La nostra fragilità messa a nudo
Il terremoto ha lasciato nudo, ancora una volta, l’uomo di fronte a se stesso, ai propri errori, alla propria fragilità, e ci ha fatto comprendere, senza che lo volessimo, la relatività assoluta del nostro malessere. Tuttavia, c’è qualcosa di diverso in quest’ennesima calamità che ha devastato L’Aquila e l’Abruzzo. Anche la città simbolo della tenacia, fiera - com’è da sempre - della propria silenziosa virtù, è caduta, sbriciolata insieme ai suoi monumenti, ai simboli stessi di quei valori. Niente si è salvato, pure le frazioni storiche del contado, fedeli compagne della grande storia della civiltà rurale che attraversato questo territorio, hanno subito analogo e, semmai ancor più rovinoso, destino, addirittura sparendo, forse per sempre, dalla geografia di questi luoghi.
Tutto ciò, in una paradossale contrapposizione, ha messo a nudo, semmai ancor più crudemente, insieme alla coscienza individuale di ognuno di noi, tutta la società italiana con i suoi infiniti difetti che sono oggi da misurare, uno per uno, con le infinite storie, commoventi e appassionate, di gente virtuosa che di quei valori ha fatto da sempre motivo di orgoglio.
Questo incomprensibile sacrificio è in realtà una grandiosa metafora che sottolinea l’importanza proprio di quei valori perdutisi in un sol colpo. Ecco perché, dopo questo cataclisma, tutto ci appare improvvisamente prezioso e “finalmente” comprendiamo, anche se in un fuggevole pensiero, quanto sia sbagliato dissipare le nostre risorse più preziose. Con questo pensiero il senso di un semplice gesto di solidarietà può assumere un significato diverso.
Improvvisamente ci sentiamo debitori nei confronti di chi ha perduto tutto, e forse proviamo analoghe sensazioni di fronte ai deboli che vivono intorno a noi, e persino sconforto pensando alle attenzioni mai date verso la nostra stessa città, l’ambiente avito, la storia che di un colpo può sparire, obliterarsi come un reperto archeologico sotterrato, senza che si sia mai fatto nulla di concreto per capire, custodire, salvaguardare, trasmettere tutto ciò ai posteri. Ecco perché di fronte al dramma che si consuma nel volgere di poche ore, annullando ogni qualsivoglia prospettiva futura, occorre inequivocabilmente confrontarci nell’esigenza insopprimibile di dare risposte a queste domande, con risposte non di comodo, ma di sostanza, non date per giustificare scelte inconsapevoli.
Le troppe menzogne, i compromessi quotidiani e le politiche dei furbetti sono rese talmente palesi e miserevoli da questo stato di cose da apparire disgustose e vomitevoli. Ecco perché, prima delle case e dei muri, il terremoto ha inciso profondamente sulle nostre esistenze intorno ad una coscienza che, forse, credevamo di avere perduto.
Adesso (ma quanto durerà tutto questo?) dentro di noi, il vento dell’intolleranza soffia in un collo di bottiglia che mostra ben altri obiettivi, restituendo con la verità oggettiva dei fatti, solidarietà e comprensione verso la povera gente, gli umili e gli altri, “finalmente” riconosciuti senza distinzione di razza, colore o diversità culturali. Così i romeni, i macedoni d’Abruzzo, muratori e pastori in una terra condivisa con noialtri come patria comune, sono loro pure eroi del nostro tempo, perchè hanno dato voce, con il loro dramma, alla vergognosa manfrina che alimenta l’artefatto razzismo odierno; così come le piccole, grandi storie di una popolazione studentesca, bistrattata e relegata all’indifferenza sociale, ma resa improvvisamente martire dal sisma, hanno finalmente acceso i riflettori sulle cose che dovrebbero davvero contare per il futuro di noi tutti; eppoi, ancora, rendere omaggio a tanti uomini e donne di buona volontà che hanno reso fiera ed orgogliosa una città ed una regione, con la nazione tutta che ora assiste allo loro dignitosa ricostruzione per tornare ad imparare a vivere, comportandosi civilmente, su questa terra.
Giuseppe Centauro
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