Ed è stata, effettivamente, una presentazione ricca di spunti in quanto ha fatto emergere una realtà molto più complessa - e non poteva essere altrimenti - sulle dinamiche della presenza cinese a Prato, inserita in un contesto di analisi internazionale rispetto a quella della vulgata tanto cara ai giornali e a certa politica. Una realtà che sfata anche tanti pregiudizi ed ipotesi fantasiose, inclusa quella di Prato come "presidio strategico" di una politica economica cinese orientata alla "conquista" dell'Europa - sostenuta anche dall'assessore Frattani - e che per molti aspetti dovrebbe far riflettere sulle profonde somiglianze con quella migratoria italiana degli inizi del secolo scorso.
Le dinamiche dell'immigrazione cinese - anche a Prato - necessitano quindi di uno studio costante, senza guardare sempre, come ha giustamente sostenuto la professoressa Ceccagno, al proprio ombelico ma inquadrandola in un contesto più ampio.
Indicazioni importanti, che non sottovalutano o non sottacciono i problemi legati all'illegalità, ma che potrebbero contribuire alla crescita di un vero dibattito pubblico.
MV
‘I laboratori di Chinatown oggi? Come i pratesi negli stanzoni’
«Una caratteristica distintiva del distretto pratese nel dopoguerra - si legge nel libro ’Ombre cinesi?’ - è stata la relativa facilità con cui gli operai hanno potuto approdare al lavoro autonomo, una volta conquistate certe conoscenze professionali e acquisite le necessarie relazioni interpersonali. In questo contesto coloro che non erano soddisfatti dei propri rapporti di lavoro potevano cambiare ditta o avviare una nuova attività autonoma. Parallelamente gli imprenditori potevano facilmente sotoistuire gli operai approfittando del continuo afflusso di migranti (italiani). Questo descrizione del distretto pratese del passato sembra la descrizione della nicchia etnica cinese nel settore dell’abbigliamento negli ultimi due decenni quando le reti etniche garantivano il costante arrivo di nuovi migranti desiderosi di acsesa economica in tempi sempre più brevi e si innescava una selvaggia competzione tra terzisti». E ancora si parla di sì della maggior mobilità dei cinesi, ma tra pratesi di allora e orientali di oggi c’è somiglianza anche «per la prevalenza dell’aspetto monetario sulle altre condizioni lavorative». E si legge nel libro «che il denaro ha prevalso e ancora prevale sul regolare svolgimento dell’attività (orari di lavoro estremamente prolungati e attività in nero erano diffusi in passato fra gli italiani come lo sono ora per i cinesi».
E’ questo confronto storico-sociale uno solo degli numerosi aspetti trattati nel libro presentato ieri mattina in palazzo comunale con l’assessore alla Multiculturalità Andrea Frattani, il maggior e della Guardia di Finanza Demetrio Conti e le autrici. La ricerca porta avanti con determinazione una tesi: l’immigrazione cinese non ha i tratti del traffico di esseri umani da ridurre in schiavitù, ma quelli di un business di introduzione di forza lavoro in cui c’è comunque un vantaggio anche per gli immigrati e in cui ogni impresa è un tassello della politica economica del paese d’origine.
Il libro è stato realizzato dai ricercatori del Centro per l’immigrazione di Prato Antonella Ceccagno e Renzo Rastrelli, massimi esperti della materia a livello internazionale, in collaborazione con Alessandra Salvati (a proposito molti si chiedono che fine farà il Centro ricerche di Prato).
Il nodo principale da chiarire è se si parla di una sorta di ‘tratta degli schiavi’ e lavoro forzato nelle imprese cinesi (trafficking) o se invece di tratta di un’organizzazione di servizio, comunque irregolare e comunque basata su alti livelli di sfruttamento, che porta in Occidente i lavoratori cinesi, ma con la loro volontà e con vantaggio reciproco (smuggling). Al di là dei luoghi comuni e dei pregiudizi, che appunto lo studio vuole debellare, ‘Ombre cinesi’ nega la teoria del lavoro forzato e dei trafficanti di uomini, prima di tutto perchè il flusso continuo di arrivi e l’alto tasso di mobilità nelle aziende cinesi rendono inutile e antieconomica la schiavitù: «La cosa fondamentale da capire - ha detto Antonella Ceccagno nella sua relazione - è che non si può affrontare il problema immigratorio cinese e dei suoi approcci con l’economia guardando solo il proprio ombelico, come più o meno fanno certe trasmissioni televisive, perchè si può capire ed intervenire per normare davvero il fenomeno solo inserendolo in processi ben più ampi, che coinvolgono la cultura e la politica della Cina e le dinamiche internazionali».
L.C.
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