Per l'ennesima volta, i numeri sono a smentirlo: grazie proprio al loro apporto, Prato riesce a "rimanere aperta", e ad avere un saldo positivo di esercizi commerciali a fronte di una situazione toscana che definire drammatica (oltre settemila imprese in meno nel 2008 rispetto al 2007) è usare un eufemismo.
E sono cinesi che frequentano i corsi di Confesercenti, che si iscrivono regolarmente alla Camera di Commercio... Insomma, niente di diverso rispetto agli italiani, che si preparano molto probabilmente ad una ennesima nuova tornata di chiusure, con l'apertura della Multisala in vista.
Certo, si avanzano dubbi sulla "qualità" di queste nuove attività commerciali, ma verrebbe da far notare che negli ultimi anni la standardizzazione dei prodotti in tanti campi e la sostanziale improvvisazione di tanti commercianti italiani (pochi sono quelli che avevano il negozio "di famiglia") ha portato prima ad una esplosione delle attività in alcuni settori - ad esempio l'abbigliamento, dove la preparazione di base richiesta è molto scarsa - ovviamente più esposti alla concorrenza della grande distribuzione organizzata. In più, vorremmo far ricordare bene come il vecchio negozietto di quartiere era ben lontano da tutti gli standard "di qualità" che intendiamo oggi: quello che contava (e dovrebbe tornare a contare) era spesso il rapporto umano, più dell'infiocchettamento del "prodotto".
Forse è il caso di ritornare a pensare che il negozio è dove si va a comprare le cose che ci servono, dove si va a scambiare due chiacchere, dove magari ci si imbestialisce con il commerciante perché ci ha pesato anche il cartoccio invece che solo il netto, e non una vetrina... con dietro il niente...
MV
da la Nazione del 29/04/09
I negozi? Sono di più ma ora parlano cinese
Confesercenti: in Toscana meno 7mila nel 2008, a Prato più 45. Diddi: «Imprese di bassa qualità»
BENVENUTI nel tempo del negozio usa e getta. C’è una sorpresa nei dati diffusi in questi giorni dalla Confesercenti regionale sulle difficoltà del commercio toscano e quella sorpresa si chiama Prato. In tutta la Toscana nel 2008 hanno chiuso 7mila imprese e la perdita di posti di lavoro ha fatto segnare uno scoraggiante meno 5mila, eppure il riscontro cittadino è completamente diverso. Sì, perché se alla fine del 2008 le chiusure risultavano 647, le aperture erano di più, a quota 692. Un saldo positivo di 45 esercizi che ha poche analogie in Italia e pochissime in Toscana, per non dire nessuna. Effetto, ancora una volta, della massiccia presenza di stranieri, e di cinesi in particolare, in tutta la provincia.
COME PER la popolazione, è indubbio che la spinta verso l’alto venga proprio dall’immigrazione. Sono tanti i segnali che arrivano da Confesercenti e Unione. La prima, ad esempio, ha registrato un massiccio incremento di cinesi tra i chi frequenta i corsi per la formazione imprenditoriale, mentre l’Unione cita un dato che ricorda la «biografia» di moltissimi laboratori cinesi: «In Italia dal 2002 hanno chiuso 51mila imprese e 10mila soltanto nei primi dieci mesi del 2008 — dice Riccardo Diddi, direttore dell’Unione commercianti — Il decreto Bersani ha introdotto una grande volatilità e adesso la vita media di un negozio è di 5 anni e mezzo, mentre prima arrivava a 15 anni». Quante piccole aziende tessili cinesi sono rimaste aperte anche molto meno?
IL COMMERCIO, insomma, sta assorbendo alcune caratteristiche negative del distretto parallelo, almeno sotto il profilo della qualità d’impresa. Aggiunge infatti Diddi: «Non è tutto oro quello che luccica. Il dato maschera le difficoltà che a Prato sono maggiori che da altre parti. Dal 2002 al 2008 il saldo dei negozi è stato positivo di 350 unità e di 150 nel turismo, ma questa grande volatilità porta anche dispersione di risorse e di ricchezza, oltre ad un abbassamento degli standard d’impresa e ad un problema sociale, perché un’azienda che chiude produce danni per i fornitori diretti ma anche per le famiglie, con la perdita di posti di lavoro. A Prato l’incremento delle attività straniere è molto forte, ma in tanti casi le imprese sono improvvisate ed i titolari non hanno una preparazione sufficiente». La ricetta dell’Unione si basa sulla differenziazione merceologica: «La liberalizzazione ha prodotto solo problemi e non ha favorito la qualità, ai futuri amministratori chiediamo di avere il coraggio di denunciarli. Perché in un centro commerciale si può decidere quali negozi far aprire e sul territorio no?».
ANCHE Confesercenti vuole vederci chiaro nei dati del registro imprese della Camera di commercio e così ha in programma un approfondimento per capire come sono i nuovi esercizi: «Di sicuro la spiegazione all’aumento dei negozi non si trova in centro, che ha sofferto e continua a soffrire (ci sono oltre 100 fondi sfitti) — commenta il direttore Aldo Lorenzi — Diciamo che probabilmente c’è un incremento delle attività straniere, soprattutto cinesi, come testimoniano i nostri corsi di formazione. E’ altrettanto vero però che le nuove imprese sono regolari, se figurano sul registro della Camera di commercio, e dunque hanno diritto a rimanere nel tessuto economico cittadino. Da verificare, semmai, è la qualità dei nuovi negozi e in quali settori operano. Prato è in controtendenza, è vero, ma i problemi restano. I piccoli commercianti sono assediati. Finora hanno lottato contro i Gigli a est e ora aprirà, ad ovest, la multisala. In più il primo trimestre dell’anno ha segnato un rallentamento dei consumi. Per ora si resiste, ma è dura».
L.B.
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