«Caro Walter, ci credevo: invece...»
La Tinagli spiega le dimissioni: volti nuovi per una politica vecchia
Mai una chiamata in due anni: neanche ora, dopo che ho lasciato la direzione In questo partito non ci sto a fare nulla
GUIDO FIORINI
EMPOLI. Molti amici le hanno detto: «ripensaci». Ma nessuno l’ha chiamata dai vertici del partito. L’avevano cercata a lungo per farla entrare nella direzione nazionale del Partito Democratico ma dopo le sue dimissioni pubbliche, con una lettera al “Riformista” tre giorni fa, neppure una telefonata: «Nessuna sorpresa, è così da due anni» ci dice Irene Tinagli, empolese, ricercatrice a Pittsburgh.
«Nessuno - prosegue - mi ha mai cercato per chiedermi un consiglio su nessun argomento, per cui non mi aspettavo certo adesso una chiamata. E neppure tutto questo clamore per le mie dimissioni. Ma io non potevo restare a fare lo “specchietto per le allodole”. Ci credevo nel partito riformista di cui parlava Veltroni al Lingotto, volevo contribuire, ma non potendo fare niente mi sono chiamata fuori».
Irene era entrata nella direzione del Pd per dare un contributo da esperta qual è di innovazione e sviluppo. Un ruolo che la stimolava, pur essendo spesso negli Usa per lavoro. Qualcuno la voleva anche in Parlamento, ma lei si era sempre rifiutata. Ora ha detto addio al Pd, con toni forti. «Chi mi ha chiesto di ripensarci mi ha detto “fai appello alla tua passione politica”. Ed è proprio per la mia passione politica che ho lasciato, per coerenza con le cose in cui credo. E in cui avevo creduto quando ho accettato».
La giovane ricercatrice contesta le posizioni del Pd su scuola, pubblico impiego, temi etici. E non solo. «Hanno voluto mettere dentro persone nuove e continuano a cercare i voti vecchi. Su scuola e pubblico impiego non c’è stato niente di costruttivo, solo contrarietà su tutto, per difendere un bacino elettorale e inseguire i toni forti di qualcuno. All’inizio le mie dimissioni volevo restassero una cosa privata. Poi mi arrivavano centinaia di lettere, sms, note su “facebook”. E ho capito che il mio disagio lo sentono in tanti. Così ho deciso di dimettermi pubblicamente».
Dimissioni che hanno fatto scalpore. Ma che non hanno spinto alcun dirigente del partito a chiamarla. «Se c’è stato tanto scalpore è perché là dentro nessuno ha mai preso posizioni di rottura. Tutti, in fondo, hanno qualcosa da perdere. Molti la pensano come me, ma tutti hanno una poltroncina, o aspirazioni per il futuro, rapporti da coltivare. Una mia amica parlamentare mi ha detto: «In 30 anni di politica non avevo mai visto dimissioni da una direzione nazionale»...
«Ebbene - ribadisce Tinagli - io sono la prima. Se mi sono dimessa è perché volevo cambiare le cose, il modo di fare politica. Credevo in un partito nuovo e riformista. Non aspiravo ad altro. E dopo due anni mi sono resa conto di non poterlo fare, che ero solo un fiorellino all’occhiello e che i temi erano gli stessi di sempre. È stato anche un problema di onestà verso la gente che pensava che facessi chissà cosa: “Su quali temi lavori Irene per il partito?”, mi chiedevano per la strada. E io “su nulla”. Non potevo andare avanti così».
Irene è delusa anche dalle posizioni del Pd su altri fronti. «Parlo di temi etici. Io non posso stare nello stesso partito di una come la Binetti, che ha dichiarato che gli omosessuali sono pedofili e malati mentali. Odio l’intolleranza. Se non ho mai votato a destra è perché ci sono personaggi come Calderoli che la manifestano ogni volta che parlano. Quindi non sarebbe coerente stare insieme a persone che sono altrettanto intolleranti. Eppure ero contenta che nascesse questo partito che metteva insieme l’anima riformista e socialista con quella cattolica. Ma speravo che si prendesse il meglio dalle due parti, non il peggio. Ho amici cattolici che hanno una grandissima apertura mentale. Con questi si sarebbe potuto lavorare insieme, per fare davvero qualcosa di nuovo. Invece...».
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