Da il Manifesto 27.09.'08 mv
Il coraggio dell'Ecuador
di Marinella Correggia
Un esperimento giuridico inusitato, un salto nel futuro: la scelta del biocentrismo per la sopravvivenza del pianeta. L'Ecuador sarà il primo paese al mondo ad avere una legge che garantisce ai fiumi, alle foreste, all'aria veri diritti legali.
Se gli ecuadoriani domenica voteranno in favore della Nuova Costituzione, entrerà in vigore nel paese una legge già approvata che appunto cambierà lo status legale della natura da semplice oggetto di proprietà - privata o pubblica - a entità che ha diritti.
La legge recita così: «Le comunità naturali e gli ecosistemi hanno il diritto inalienabile di esistere e di evolvere, in Ecuador. I loro diritti saranno auto-esecutivi, e metterli in essere sarà dovere di tutte le istituzioni, di tutte le comunità umane e di tutte le persone».
Le norme ambientali del resto del mondo sono antropocentriche. Thomas Linzey, giurista statunitense che ha collaborato alla definizione di questo nuovo status legale per la natura, ha spiegato al quotidiano inglese The Guardian che «la forma tipica di protezione dell'ambiente nei paesi industrializzati si basa su un sistema di regole e limiti. Allo stesso modo, la compensazione dovuta si misura sempre sulla base del danno a una persona o a un popolo. Secondo il nuovo sistema ecuadoriano, la misura sarà il danno inflitto all'ecosistema. E persone e popoli potranno ricorrere legalmente a vantaggio della natura anche qualora non fossero danneggiati dalla sua distruzione». I giuristi ammettono che legalmente parlando è un salto nell'ignoto. Non ci sono esempi simili nel resto del mondo. Da dove nasce l'idea della legge per la natura in questo paese che contiene tutti gli ecosistemi dell'America latina, comprese le isole Galapagos? Dallo strascico di inquinamento e povertà lasciato dalle multinazionali, delle banane, del gas, del petrolio. Ricordiamo la causa legale contro il gigante Chevron ex Texaco, che in oltre venti anni, sprezzante di ogni normativa internazionale, sversò nella giungla amazzonica 18 milioni di tonnellate di petrolio e residui tossici contaminando le acque e il terreno per oltre 1.700 ettari: questa «Chernobyl dell'Amazzonia» ha minato la salute e le condizioni di vita di oltre 30mila persone. Un danno stimato in 16 miliardi di dollari. Il governo ecuadoriano rifiuta di soprassedere e come conseguenza sta rischiando sanzioni commerciali statunitensi. L'attivista Zoe Tryon dell'Alleanza Pachamama, che ha lavorato alla redazione della nuova legge con il parlamento ecuadoriano sostiene che la nuova costituzione dell'Ecuador farà da deterrente al ripetersi di disastri come quello della Chevron Texaco. Si pensi al parco nazionale Yasuni, una delle aree più ricche di biodiversità al mondo e patria di almeno due tribù amazzoniche in isolamento volontario e assoluto, i Tagaeri-Taromenani e gli Huaorani. Lì sepolti ci sono 1,2 miliardi di barili di petrolio che le compagnie vorrebbero estrarre; la riserva più importante del paese.
Ma sullo Yasuni il presidente Rafael Correa ha lanciato nel giugno 2007 un'altra proposta unica al mondo e la più importante finora avanzata da un paese in via di sviluppo produttore di petrolio: si è impegnato indefinitamente a non sfruttare il campo petrolifero Ishipingo, Tambobocha Tiputini (Itt) nello Yasuni, sempre che (come si legge sul sito dedicato all'iniziativa: www.yasuni-itt.gov.ec) la comunità internazionale riconosca all'Ecuador un rimborso pari al 50 % dei redditi ipotizzabili dallo sfruttamento; il paese utilizzerà il rimborso per la rivoluzione energetica sostenibile.
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