TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

domenica 8 giugno 2008

Prato. Una citta verde che funzioni è ancora possibile?

Il documento che segue è del Gruppo 38-1.
Lo condividiamo profondamente e vorremmo che chi, come noi è fortemente critico sull'operato di questa Giunta e sul modo in cui si governano le trasformazioni urbanistiche della Città, si faccesse sentire, allo scopo di creare un vero e proficuo dibattito. MV


Prato, 6 giugno 2008

Governo del territorio: sviluppo e qualità dell’abitare

La redazione del piano Secchi e la sua attuazione sembravano prefigurare, nel contesto della storia pratese, un nuovo punto di partenza per costruire una città moderna, per dirla con lo slogan di Secchi “una città verde, che funzioni”, per abitare, muoversi e produrre, in grado di affrontare le sfide della trasformazione urbana in continuità con la sua tradizione e di riprodurre ed innovare il proprio capitale sociale fatto di conoscenza e coesione.
Da allora Prato, e il mondo, sono cambiati non poco. Ma rimandare a quel piano le colpe di una trasformazione urbana confusa e di bassa qualità nasconde in realtà una grave carenza e una profonda responsabilità della politica: è l’assenza di una governance chiara nei suoi obiettivi che ha segnato la vita di questa città in un periodo di profonda trasformazione.
E’ il ritrarsi della politica che ha favorito questo processo, uno spostamento enorme di capitali verso le attività immobiliari, consentendo a molti di sfruttare rendite di posizione di diversa natura per perseguire la massimizzazione dei tornaconti individuali senza alcun disegno d’insieme e senza una reale direzione strategica delle linee di cambiamento del tessuto urbano.

La crisi attuale non dipende certo solo da questo ma è indubbio che il baricentro dell’economia locale si sia spostato in questi anni verso due attrattori fondamentali: il mercato immobiliare e le attività (dirette e indotte) della comunità cinese.

Questi processi sembrano delineare un nuovo gradiente in cui l’uso privato e disordinato del territorio ha interrotto il legame tra questo e il sistema economico che lo pervadeva con una sorta di “liberi tutti” in cui la politica ha fatto più di un passo indietro, le risorse imprenditoriali si sono concentrate dove le partite erano più semplici (e i profitti più sicuri) e le aziende hanno privilegiato “modelli non innovativi” di contenimento dei costi con un ricorso patologico a forme di lavoro a termine e un abbassamento delle competenze professionali.

Era da questo che si doveva ripartire per affrontare seriamente i problemi della città: non solo dalla crisi del tessile ma da questo rapporto ormai spezzato tra industria, territorio e cittadini che lo abitano. La caduta della coesione sociale, la crescente polarizzazione della ricchezza (che almeno una volta era legata a scommesse imprenditoriali che la ridistribuivano anche ad altri attori economici), l’attrazione fatale dell’economia sommersa (che certamente non riguarda solo i cinesi), la crescente precarietà sociale e del lavoro, non possono trovare risposte semplificate o, peggio, illusorie.

Su queste questioni invece si assiste ancora ad un preoccupante gioco, o assenza, delle parti. Prendiamo la questione calda di queste settimane: la variante sulla declassata. Vorremmo porre qualche questione in merito.
Per un sistema che subisce trasformazioni così forti e rapide sarebbe stato necessario “partire per tempo” nell’analizzare e comprendere la portata dei cambiamenti profondi, nell’individuare le linee e le priorità di intervento con un grande processo di trasparenza e di coinvolgimento delle risorse di questa città. Com’è possibile che il più grande progetto di trasformazione urbana (nel senso delle dimensioni) degli ultimi decenni si possa definire a prescindere da quale sarà il destino del centro storico, del macrolotto zero o delle operazioni che si faranno al posto (o dentro) i volumi degli insediamenti industriali dismessi.?
Come si può sostenere la logistica e il terziario avanzato (peraltro più presunto che reale) ma senza che si provi davvero a stabilire quali legami, quali opportunità vi possono essere tra queste attività e il manifatturiero?
Come si può parlare di polo espositivo (anzi di polo multifunzionale) ma senza alcun esplicito riferimento alle difficoltà del sistema fieristico italiano e senza che da parte degli industriali e, più in generale, dai soggetti imprenditoriali di questa città sia venuta fuori una proposta, o una visione, sul ruolo che il polo potrebbe avere e su come essi potrebbero essere disponibili ad un coinvolgimento nella gestione?

E’ una discussione schizofrenica. Le iniziative sulla partecipazione promosse dal comune sembrano
non fornire un grande aiuto in questo momento. Con un piano strategico nato con un profilo incerto e non aggiornato da due anni, senza alcun documento che esprima davvero le linee guida e la visione dell’Amministrazione comunale, con un dibattito pro-forma e confinato in tempi strettissimi. Con le prime iniziative di partecipazione del piano strutturale che sembrano riflettere, per scelta di temi, orari, modi di pubblicità, una scarsa volontà ed interesse di effettivo coinvolgimento da parte della amministrazione. In un quadro in cui gli attori economici della città sono - in gran parte – assenti e in attesa di valutare gli sviluppi.

Nell’incontro di martedì scorso che aveva per tema “I progetti per la declassata e il Polo espositivo” non si è fatto eccezione. Porre sullo stesso piano i progetti privati e quello di Urban è sbagliato. Perché quell’area è preziosa per Prato ancora prima che per i proprietari. Perché non si tratta di effettuare interventi architettonici da integrare in un improbabile puzzle ma di capire se davvero è da una trasformazione complessiva, coerente, integrata e sostenibile di quell’area che si può aprire un futuro (almeno un pezzo di futuro) diverso per la nostra città. Qui dovrebbe essere il ruolo di guida dell’Amministrazione Pubblica, mentre invece sembra, almeno da alcune dichiarazioni, di assistere ”a posteriori” al tentativo di aggiustare gli obiettivi pubblici rispetto alle scelte progettuali e di investimento dei privati fatte in totale autonomia.

E in effetti siamo arrivati ad una situazione assurda: in Regione sono stati presentati documenti relativi alle infrastrutture incompatibili col progetto Urban, il Sindaco ha detto che il progetto Urban è il “suo progetto”, mentre l’assessore Ciuoffo ha dichiarato “che toccherà all’ufficio di piano pensare alle eventuali ricuciture” coi progetti dei privati.
Forse nell’amministrazione ci sono linee ed obiettivi divergenti? Se si tenta uno sforzo di comprensione della vicenda si resta quantomeno disorientati.

E’ forse utile ricordare che le migliori esperienze europee evidenziano la necessità di una stretta interazione settoriale nell’ambito delle politiche urbane. Solo da questa integrazione e coordinamento possono prodursi elementi e sinergie positive anche in termini di sviluppo economico. Altrimenti il rischio è quello della perdita di efficacia delle politiche e, semmai, del reciproco ostacolo fra le diverse azioni. Insomma occorre coordinare tre ambiti di politiche: sviluppo economico, urbanistica e pianificazione, ambiente, mobilità e infrastrutture.
In altri termini, ciò significa che la trasformazione della città è una cosa troppo seria e complessa per lasciarla solo nelle mani di un singolo settore e richiede una grande capacità e pratica di coordinamento.

Non vorremmo arrivare ad un punto in cui nell’area della declassata siano aperti solo i cantieri privati, con infrastrutture funzionali a piccoli interessi, con altri sottopassi e “fiocchi” autostradali (peraltro tra più brutti d’Europa in un ambiente urbano) e con il rinvio a tempi migliori (cioè a mai) di un progetto che potrebbe davvero essere il primo passo verso un’altra Prato ma che è ancora tutto da mettere a fuoco a da costruire.

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