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dal sito Terranauta
Ellen Bermann, le transition town e una nuova visione del futuro
Ellen Bermann, presidentessa dell'associazione Transition Italia, ci racconta in questa intervista l’esperienza delle città in transizione anche in virtù del viaggio compiuto la scorsa estate a Totnes, nel cuore delle transition town inglesi.
di Daniel Tarozzi
Su Terranauta abbiamo parlato spesso di transizione, ma ripartiamo dal principio. Che cos’è una città in transizione? “Una città in transizione è una realtà dove un gruppo di persone ha avviato un processo di cambiamento paradigmatico nell'insediamento dove vive. Generalmente il processo si avvia con l’obiettivo di fronteggiare la dipendenza energetica dai combustibili fossili – in particolare dal petrolio - congiunto all'estrema criticità posta dal cambiamento climatico. Il significato maggiore lo vedo non solo nelle manifestazioni concrete date da iniziative su energie rinnovabili, cibo locale, ecc, ma proprio nell'aspetto metodologico volto a mobilitare ed aggregare le persone e a farle assumere responsabilità per costruire una nuova visione del futuro che si svilupperà in un piano di discesa energetica”.
Che requisiti deve avere una città per poter avviare il processo? “Trattandosi di un'iniziativa che nasce non per mano di amministrazioni pubbliche, ma grazie ad esponenti della società civile, il processo in genere viene avviato da un gruppo guida costituito da 4-6 componenti. Il gruppo guida si prende in carico soprattutto della fase d'avvio del percorso, alimentandolo principalmente con attività di sensibilizzazione. Questa attività di sensibilizzazione, fatta in genere da incontri tematici e workshop pratici, dura il tempo necessario per richiamare un numero sufficiente di persone che poi possono dedicarsi ai diversi scopi individuati dal gruppo guida formando gruppi di lavoro dedicati”.
Quali sono i principi base del movimento delle transition town? “E' l'approccio olistico che considera la crisi ambientale nella sua globalità, trovando le soluzioni alla sfida del picco del petrolio e al cambiamento climatico nella rilocalizzazione e nell'attivazione delle comunità locale. Il tutto proposto con spirito positivo e entusiasta in modo che si possa sprigionare la creatività collettiva. Transizione significa affrontare sia aspetti esteriori e pratici del cambiamento che prendersi cura della necessaria transizione interiore, quindi analizzare cosa ci ha portato al sistema di valori esistente e come dovrà essere rivisto tale sistema nell'ottica di una società globale sostenibile”.
Cosa sta succedendo in Inghilterra? Quali i principali successi concreti e quali gli ostacoli reali? “Le transition town sono un fenomeno estremamente contagioso, che ha visto l'esplosione di iniziative non solo in Gran Bretagna ma oramai in tutto il mondo! Ma la cosa bella di questo approccio è che non si propone come un metodo rigido, in cui si dice: “eccoti la ricetta, seguila, funziona”. Nelle città in transizione, infatti, sono le stesse persone che si mettono in gioco e continuamente rivedono ed arricchiscono l'esperienza collettiva. Sul sito www.transitiontowns.org si può leggere cosa sta succedendo nelle singole realtà britanniche così come sul blog di Rob Hopkins www.transitionculture.org si fanno continuamente riflessioni in merito. Proprio sul discorso della transizione in contesti notevolmente urbanizzati, segnalo che a Novembre del 2008 si è tenuto un workshop molto interessante per rivedere l'approccio in questo tipo di situazioni”.
Permacultura e resilienza sono due parole cardine in questo movimento. Della prima abbiamo già parlato in un precedente articolo. Che cosa si intende, invece, con resilienza? “Come nell’ambito della fisica e della biologia, anche in quello della transizione per resilienza si intende la capacità che ha un sistema di far fronte alle crisi pur continuando a funzionare. Se consideriamo quanto una globalizzazione dissennata abbia delocalizzato la produzione anche di prodotti di prima necessità come quelli alimentari, depauperando le necessarie infrastrutture produttive e sociali, diventa vitale valutare la resilienza delle singole comunità e cercare di ripristinarla negli ambiti necessari. Se solo proviamo ad immaginare, per esempio, che i supermercati, per un qualsiasi motivo, non dovessero essere riforniti per qualche giorno, ci renderemmo conto della nostra estrema dipendenza da apporti esterni al nostro sistema locale”.
Qual è il ruolo delle monete locali? “Le monete locali servono per far circolare i beni e i servizi localmente, mantenendo la ricchezza sul territorio, ma non solo; usare monete locali significa anche ricreare relazioni tra le persone e soprattutto uscire, anche se solo in parte, dalla schiavitù del sistema economico-finanziario corrente e contrastare la moneta a debito”.
E le relazioni sociali come sono concepite?
“Le relazioni sociali ritornano ad essere centrali. L'individuo, infatti non viene più concepito come entità indipendente in continua competizione, ma come un essere consapevole della reciproca interdipendenza tra le persone e cosciente che strategie di collaborazione portano benefici e sicurezza sia alla collettività che al singolo componente”.
Ellen Bermann, in Italia si è cominciato a parlare di città in transizione pochi mesi fa. A che punto siamo? “Siamo tuttora all'inizio di un cammino che promette però molto bene per il futuro; l'approccio Transition Town, infatti, comincia a mettere radici anche qui. Grazie alla forza della rete, singole persone che si sono appassionate all'idea hanno iniziato a coordinarsi tra di loro per far nascere un hub italiano: l'associazione Transition Italia che ha come scopo principale quello di divulgare gli strumenti della transizione e quello di proporre momenti di formazione”.
Cosa pensi di iniziative come quelle di Monteveglio, Granarolo, L’Aquila? “Sono i primi germogli sul territorio italiano, che andranno seguiti con cura ed amore in modo che crescano al meglio e possano fungere da ispirazione per quelle che seguiranno. Non dobbiamo dimenticarci che dietro il nome di una città ci sono sempre delle persone. Perone che hanno deciso, con grande coraggio, di prendersi in carico un compito per certi versi mastodontico, ma che spesso dispongono di esigue risorse, sia di tempo che economiche, e che quindi necessitano di una presa di responsabilità quanto più condivisa e di una partecipazione concreta a fattiva di tante altre persone”.
Credi che il contesto italiano sia adatto al movimento delle transition town, o la cultura latina necessità di strumenti diversi? “Questa è una delle principali riflessioni che stiamo facendo. Intuitivamente, vedo sicuramente delle differenze nel contesto culturale e sociale, per cui il modello, di stampo anglosassone con grande enfasi all'esperienza empirica, probabilmente dovrà essere adattato alla nostra realtà e al modo di pensare ed agire che ci è proprio. Anche la sovrastruttura legislativa e burocratica italiana potrebbe richiedere strade alternative. Dall'altra parte se si riuscisse veramente a sprigionare la creatività ed il genio tipicamente latino ed integrarlo con una buona dose di pragmatismo anglosassone, si potrebbe ottenere veramente una miscela esplosiva! Solo facendo e sperimentando saremo in grado di dirlo, al momento è un po' prematuro giungere a conclusioni”.
Le grandi città come Roma, Milano, Napoli, Palermo, hanno qualche possibilità di partecipare al movimento? “Vorrei enfatizzare che parliamo sempre di persone o meglio gruppi di persone, che in questo caso vivono in aree di maggiore concentrazione urbana. Sicuramente il tessuto sociale in genere più frammentato che nelle piccole realtà e l'estensione dell'area urbana stessa comportano una maggiore difficoltà iniziale. In questo caso, a persone che vivono in codeste realtà e che vorrebbero attivarsi, consiglierei di iniziare ad operare per aree più circoscritte, in quartieri, coordinandosi con altre persone con le quale costituire un gruppo guida e proporre, attraverso un lavoro propedeutico, di ricreare dei momenti e dei luoghi di aggregazione. Io stessa, vivendo tra Milano e Como e avendo le mie relazioni sociali anche molto dispersi su un territorio molto vasto, mi sto chiedendo come andare a conoscere persone nelle vicinanze, motivate ad avviare insieme a me un progetto di transizione nella località dove vivo. Chissà, magari la soluzione per cercarsi e richiamarsi potrebbe stare negli strumenti di social networking tramite la rete internet. Stiamo cercando di capire come possiamo utilizzare al meglio tale strumento proprio per far fronte all'isolamento che molte persone percepiscono”.
Lo scenario mondiale è in continuo mutamento. Credi che le transition town riescano a stare al passo con i tempi e con la crisi finanziaria e i sali-scendi del petrolio? “Probabilmente potrà proprio essere questo scenario tanto instabile ed incerto a creare le condizioni che spingeranno sempre più persone a cercare un cambiamento di direzione, passando da una società basata sulla crescita economica perpetua ad una società sostenibile, cioè che sostiene la vita sulla terra. Quello che mi piace delle transition towns è proprio lo spirito flessibile e l'umiltà di ascoltare ed accogliere altri apporti che possano rinnovare costantemente l'approccio”.
Il prezzo del petrolio è ai minimi. Significa che il picco è lontano? “Fermo restando che non si può esattamente definire quando ci sarà il picco di produzione del petrolio a livello globale, in quanto non sempre tutti i paesi produttori rendono pubbliche le loro reali riserve, siamo a mio avviso molto vicino alla massima capacità di produzione. In un certo senso, lo scenario economico attuale che stiamo vivendo è stato in parte anche indotto da un livello di prezzo del greggio non più sostenibile. Siamo all'interno di un collasso sistemico in cui anche il prezzo del petrolio potrebbe avere un andamento schizofrenico”.
Ma in concreto, perché qualcuno dovrebbe cercare di fare entrare la propria città in transizione? “Perché i cambiamenti in atto o che ancora devono avvenire, possono essere subiti passivamente, magari anche con conseguenze catastrofiche, oppure affrontati proattivamente con intelligenza collettiva. E poi perché in una città “transitata” la vita potrebbe essere veramente vissuta meglio e in modo più ricco e soddisfacente. Non importa se domani la chiameremo ancora transition town o in altro modo”.
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