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La mer, la fin...
giovedì 20 novembre 2008
Pace. Usa in Iraq fino al 2011.
mv
Iraq, Il governo dà il via libera all’accordo di “sicurezza” con gli Usa
Osservatorio Iraq, 16 novembre 2008
Adesso la palla passa al Parlamento. Ha avuto oggi il via libera del Consiglio dei ministri l’accordo che consentirebbe agli Stati Uniti di continuare a tenere le proprie truppe in Iraq dopo la fine di quest’anno, ma che ne impone il ritiro totale a fine 2011.
A dare l’annuncio è il portavoce del governo di Baghdad – Ali al Dabbagh, che riferisce che l’Ok è arrivato dopo una riunione durata due ore e mezza, con il voto favorevole di 27 dei 28 presenti (contando anche il premier Nuri al Maliki).I membri dell’esecutivo sono 38, dieci dei quali non hanno quindi partecipato alla riunione. Il perché non è ancora chiaro, gira voce che alcuni fossero in viaggio all’estero.Dei 28 che c’erano – ad ogni modo – solo uno ha votato contro: Nawal al Samarrai'e, ministro per gli affari delle donne.La Samarrai'e, che appartiene all'Iraqi Islamic Party, considerato il principale partito sunnita iracheno, ha motivato il suo voto contrario, dicendo che preferisce che l'accordo sia sottoposto a un referendum popolare.Calendario “specifico e definitivo”Dabbagh ha riepilogato i punti salienti dell’accordo – la versione definitiva, cioè – frutto di negoziati intensi degli ultimi giorni fra Washington e Baghdad, dopo che gli Usa avevano fatto sapere, dopo le modifiche richieste dal governo iracheno, che si trattava della loro ultima offerta.Il patto prevede intanto un calendario per il ritiro delle forze Usa – che entro metà 2009 dovranno lasciare tutte le città, grandi e piccole, e i villaggi dell’Iraq. Nel corso dell’anno dovranno inoltre mano a mano consegnare le loro basi alle autorità di Baghdad.Entro il 31 dicembre 2011 tutte le truppe statunitensi dovranno lasciare il Paese. Non è più prevista la possibilità che rimangano su richiesta del governo iracheno, come stipulato in una bozza precedente.
Le forze Usa passano sotto il controllo del governo di Baghdad, e non potranno più condurre operazioni militari senza concordarle con gli iracheni. In particolare, non potranno più fare raid nelle case degli iracheni, se non con l’ordine di un magistrato iracheno.
I casi degli oltre 16.000 detenuti attualmente in custodia degli americani verranno trasferiti alle autorità giudiziarie di Baghdad, che dovranno decidere il da farsi.Secondo Dabbagh, Washington avrebbe accettato la richiesta irachena di ispezionare tutte le merci in partenza e in arrivo nel Paese.
Per quanto riguarda la questione più spinosa, quella sulla quale gli Usa non intendono cedere – ovvero l’immunità dei militari statunitensi rispetto alla legge irachena, il portavoce governativo ha parlato di un comitato tecnico, che verrebbe creato per indagare sulle eventuali “violazioni” da essi commesse. Ma non ha detto nulla di specifico. L’Iraq aveva chiesto di poter perseguire tutti i reati commessi dai militari Usa (nonché dai cosiddetti contractor), ma Washington aveva accettato solo nei casi di reati gravi e intenzionali, che dovessero essere commessi dai soldati fuori dalle basi, e quando non sono in servizio.
Dabbagh ha tenuto a sottolineare che il calendario per il ritiro è “specifico e definitivo”, e non dipende dalle condizioni sul campo.
Positivi i commenti del ministro degli Esteri Hoshyar Zebari, secondo il quale sono stati raggiunti dei compromessi soddisfacenti per la parte irachena."Ora abbiamo un accordo che possiamo difendere”, ha detto il ministro alla Reuters, aggiungendo che esso “verrà reso pubblico e distribuito, e tutti i Paesi confinanti ne riceveranno una copia".
In delegazione da Sistani.
Nella giornata di ieri, le voci che l’accordo sarebbe stato approvato dall’esecutivo – oggi o domani – si erano fatte più insistenti.Esponenti politici molto vicini al premier Maliki avevano fatto sapere alla stampa che la versione finale dell’accordo aveva l’Ok del Primo Ministro (che fino a oggi non si è espresso pubblicamente a riguardo), mentre una delegazione era partita da Baghdad alla volta della città santa sciita di Najaf, con l’ultima copia del documento, per conferire con il Grande Ayatollah Ali al Sistani, il leader religioso più influente fra gli sciiti iracheni.
Sistani, a detta di un alto funzionario del suo ufficio, avrebbe fatto capire che da parte sua non ci sarà opposizione, se l’accordo avrà il via libera del governo e del Parlamento.
Il rifiuto dei sadristi, l’incognita del ParlamentoEd è il Parlamento adesso ad avere l’ultima parola.
Secondo Dabbagh, il testo dell’accordo avrebbe dovuto essere passato all’assemblea già nella giornata di oggi, ma non è chiaro quando si voterà.
A fine mese ci sarà una pausa dei lavori, per la stagione del Hajj – il pellegrinaggio che ogni anno porta alla Mecca, in Arabia Saudita, milioni di musulmani da tutto il mondo.
Khalid al Attiya, uno dei due vice presidenti (e uno di quelli che ieri erano andati a parlare con Sistani), dice che la prima lettura ci sarà domani. Il presidente dell'assemblea, Mahmud al Mashhadani, ha cencellato tutti i permessi e i viaggi fuori città per i deputati, per garantire il quorum durante le votazioni.Chi proprio non ci sta sono i sostenitori di Muqtada al Sadr, che proprio un paio di giorni fa aveva ribadito il suo rifiuto di qualunque accordo con gli Usa, e annunciato la creazione di una nuova milizia per combattere gli “occupanti”.“Questa approvazione sottovaluta il sangue dei martiri, l’opinione degli esponenti religiosi, e il rifiuto popolare di questo accordo”, ha dichiarato alla Agence France Presse Hazem al-Araji, uno dei più influenti leader sadristi, annunciando una manifestazione di protesta venerdì a Baghdad.."Oggi il Consiglio ha accettato di porre l’Iraq sotto il mandato delle forze di occupazione americane”, ha detto alla Reuters il portavoce dei sadristi in Parlamento, Ahmed al-Masudy, che parla di un fatto “profondamente deplorevole e doloroso", e invita gli iracheni a “organizzare manifestazioni e sit-in per fermare questa farsa".Se l’opposizione parlamentare dovesse limitarsi ai sadristi, che hanno solo una trentina di seggi (su 275), è probabile che l’accordo passi. E tuttavia è difficile fare previsioni. L’Iraqi Accord Front, la maggiore coalizione sunnita, vuole un referendum popolare (chiesto anche dal leader dell’Iraqi Islamic Party, nonché vice presidente iracheno, Tariq al Hashemi), e il suo portavoce, Salim al Juburi, ha detto che il gruppo cercherà di bloccarne l’approvazione in Parlamento.
[O.S.]
Fonti: Associated Press, Reuters, Agence France Presse
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