’anno.
Dal 1950 ad oggi, un’area grande quanto tutto il nord Italia è stata seppellita sotto il cemento.
Il limite di non ritorno, superato il quale l’ecosistema Italia non è più in grado di autoriprodursi è sempre più vicino. Ma nessuno se ne cura.
Fertili pianure agricole, romantiche coste marine, affascinanti pendenze montane e armoniose curve collinari, sono quotidianamente sottoposte alla minaccia, all’attacco e all’invasione di betoniere, trivelle, ruspe e mostri di asfalto.
Non vi è angolo d’Italia in cui non vi sia almeno un progetto a base di gettate di cemento: piani urbanistici e speculazioni edilizie, residenziali e industriali; insediamenti commerciali e logistici; grandi opere autostradali e ferroviarie; porti e aeroporti, turistici, civili e militari.
Non si può andare avanti così! La natura, la terra, l’acqua non sono risorse infinite.
Il paese è al dissesto idrogeologico, il patrimonio paesaggistico e artistico rischia di essere irreversibilmente compromesso, l’agricoltura scivola verso un impoverimento senza ritorno, le identità culturali e le peculiarità di ciascun territorio e di ogni città, sembrano destinate a confluire in un unico, uniforme e grigio contenitore indistinto.
La Terra d’Italia che ci accingiamo a consegnare alle prossime generazioni è malata. Curiamola!
Campagna promossa da:
AltritAsti, Gruppo P.E.A.C.E. Pace, Economie Alternative, Consumi Etici - http://www.altritasti.it;
AltrItalialtroMondo, il blog del sindaco di Cassinetta di Lugagnano – http://domenicofiniguerra.wordpress.com;
Cibernetica Sociale Italia, http://www.ciberneticasociale.org;
eddyburg. Urbanistica, politica, società - http://eddyburg.it;
Movimento per la Decrescita Felice - http://www.decrescitafelice.it
Per aderire inviare una e-mail qui: info@altritasti.it
STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO
Movimento di opinione per la difesa del diritto al territorio non cementificato
Campagna nazionale
Soltanto negli ultimi 15 anni circa tre milioni di ettari, un tempo agricoli, sono stati asfaltati e/o cementificati. Questo consumo di suolo sovente si è trasformato in puro spreco, con decine di migliaia di capannoni vuoti e case sfitte: suolo sottratto all’agricoltura, terreno che ha cessato di produrre vera ricchezza. La sua cementificazione riscalda il pianeta, pone problemi crescenti al rifornimento delle falde idriche e non reca più alcun beneficio, né sull’occupazione né sulla qualità della vita dei cittadini.
Questa crescita senza limiti considera il territorio una risorsa inesauribile, la sua tutela e salvaguardia risultano subordinate ad interessi finanziari sovente speculativi: un circolo vizioso che, se non interrotto, continuerà a portare al collasso intere zone e regioni urbane. Un meccanismo deleterio che permette la svendita di un patrimonio collettivo ed esauribile come il suolo, per finanziare i servizi pubblici ai cittadini (monetizzazione del territorio).
Tutto ciò porta da una parte allo svuotamento di molti centri storici e dall’altra all’aumento di nuovi residenti in nuovi spazi e nuove attività, che significano a loro volta nuove domande di servizi e così via all’infinito, con effetti alla lunga devastanti. Dando vita a quella che si può definire la “città continua”. Dove esistevano paesi, comuni, identità municipali, oggi troviamo immense periferie urbane, quartieri dormitorio e senza anima: una “conurbazione” ormai completa per molte aree del paese.
Ma i legislatori e gli amministratori possono fare scelte diverse, seguire strade alternative? Sì!
Quelle che risiedono in una politica urbanistica ispirata al principio del risparmio di suolo e alla cosiddetta “crescita zero”, quelle che portano ad indirizzare il comparto edile sulla ricostruzione e ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio esistente.
Il movimento di opinione per lo STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO e i sottoscritti firmatari individuano 6 principali motivi a sostegno della presente campagna nazionale di raccolta firme.
STOP: PERCHÉ?
1. Perché il suolo ancora non cementificato non sia più utilizzato come “moneta corrente” per i bilanci comunali.
2. Perché si cambi strategia nella politica urbanistica: con l’attuale trend in meno di 50 anni buona parte delle zone del Paese rimaste naturali saranno completamente urbanizzate e conurbate.
3. Perché occorre ripristinare un corretto equilibrio tra Uomo ed Ambiente sia dal punto di vista della sostenibilità (impronta ecologica) che dal punto di vista paesaggistico.
4. Perché il suolo di una comunità è una risorsa insostituibile perché il terreno e le piante che vi crescono catturano l’anidride carbonica, per il drenaggio delle acque, per la frescura che rilascia d’estate, per le coltivazioni, ecc.
5. Per senso di responsabilità verso le future generazioni.
6. Per offrire a cittadini, legislatori ed amministratori una traccia su cui lavorare insieme e rendere evidente una via alternativa all’attuale modello di società.
STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO
I seguenti firmatari richiedono una moratoria generale ai piani regolatori e delle lottizzazioni, in attesa che ciascun Comune faccia una precisa “mappatura” di case sfitte e capannoni vuoti.
Sottoscrivono quindi questo manifesto perché si blocchi il consumo di suolo e si costruisca esclusivamente su aree già urbanizzate, salvaguardando il patrimonio storico del Paese.
Per visualizzare i primi oltre 400 firmatari del manifesto: http://www.altritasti.it/index.php?option=com_content&task=view&id=399&Itemid=56
martedì 30 dicembre 2008
Paleos. Cimiteri e nursery.
Il cimitero di dinosauri scoperto nello Shandong è il più grande del mondo
L´agenzia cinese Xinhua dà notizia che quello che è stato scoperto nel 2008 nella provincia dello Shandong, nella Cina orientale, è il più grande giacimento di fossili di dinosauro del mondo. Nel sito, che si estende nel territorio della città di Zhucheng, sono già venuti alla luce oltre 7.600 fossili di dinosauri, ma molti sono ancora da scoprire. Secondo Zhao Xijin, il paleontologo che segue il progetto per conto dell´Accademia delle scienze della Cina «I fossili datano al periodo mesozoico del Cretaceo superiore, quando i dinosauri sono scomparsi: Questa scoperta dovrebbe contribuire alla ricerca sul mistero dell´estinzione dei dinosauri».
PALEONTOLOGIA: DINOSAURI I PRIMI BABYSITTER
(ANSA) - ROMA - I babysitter sono antichi quanto i dinosauri: in alcune specie di rettili carnivori del passato erano i maschi a prendersi cura delle uova. La scoperta, pubblicata su Science, e' del paleontologo Jason Moore, dell'universita' del Texas, che nello Stato americano del Montana e in Mongolia ha scoperto sei nidi di dinosauro di circa 75 milioni di anni, ognuno dei quali contiene da 22 a 30 uova; nei nidi e vicino ad essi si trovano anche numerose ossa fossili che, per le loro caratteristiche, erano di esemplari maschi. Ossa e uova appartengono almeno a tre specie di dinosauri (troodonti, oviraptor e citipati), parenti dei carnivori velociraptor onnipresenti nel romanzo come nel film ''Jurassic Park''. Dalla ricerca, condotta in collaborazione con le universita' del Montana e della Florida e con il Museo Americano di Storia Naturale di New York, e' emerso che in alcune specie di dinosauri erano i maschi a prendersi cura delle uova e a sorvegliarle, proprio come oggi accade negli uccelli, nei quali i maschi partecipano alle cure parentali per il 90% del tempo. (ANSA). 19/12/2008 15:47
Economia. Arcipelago Scec a Prato.
Con lo SCEC contro la crisi del tessile
Arcipelago SCEC, l'associazione che si occupa della distribuzione dei Buoni Locali SCEC allo scopo di aumentare il potere d'acquisto delle famiglie e agevolare l'economia locale, tramite il suo coordinamento regionale ha deciso di organizzare, in Toscana, tavoli di lavoro per specifici settori di attività.
Il nostro Massimo Signori, già imprenditore e fervente attivista dei Cittadini Uniti Montemurlesi, è stato designato come responsabile provinciale del settore tessile. “Abbiamo intenzione – spiega Massimo - di organizzare uno SCEC Market dell'abbigliamento, un vero e proprio punto vendita dove si possano comprare maglie, sciarpe, cappelli, …, che vengono fatti a Prato. Grazie agli Scec potranno essere comprati prodotti made in Italy, o meglio made in Prato, a prezzi molto convenienti sia per il cliente che per il produttore locale che potrà rafforzare la sua posizione sul mercato pratese. In questa maniera riusciremo a mantenere la ricchezza sul territorio, salvando molti posti di lavoro ed agevolando le famiglie che arrivano difficilmente a fine mese.
Caccia. Stamani sit-in a Firenze
Firenze. Verdi: fuori le idee!
Firenze. Primarie affollate per la coalizione.
Il presidente del consiglio comunale è il candidato della Sinistra, Clementini dell'IdV. Per i socialisti potrebbe esserci Nencini
Il presidente del consiglio comunale di Firenze, Eros Cruccolini (nella foto), è il candidato della «Sinistra» (Sd, comunisti della Belillo e vendoliani) alle primarie della coalizione di centrosinistra per la scelta del candidato sindaco di Firenze. Lo ha deciso durante l’assemblea ieri sera degli aderenti a «La sinistra». Per la Provincia, la candidata della «Sinistra» alle primarie è Marzia Monciatti, ex assessore provinciale. I Verdi non sembrerebbero intenzionati a indicare propri candidati.
L'ITALIA DEI VALORI - Anche l’Italia dei Valori presenterà propri candidati alle primarie della coalizione del centrosinistra per la scelta dei candidati alla carica di sindaco e di presidente della Provincia di Firenze. Lo ha deciso, nella notte, il gruppo direttivo dell’IdV che ha dato via libera alla candidatura del segretario fiorentino Sabatino Clementini per il Comune e del segretario provinciale Alessandro Cresci per la Provincia. Aumenta ancora, dunque, il numero dei candidati per le primarie di coalizione per la poltrona di sindaco di Firenze. Ieri sera l’assemblea del Pd, convocata per ratificare l’accordo di coalizione raggiunto dal segretario cittadino Giacomo Billi, si è conclusa con un nulla di fatto per la mancanza del numero legale ed è stata aggiornata all’8 gennaio. Ora i candidati del Pd sono quattro: l’assessore Tea Albini, lanciata dall’associazione Firenze Democratica che fa capo all’assessore Graziano Cioni, l’altro assessore comunale Daniela Lastri, il deputato Lapo Pistelli e il presidente della Provincia Matteo Renzi.
I SOCIALISTI - Se il Pd fiorentino accetterà di far slittare al primo marzo le primarie di coalizione per la scelta del candidato a sindaco di Firenze, il Partito Socialista metterà in campo il suo segretario nazionale, e presidente del Consiglio regionale toscano Riccardo Nencini. Lo ha reso noto oggi il segretario toscano del Ps Pieraldo Ciucchi. Ciucchi si è detto preoccupato per l’assenza di regole certe per le primarie di coalizione e ha spiegato che è necessaria «una riflessione per arrivare a regole condivise e valide per tutti affinchè tutti i candidati possano partire dalla stessa linea di partenza». Secondo Ciucchi «una par condicio è imprescindibile, a partire dal rispetto e dalla verifica delle regole sui tetti di spesa già definiti». «Se poi non venisse accolta la nostra richiesta di far slittare di un mese le primarie di coalizione - ha aggiunto - allora potremmo anche pensare a uno smarcamento».
30 dicembre 2008
Prato. Margini di tolleranza
Ma la maleducazione e l'arroganza no, eh? Il continuare a pensare che la nostra è sempre l'eccezione giustificabile.
Gli autori della protesta sono certi di non aver dato noi a nessuno, ovvio... visto che con molta probabilità nemmeno lo hanno chiesto a qualcuno...
Il Sorcio Verde
per Municipio Verde
da la Nazione del 30/12/08
LA TEMPERATURA era rigida (vicino alla zero o giù di lì), il pubblico del concerto, molto atteso al Politeama, di Massimo Ranieri possiamo dire prevalentemente maturo e composto anche da numerosi over 65. Queste le plausibili giustificazioni al parcheggio, certamente vietato, in piazza Duomo, lato fermata del bus, di almeno una ventina di auto.
Bello il concerto, applausi e bis. E all’uscita gli spettatori che avevano lasciato l’auto «senza intralciare in alcun modo» in piazza Duomo, oltre alla tramontana hanno trovato anche il foglietto verde dei vigili che annunciava la multa da 36 euro.
«Niente da eccepire per la forma» ci ha detto uno degli automobilisti amareggiato «resta la constatazione della mancanza di tolleranza da parte della polizia municipale: le auto erano in evidente divieto di sosta, ma non davano noia a nessuno e poi faceva un freddo cane».
La multa che il nostro lettore ci ha mostrato era stata fatta alle 23, 24. Anche i vigili avranno sentito il freddo, avranno saputo che lì vicino c’era il concerto: «Perché non usare una volta un po’ di tolleranza?».
Prato."Non gioco più, me ne vado..."
Ma.. il problema nello "schieramento" sulla "aggressione" alla illegalità si chiama forse Milone? Oppure ci sono altri nomi e cognomi che dobbiamo sapere? Certo, qualcuno glielo poteva anche chiedere perché se lo è tenuto in giunta fino alle sue dimissioni... e potremmo chiederlo anche al famoso "schieramento"... MV
da la Nazione del 30/12/08
Il sindaco: «Dal Comune risposte straordinarie»
IL SINDACO non ha dubbi: «Prato sta vivendo una fase molto difficile, ma oggettivamente le risposte dell’amministrazione sono state straordinarie». Lo ha detto e ripetuto ieri mattina, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno con la giunta (nella foto), l’ultima per lui. Ha fatto un lungo elenco di cose fatte e di progetti in cantiere, Romagnoli, usando sei volte l’aggettivo «eccezionale» per descrivere i risultati conseguiti. Un parere legittimo, sul quale però tanti non saranno d’accordo e non solo nell’opposizione.
HA DETTO che gli investimenti sono stati in media di 60 milioni di euro all’anno, con uno sviluppo di altri 200 nel prossimo triennio, di cui 65,5 nel 2009. «Dal 2004 — ha aggiunto — la spesa sociale è cresciuta di oltre cinque punti, passando dal 19.3 al 24.6%, con una media annua, di 30 milioni di euro». Poi il nodo illegalità: «Abbiamo aggredito la questione, con qualche problema nello schieramento che sorregge la giunta, anche rispetto alla specifica situazione pratese di illegalità economica. L’esito di questa volontà sono i due patti per Prato sicura siglati col governo, la cui efficacia è stata attestata anche dal sottosegretario Mantovano».
COME nelle ultime conferenze stampa di fine anno, ha parlato dell’ex Banci — «è già accertata la disponibilità finanziaria» —, dei lavori per la seconda tangenziale, dei nuovi lotti della Mezzana-Perfetti-Ricasoli, della Prato-Signa. Poi l’impegno sull’edilizia scolastica: otto le nuove scuole e cinque quelle ampliate, per una spesa di oltre 19 milioni. Ha ricordato le nuove regole per l’urbanistica (meno case al posto delle fabbriche), il lavoro per la variante al prg, i 26 milioni spesi per le infrastrutture a partire dai sottopassi e la manutenzione stradale «con 120 cantieri aperti» (ma ancora tante buche da tappare). Investimenti, ha detto il sindaco, «avvenuti senza frugare nelle tasche dei pratesi, con tasse e tariffe cresciute meno dell’inflazione, nonostante risorse declinanti per i tagli ai Comuni».
TUTTO ciò è stato possibile, ha aggiunto, «perché abbiamo messo i conti a posto, con un indebitamento ridotto e una spesa corrente praticamente ferma, con un duro lavoro sul bilancio in cui si è cimentato il vice sindaco Bencini». In chiusura solo una battuta sul secondo mandato che non ci sarà: «Mi è stato chiesto di fare il sindaco e l’ho fatto con grande impegno. Ora non c’è più bisogno di me e torno al mio lavoro, soddisfatto di quanto fatto e senza amarezza».
Prato. Ambiente: oh, che bravi!
L’ambiente regala un sorriso Strade pericolose, troppi incidenti
SE NON FOSSE per Siena, sarebbe l’unica provincia toscana a brillare nella top ten delle città premiate dalla classifica del Sole 24 Ore per l’ambiente. La pagella ecologica assegna a Prato un soddisfacente ottavo posto. “La buona performance pratese – spiega l’assessore Curcio - dipende da alcuni fattori vincenti come l’allargamento della rete di piste ciclabili per 70 chilometri, la maggiore presenza di aree verdi attrezzate, l’aumento del trasporto pubblico nel quadro di un miglioramento della qualità dell’aria. E’ significativo aver ottenuto questo riconoscimento in una realtà a vocazione industriale”.
Le strade pratesi? Se le conosci le eviti: 644,58 incidenti ogni 100mila abitanti nel 2007 uguale 99esimo posto.
Sottolinea il presidente dell’Aci provinciale Federico Mazzoni. “È stimato – fa notare – che il 98% degli incidenti dipende dal fattore umano. Non ci sono alibi, le responsabilità di questo risultato sono anche dei pratesi e del loro comportamento al volante. Detto questo, indubbiamente la nostra rete stradale necessita di misure urgenti per la messa a sicurezza del manto stradale e la segnaletica del traffico”. M.L.