Cioni, rimpiange il Pci e apparecchia il Pd
Passato e presente dell'Assessore alla Sicurezza del Comune di Firenze che ha firmato la discussa ordinanza sui lavavetri
FIRENZE — «Dimmi, Piero». Con l'aria di uno che non ha tempo da perdere, due funzionari congedati con un cenno della mano, un giornalista dall'altra parte della scrivania e l'incombente appuntamento in Prefettura, «dove dirò quali sono i consigli da dare ad Amato». Il segretario dei Ds è in treno, la linea cade di continuo. «Piero, non ti sento, Pierooo…». Galleria. A guardare Graziano Cioni nel suo ufficio al terzo piano di Palazzo Vecchio si capiscono in fretta un paio di cose che lo riguardano. In ordine sparso: è il padrone di casa e non fa nulla per nasconderlo; sarà un perfetto sconosciuto per i media nazionali che in lui e nella sua ordinanza sui lavavetri hanno trovato l'uomo di sinistra che le canta chiare alla sinistra, ma non lo è per i protagonisti della politica nazionale. Da Fassino e D'Alema passando per Giulio Andreotti «che una volta al mese mi manda i saluti», Cioni ha per tutti un aneddoto di vita vissuta. Parla dei suoi sette anni passati in Parlamento come di «una noia mortale». Ci tiene a presentarsi come un outsider, un cane sciolto dell'antipolitica, ma in realtà ci è da sempre dentro mani e piedi, a livello cittadino e nazionale. Con i suoi mocassini usurati, le camicie a manica corta, la barba arruffata ed un linguaggio colorito, Graziano Cioni è un reperto proveniente da un'altra epoca.
Il perfetto comunistone, del quale incarna pregi e difetti. Un uomo che in cuor suo, rimpiange i tempi di quando c'era il Pci e ci si commuoveva alle feste popolari, ma anche un dirigente che sa cos'è il potere e come usarlo. Quando racconta del suo passato, si inorgoglisce nel sottolineare l'odio che nutrivano per lui gli indiani metropolitani del '77 e i terroristi di Prima Linea. «Vedevano in me il Pecchioli di Firenze », azzarda in un paragone con Roma e Bologna, e gli si gonfia il petto nell'evocare il nome di un pezzo di storia del vecchio Pci. L'estrema destra lo ha tutt'oggi nei suoi pensieri. «Cioni ti ammazzeremo come Fanciullacci», è la scritta apparsa sui muri l'anno scorso. Il partigiano Fanciullacci, torturato dai fascisti e morto suicida per non tradire i suoi compagni, «è il mio idolo, il modello a cui mi ispiro». Graziano Cioni, nato a Empoli nel 1946, oggi sarebbe un semplice assessore. Ma la targhetta fuori dall'ufficio è di formato extralarge, perché contiene l'elenco delle sue quattordicimila deleghe. Molto amato, altrettanto odiato. Lo accusano di essere massone, di essere un dalemiano, e molto altro ancora. L'ordinanza sui lavavetri è il punto d'arrivo di una onorata carriera di scossoni da prima pagina. «Spero di aver fatto capire a tutti che parlare di sicurezza non basta. Alle parole devono seguire i fatti, altrimenti non si va da nessuna parte». Nel 1988 finì anche sul Times, perché decise di chiudere alle auto il centro di Firenze, creando così la zona a traffico limitato più grande d'Europa. Le sue ordinanze muscolari sui venditori abusivi non si contano, come quelle sugli schiamazzi notturni. Nel 2001 fece arrestare un'imprenditrice che gli aveva allungato trentamila euro «di anticipo» sulla scrivania. Sono episodi che snocciola con un modo di fare guascone, che risponde esattamente all'immagine che vuole dare di sé, quella di un uomo duro, energico e tutto d'un pezzo. Con i giornalisti è prodigo di notizie, e se ne inventa una al giorno.
L'ultima è di oggi, ha letto di un vecchio lavavetri che adesso si sente disoccupato, ha alzato il telefono per dire alla Confesercenti di dargli un lavoro, e subito dopo ha fatto il numero delle redazioni. In cambio, impone il contrappasso di tremendi cazziatoni ai malcapitati redattori di articoli sgraditi. Quando ha saputo del lavavetri redento, anche sua figlia Beatrice lo ha chiamato per dirgli che forse stava un po' esagerando con la demagogia. Lo racconta divertito, questa notorietà gli piace, e si vede. «Cosa vuole, non nego di avere peso politico. E credo di saper fare il mio mestiere». Molto prima che la politica italiana si americanizzasse, lui aveva inventato le cene elettorali per raccogliere fondi. Nel 2003 apparecchiò 5.000 persone all'Ippodromo, record che sta per essere battuto dalla cena per il Partito Democratico in programma per il 14 settembre. Nella nuova creatura politica, finirà inevitabilmente per contare. Ma ne parla con l'entusiasmo di un paziente in sala d'attesa dal dentista. «Noi abbiamo una storia da difendere. Amendola diceva che non bisogna buttare via il bambino e l'acqua sporca. Non vogliamo morire democristiani, è così che avevo intenzione di chiamare le mie liste per il Pd». Su una parete del suo ufficio c'è un'altra sua invenzione, le immagini cruente della campagna «Ti voglio vivo» dedicata alla sicurezza stradale. Appena più sotto, c'è una bacheca con le foto di una ragazza. Graziano Cioni è un uomo che sa cos'è il dolore, questo non lo può negare neppure il più accanito dei suoi molti nemici. La ragazza che sorride nelle foto si chiamava Valentina, ed era una dei suoi cinque figli. È morta il 23 novembre 1996, in un incidente d'auto. «Lo sa che qui a Firenze ogni 15 giorni c'è un padre e una madre che piangono un figliolo e nessuno fa nulla? Si pensa sempre tocchi agli altri, e non a te». Poi succede qualcosa. Cioni, l'uomo tutto d'un pezzo, si commuove. «Lasci stare», dice con gli occhi lucidi. No, vada avanti. Lo fa, leggermente paonazzo in volto. «Tutti mi rompono i coglioni con questa storia che sono dalemiano. Ma lei sa chi fu il primo che bussò alla porta di casa mia quando morì Valentina? Il signor D'Alema. Si era fatto la strada da Roma fino alla campagna di Empoli, per abbracciarmi. E mi raccomando, non scriva che mentre glielo dicevo mi sono messo a piangere».
Marco Imarisio
31 agosto 2007
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