Giuseppe Caliceti
Crolla una scuola. Muore uno studente di diciassette anni. Gelmini ne prende atto e dice: «Da una parte ci sono diecimila edifici scolastici non sicuri, dall'altra un bilancio dell'istruzione di 43 miliardi assorbito al 97% dalla spesa corrente, in buona parte stipendi». Dunque? Messa così, pare quasi che la colpa dei fatti drammatici che sono accaduti siano da attribuirsi all'alto numero di docenti che ci sono in Italia, che le impedirebbero di utilizzare denaro pubblico nella messa in sicurezza degli edifici scolastici. In realtà, in Italia, è bene ricordare che la spesa per i docenti - che non sono più che in altri Paesi, ma sono pagati molto meno, - non è superiore a quella di altri Paesi. Il vero punto è un altro: l'Italia è uno dei Paesi che spende meno per scuola, università, ricerca. E con i tagli del decreto Gelmini spenderà ancora meno. Quando la Gelmini ci ricorda, immaginando forse di suscitare scandalo, che il 97% del bilancio per l'istruzione è utilizzato per lo stipendio dei docenti, ci dice in realtà cose ben diverse da quelle che vorrebbe dirci. Innanzitutto, che ci sia una spesa «forte» per il personale docente e non docente in una istituzione come la scuola è assolutamente normale: basta vedere i dati degli altri Paesi europei, tanto per farsi un'idea. La vera anomalia italiana non è legata alla «spesa corrente», - perfettamente in linea con gli standard europei - ma a tutto il resto, che, in questi anni, specie col decreto Gelmini, si è voluto completamente cancellare. Quando il 97% di un bilancio scolastico viene assorbito dalle spese di personale, vuol dire, infatti, che si è arrivati all'osso, al fondo del barile. Ciononostante, la Gelmini ha deciso di cancellare 250.000 posti di lavoro nella scuola pubblica nei prossimi tre anni. La qualità della scuola peggiorerà drasticamente, lei forse farà un po' di cassa subito sulla pelle degli studenti e dei docenti e delle loro famiglie. Questo basterà per mettere in sicurezza le scuole? Assolutamente no. Perché il vero problema è un altro: sulla formazione bisogna investire di più, non di meno. Questo è il problema che si è cercato per troppo tempo di non vedere. Tra l'altro, coi tagli della Gelmini e la relativa soppressione di posti di lavoro per i docenti, il numero degli alunni per classe tenderà a crescere ancora di più. A proposito, è bene ricordare che la 626 prevede, per una questione di sicurezza, che in un'aula non ci siano più di 25 studenti, ma già in tante scuole italiane queste indicazioni di legge sono disattese.Invece di parlare ostinatamente solo di tagli, dopo i drammatici fatti di Rivoli Gelmini ha iniziato a parlare improvvisamente di emergenza. E ha chiesto una Conferenza unificata Stato-Regioni-Enti locali. «Il governo ha il dovere di rivedere i meccanismi di spesa e spostare risorse sugli investimenti», ha dichiarato. Esattamente quello che l'Onda e l'opposizione chiedevano da mesi. Forse il castello di demagogia inscenato in questi mesi è destinato miseramente a crollare? La Gelmini ammetterà che l'emergenza scuola, oltre alle infrastrutture, riguarda anche la cultura, la ricerca e la formazione scolastica? Una emergenza tanto più grave nell'era della «società della conoscenza», nella quale la qualità formativa è il fattore decisivo sia per lo sviluppo economico, sia per una cittadinanza democratica e consapevole, sia per la qualità del tessuto civile di un paese? Ne dubitiamo. Afferma Derek Bok, presidente dell'Università di Harvard, «Se pensate che l'istruzione sia costosa, provate l'ignoranza!» E' quello che in Italia, senza alcuna vergogna, stiamo sperimentando da anni. Non sarebbe ora di cambiare seriamente rotta? Non solo per ragioni etiche e economiche, ma anche economiche?
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