Non tutti i consumi aiutano ad uscire dalla crisi...
Il fallimento della lex mercatoria è un fatto. Che sia necessario oggi far voltare strada all’economia cominciando a rilanciare alcuni consumi ed altri no, è un altro fatto
di Diego Barsotti
LIVORNO. Il 2008 si chiuderà con un una crescita del 2,2% del credito al consumo in Italia. La stima è di Assofin, l’associazione che riunisce e rappresenta i principali operatori che lavorano nei comparti del credito al consumo e dei finanziamenti immobiliari, che definisce “precipitato” il settore dopo un lungo periodo di continua espansione (nel 2007 +9,5%, nel 2006 +11,9% nel 2005 +15% e via discorrendo fino al quasi + 30% del 1999).
Al di là del fatto che proprio il disinvolto e abnorme abuso del credito al consumo (in America, noi in questo caso fortunatamente siamo ancora indietro) è stato uno dei motivi che hanno portato la locomotiva mondiale a deragliare, pare interessante scorporare il dato complessivo nelle due tipologie di credito più in voga in Italia: nel 2008 infatti abbiamo assistito a un’inversione di tendenza rispetto al passato: con i prestiti personali che hanno continuato il loro trend di crescita (+14%) rispetto al crollo vertiginoso dei finanziamenti finalizzati all’acquisto di beni e servizi. In pratica – fa rilevare Assofin – gli italiani si indebitano sempre di più non tanto per acquisti specifici, ma per raccogliere liquidità, probabilmente necessaria a integrare redditi diventati insufficienti.
Lo dimostra anche l’sos lanciato dal consorzio che riunisce un centinaio di imprese produttrici di elettrodomestici: dopo un 2007 buono e un primo semestre 2008 altrettanto positivo, da settembre in poi non si sono registrati che crolli, con un bilancio complessivo dell’anno che si chiuderà probabilmente con un -14% che equivale a quasi 4 milioni di pezzi in meno usciti dalle fabbriche rispetto al 2007.
Il presidente del Ceced Piero Moscatelli si aggrappa quindi all’Europa, che ha costretto l’Italia ad accettare il pacchetto clima energia impegnandosi sugli obiettivi del 20-20-20. «non è pensabile che dopo l’approvazione dell’accordo – spiega – l’Italia non faccia la sua parte, rivedendo il dl 185 penalizzante per tutte le nostre imprese che investono in innovazione di prodotto e di processo per l’efficienza energetica e la salvaguardia dell’ambiente».
La proposta di Ceced è quella di allargare gli incentivi a tutti i prodotti con etichetta energetica delle classi più efficienti. Una proposta talmente semplice e ovvia – selezionare e rilanciare un certo tipo di consumi – che rende ancora più sconfortante il ritornello sorridente del “comprate, fate i regali, spendete, non abbiate paura” del nostro governo, che insiste a voler rilanciare la crescita purchessia in barba alla finitezza delle risorse.
Il nocciolo della questione infatti sta qui: quali tipi di consumi devono essere rilanciati e quali no in attesa di raggiungere un futuribile stato stazionario (non uno stagno bensì un lago vivo e dinamico, che riceve acqua e cede acqua) in cui avremo un equilibrio ecologico delle risorse, una corretta correlazione sociale (cioè l’agire collettivo) e avremo una progettualità dove il mercato e l’economia non sono i fini – come dice oggi nel suo editoriale sul Sole 24 ore anche Giancarlo Fabi – ma i mezzi da usare per raggiungere gli obbiettivi di benessere e qualità della vita.
Il mercato lasciato a sé stesso non può andare in questa direzione, non ha la tendenza a redistribuire ma piuttosto a svalorizzare i beni pubblici arrivando infine a negare sè stesso cioè a costruire i monopoli. Non è un caso se oggi, nel pieno di questo trabordante deragliamento della locomotiva del libero mercato, sia proprio il fondo monetario internazionale propulsore del turboliberismo degli ultimi 20-30 anni, ad invocare a Parigi nel corso della riunione dei ministri finanziari, l’investimento del 2% in aiuti pubblici per rilanciare i consumi: il fallimento della lex mercatoria è un fatto. Che sia necessario oggi far voltare strada all’economia cominciando a rilanciare alcuni consumi ed altri no, è un altro fatto.
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