La storia di un giovane imprenditore che, per una volta, dice una verità sacrosanta: A Prato c’è tutto ciò che serve tranne, salvo alcuni casi, la mentalità nuova.
MV
da Il Tirreno del 27/09/08
«Basta piangere, Prato non muore»
L’esempio di un giovane imprenditore. «Bisogna cambiare mentalità»
«Le case di moda non vogliono tessuti ma capi finiti. E noi siamo in grado di farlo»
PRATO. Basta piangere. Prato non è finita e non lo è neppure il tessile. Il settore si sta rinnovando e anziché piangere attendendo la fine c’è da prendere al volo i treni che stanno passando. E’ una voce fuori dal coro quella di Cristiano Vieri, imprenditore trentaduenne, titolare della piccola Alter Ego, 5 dipendenti, un milione e mezzo di fatturato, due anni di vita. Alle spalle il Buzzi, un’esperienza nel lanificio che era del babbo, Texmoda, cinque anni da responsabile tecnico al Fedora, uno da consulente di Beste e di aziende del nord Italia.
Alle fiere gli imprenditori pratesi erano tutti davanti ai loro stand a parlare di crisi, di previsioni fosche, di futuro incerto. E’ la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha spinto Vieri a scrivere al Tirreno per dire la sua «perché la mia azienda sta andando bene e contiamo di assumere ancora ma nessuno può sentirsi sereno se intorno il distretto muore».
Per l’imprenditore Prato deve cambiare ma le potenzialità ci sono e vanno sfruttate. «Dire che si è di Prato - commenta - è ancora un bel biglietto da visita e deve essere sfruttato il fatto che si lavora in un’area produttiva come la nostra. Ovviamente si devono fare dei cambiamenti, l’organizzazione tradizionale dei lanifici è sicuramente perdente ma il prodotto e la capacità di lavorare certamente non lo sono». Vieri, nel tentativo di essere propositivo, fa un’analisi che parte dalla fine della filiera, dal confezionato. «Fino ad oggi le case di moda più importanti avevano strutture numerose che curavano all’interno tutta la realizzazione del capo. C’erano coloro che sceglievano le stoffe e poi facevano realizzare direttamente gli abiti. Ora questo sta cambiando».
Alter Ego lavora per Armani jeans, Calvin Klein (per fare un paio di nomi) e offre loro un servizio a 360 gradi. «Lo stilista mi dà il bozzetto e le indicazioni del capo che intende realizzare. Noi cerchiamo la stoffa adatta, confezioniamo un prototipo, lo facciamo vedere alla maison e se va bene va in produzione. Noi ci occupiamo di tutto: la casa di moda vede arrivare le collezioni direttamente nei negozi. Facendo così c’è un passaggio in più ma la maison risparmia sull’organizzazione interna e accetta di pagare l’abito qualcosa in più». Una fase in più che entra nella filiera ma che per Prato potrebbe essere una ricchezza. «Per ora i paesi orientali non sono in grado di produrre offrendo questo tipo di servizi e non hanno i nostri livelli di qualità. Aziende come la mia, anche se per adesso ce ne sono poche, si riforniscono di tessuti nell’area dove operano e usano la manodopera locale. Addirittura abbiamo i bozzetti prima che i lanifici preparino i campionari e questo produce risparmio. E ovviamente siamo una risorsa per l’indotto senza cui non avremmo storia». A Prato c’è tutto ciò che serve tranne, salvo alcuni casi, la mentalità nuova. «I lanifici si ostinano ancora ad avere rapporti diretti con le case di moda che stanno diventando sempre più snelle e sempre più inclini ad appaltare all’esterno. Se invece lavorassero per offrire ai clienti direttamente i capi finiti di qualità, magari collaborando con chi offre servizi come il mio, Prato recupererebbe tanti ordini e a prezzi competitivi ma equi. Basta solo un dato: Armani jeans l’anno scorso mi ha ordinato sei capi, quest’anno 20».
Ed Alter Ego non è altro che un granellino nel mare della moda. «Moltiplichiamo per tutti gli stilisti ripartendo il lavoro nel distretto. Andrebbe assai meglio».
I.R.
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