TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

domenica 30 novembre 2008

Base Nato di Vicenza. Due anni di partecipazione e democrazia.


30/11/2008 fonte: Presidio Permanente No Dal Molin, Vicenza.


Due anni fa eravamo ugualmente diversi

[...] Il 2 dicembre 2006 ha segnato, per la nostra città, l’inizio di una metamorfosi che l’ha portata non solo a essere sotto i riflettori, ma soprattutto a costruire strumenti sempre nuovi di partecipazione e democrazia [...]


Due anni fa, di questi tempi, eravamo alle prese con l’organizzazione della prima manifestazione nazionale contro la nuova base statunitense al Dal Molin; era la vigilia del 2 dicembre, Vicenza nel mondo era conosciuta soltanto per la sua fiera dell’oro e, per i cultori dell’architettura, per le tracce lasciate da Andrea Palladio. Ci aspettavamo 5 mila persone a sfidare il freddo e i sei chilometri di marcia che dividevano la casema Ederle dal parco della Lobbia dove, dopo aver costeggiato l’aeroporto Dal Molin, si concludeva la manifestazione; ne arrivarono 30 mila. Mentre il corteo attraversava i quartieri, migliaia di persone scendevano dai condomini come tante gocce a formare un fiume in piena che, da quel giorno, avrebbe rimodellato il volto di Vicenza con la continuità e l’ostinazione che caratterizzano il movimento dell’acqua.Avevamo capito ben poco, quella sera del 2 dicembre 2006, di cosa stava avvenendo a Vicenza. Eravamo entusiasti per il risultato di una manifestazione che, ci dicevamo, non poteva che convincere il governo Prodi a chiudere la porta della nostra casa agli statunitensi; il 16 gennaio 2007, con l’editto di Bucarest e il vigliacco “non mi oppongo” scandito dall’allora Presidente del Consiglio, ci riportò alla dura realtà della politica rappresentativa non dei cittadini, ma delle lobbies. Guardavamo a quel serpentone di donne e uomini come a un avvenimento storico, irripetibile nella città che credevamo di conoscere come laboriosa ma distaccata; il 17 febbraio 2007, quel che l’ha preceduto e, soprattutto, quanto è venuto dopo, ci hanno smentito.Il 2 dicembre 2006 ha segnato, per la nostra città, l’inizio di una metamorfosi che l’ha portata non solo a essere sotto i riflettori, ma soprattutto a costruire strumenti sempre nuovi di partecipazione e democrazia. Tanto che, due anni dopo quella prima, grande manifestazione, la città del Palladio ospita un convegno dove gli amministratori locali e i cittadini discutono, insieme, di beni comuni e federalismo. Della necessità di trovare spazi nuovi per l’espressione dei bisogni e delle istanze degli abitanti di un territorio. Dell’insufficienza del voto elettorale per dare alla democrazia un volto. Non avevamo capito, quella sera del 2 dicembre 2006, che Vicenza non solo aveva imboccato il cammino dell’opposizione alla nuova base militare statunitense, ma che, difendendo la propria terra avrebbe costruito, nei mesi, gli spazi per un ragionamento sul rapporto tra quotidianità e territorio, tra municipalità e democrazia, tra socialità e condivisione. La vicenda Dal Molin e la mobilitazione che, a partire dal progetto statunitense, si è generata, ha permesso l’espressione di un malessere di forma e, soprattutto, di sostanza, che deborda la singola questione per mettere in discussione il rapporto tra cittadinanza e istituzione, laddove il cittadino non accetta più di essere un governato e respinge l’assunto per cui democrazia significa delega. Nella nostra ingenuità, non avevamo intravisto le potenzialità di quel che, collettivamente, avevamo iniziato a costruire più di 24 mesi fa. Ma quando una vicenda diventa miccia per ridefinire le forme della convivenza sociale, essa ha aperto un processo comunque irreversibile; non c’è ritorno allo status quo laddove le istituzioni preesistenti perdono la propria legittimità perché riconosciute autoritarie e altre rispetto alle dinamiche comunitarie; non c’è spazio per “estirpare alla radice il dissenso locale”, come avrebbe voluto il commissario Costa, quando tanti individui si riconoscono come comunità e fondano un’identità collettiva a partire dal proprio impegno quotidiano. Avevamo capito ben poco del cantiere che, quel 2 dicembre, si stava aprendo a Vicenza; poco male, perché oggi possiamo dire che quel che vogliamo costruire è un’opera molto più grande di quella a cui ci opponiamo: è una nuova pagina nel libro incompiuto della democrazia. Ugualmente contrari alla nuova base militare; altrettanto diversi, rispetto ad allora, nella consapevolezza della strada che abbiamo imboccato.

Nei palazzi romani e nelle sedi di partito ci scusino se abbiamo iniziato a farlo a partire dal nostro giardino; è che, guardandoci negli occhi, ci riconosciamo meglio che non attraverso il tubo catodico del televisore dal quale vorrebbero indottrinarci.

Nessun commento: