Prato. Dov'è l'interesse pubblico?

Se concordiamo con il consigliere Maroso (nella foto) sul nesso tra illegalità e compiacenza, poco ci convince la filippica sull'interesse pubblico che sarebbe la filosofia "portante" della variante al Piano Strutturale. Certo, se per "interesse pubblico" si intende la costruzione di oltre diecimila appartamenti in dieci anni, come previsto dai principali consorzi di cooperative pratesi - di uno dei quali il consigliere è vicepresidente - allora è più comprensibile.

L'interesse pubblico sarebbe anche quello di evitare, il più possibile, il consumo di risorse non riproducibili attraverso la cementificazione del territorio, l'interesse pubblico sarebbe quello di ri-costruire spazi di aggregazione (anche se andrebbe parallelamente avviata una profonda riflessione sui "tempi" della città e del lavoro). perché il verde non è solo quello "pubblico", dove vengono inserite anche le aiule delle rotonde. Perché il recupero del centro storico non può avvenire esclusivamente costruendo appartamenti e uffici, magari destinati a rimanere vuoti.
E dov'è, allora, il "vantaggio collettivo" della variante? Forse sul progetto del'Ex Banci, che ancora non è chiaro cosa dovrà essere? Forse sulla torre direzionale prevista, in connessione, per il "recupero" di Pratilia (progetto Esselunga)? Forse la progressiva urbanizzazione dell'area ovest della città, che diventa sempre più simile ad un "dormitorio" fatto di villette e palazzoni - peraltro verso quello che potrebbe pure essere il sito di realizzazione dell'inceneritore pratese? Oppure una tramvia assolutamente inutile per come è progettata?
Sarebbe interessante saperlo, e magari metterlo in connessione con il "vantaggio collettivo" della Multisala...
MV

L’illegalità prospera con la compiacenza. L’intervista all’immobiliarista comparsa sul Tirreno lunedì 23, è esemplare di come una città possa far male a se stessa se sceglie l’individualismo, l’interesse personale e l’assoluta indifferenza alla responsabilità sociale ed al concetto di bene comune.
Mi auguro che gli affitti che il nostro percepisce siano correttamente denunciati e tassati e che i locali così messi a reddito siano in regola con le norme vigenti in materia di agibilità e di sicurezza. Se così non fosse, credo che, soprattutto dopo tanta spavalda esternazione, diventerebbe colpevole, addirittura connivente, non intervenire da parte delle autorità preposte.
Non v’è dubbio che la presenza in città di tanti fabbricati non più adeguati agli originali scopi produttivi abbia posto ai proprietari il problema di cosa farsene. Non vi è nemmeno dubbio che un certo conservatorismo urbanistico abbia consigliato e costretto a continuare a sfruttare questo patrimonio tal quale, magari fino al crollo.
Oggi però è la stessa nostra comunità che cambia o muore e non ritengo più legittimo che il dovere del cambiamento sia un tema solo pubblico, mentre il privato si assolve procrastinando una rendita che rovescia sulla collettività tutti gli oneri.
Il problema non è l’affitto ai cinesi, ma deve essere considerato un reato almeno da “codice sociale” favorire o anche solo mostrare indifferenza verso l’illegalità di chiunque essa sia espressione.
Limitandosi al settore immobiliare, si tratta di riaffermare il primato dell’interesse pubblico sul territorio, come la filosofia che informa la variante al piano strutturale cerca di fare, forse ancora timidamente.
Allora ciò che si intende ricavare dal bene posseduto non può che essere proporzionato al vantaggio collettivo, sia che si tratti di uno stanzone fatiscente che di una fabbrica dismessa.
Giuseppe Maroso consigliere provinciale Pd