TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

lunedì 3 novembre 2008

Rifiuti. Sicilia: un dossier sugli inceneritori.

I 4 impianti da costruire in Sicilia sono uno scandalo di livello mondiale. Solo in Sicilia si prevede di arrivare a bruciare il 65% dei rifiuti prodotti, non esiste nel mondo. In più si reclamano i contributi CIP6 altrimenti gli impianti non si possono fare. Nonostante ciò la tassa rifiuti è destinata comunque ad aumentare.
Queste cose le sappiamo da molto tempo ma per la prima volta si possono leggere sul Sole 24 Ore. Probabilmente la Confindustria si è scocciata di far pagare l'elettricità più cara a tutti gli industriali, per fare regali ai Moratti, Falck, Eni, A2A ecc.. Questo lo dice chiaramente il Vice presidente di Confindustria nella sua intervista che allego.
Meglio tardi che mai. Questa è una buona notizia. Si sono accorti che gli inceneritori non sono un'infrastruttura produttiva, sono solo uno spreco.
Ora bisogna che se ne accorgano i politici e qui la vedo dura. Una cosa è certa, se vogliono fare gli inceneritori devono far rientrare dalla finestra i CIP6 che sono usciti dalla porta. Ci sarà un'altra emergenza rifiuti anche per la Sicilia?? Probabilmente questa sarà la strada.
Forza e coraggio.

Saluti a tutti/e.

Sergio Benvenuti



ILSOLE24ORE.COM


Emergenza rifiuti in Sicilia: l'inceneritore non c'è ma brucia soldi comunque
INCHIESTA di Roberto Galullo e Giuseppe Oddo
1 Novembre 2008

Un dossier anonimo al vaglio della Procura di Palermo, di cui Il Sole 24 Ore è in possesso, svela i retroscena della gara per l'inceneritore palermitano di Bellolampo, uno dei quattro che dovranno essere costruiti in Sicilia. E denuncia la speculazione sull'emergenza rifiuti nell'Isola: «Una trovata inventata ad hoc - la definisce l'estensore del documento - per poter attribuire gli appalti in deroga alle leggi esistenti». Con questo sistema, è l'accusa contenuta nel dossier, «sono stati pagati, sotto forma di lavoro straordinario o di consulenze, una pletora sconfinata di persone, erogati fiumi di denaro pubblico e garantiti scambi di commesse». Senza parlare degli interessi mafiosi, su cui ha lanciato l'allarme la Corte dei conti.Le denunce dell'anonimo, sulla cui fondatezza dovrà pronunciarsi la magistratura, si sommano a quelle espresse in modo esplicito da un dirigente dell'assessorato regionale per il Territorio e l'ambiente, Gioacchino Genchi, responsabile del servizio per la tutela e l'inquinamento atmosferico. Genchi è stato rimosso e poi reintegrato nell'incarico per non avere concesso le autorizzazioni alle emissioni dei termovalorizzatori. Ha subito ogni forma di mobbing. È stato aggredito fisicamente dal suo diretto superiore (il filmato è su YouTube). Ed è stato attaccato verbalmente, durante un'audizione alla Commissione bicamerale sui rifiuti, dall'ex governatore Totò Cuffaro. Adesso l'ufficio legislativo e legale della Regione, cui s'era appellato, ha giudicato illegittimi i provvedimenti che erano stati emessi contro di lui. Resta il danno alla persona.
Quella di Bellolampo è una delle quattro gare annullate dalla Commissione europea, che avrebbero dovuto portare alla realizzazione di quattro termovalorizzatori: a Palermo, Augusta, Casteltermini-Campofranco e Paternò. Le gare sono state ritenute nulle dall'Unione per la mancata pubblicazione dei bandi sulla Gazzetta europea proprio mentre a Bellolampo erano in corso i lavori di sbancamento.
Il ben documentato anonimo riferisce espisodi gravi e non smentiti. Per esempio, sostiene che due dei tre «componenti della commissione che si era pronunciata sui progetti erano incompatibili perché avevano avuto rapporti di lavoro-consulenze con alcune ditte che si erano aggiudicate l'appalto». Stranamente, di questo conflitto d'interessi nessuno sa o ricorda niente: né Felice Crosta, presidente dell'Arra (Agenzia Regionale Rifiuti e Acque), né il direttore dell'Osservatorio sui rifiuti, Salvatore Raciti. L'anomino, inoltre, denuncia che le imprese aggiudicatarie non avevano ancora, al momento della presentazione dell'offerta, la disponibilità fisica dell'area su cui edificare l'impianto. Tra queste spiccano l'Actelios, della famiglia Falck, e l'Amia, del Comune di Palermo.La vera emergenza siciliana non sono tanto i rifiuti, che pure nessuno sa più dove mettere, quanto le gare per i quattro inceneritori che avrebbero dovuto garantire la quadratura del cerchio. Il nuovo bando, allo studio dell'Arra, dovrebbe essere presentato entro novembre. Ma la questione che scotta è il risarcimento che dovrà essere riconosciuto alle società aggiudicatarie della gara annullata. Per aggirare l'ostacolo, nel nuovo bando è stata inserita una clausola che obbligherà l'aggiudicatario subentrante a rilevare i progetti di quello uscente. Ma essa suscita perplessità e rischia di mandare deserta la nuova gara. In tal caso, dice Crosta, «i lavori potrebbero ritornare nelle mani dei vecchi aggiudicatari oppure i progetti potrebbero essere rilevati dal pubblico».
Nel frattempo è scoppiata la grana del Cip 6, gli aiuti di Stato che consentono a chi produce elettricità da fonti rinnovabili o "assimilate" di vendere l'energia al gestore della rete elettrica nazionale a prezzi particolarmente remunerativi. Per gli impianti di incenerimento, la norma era stata soppressa dal Governo Prodi a causa di una procedura d'infrazione dell'Unione Europea. La Ue ha ritenuto che l'elettricità generata da un termovalorizzatore, che brucia plastica e carta, non possa essere assimilata a quella di un impianto eolico o a gas.Il problema è che, per un inceneritore, la produzione e vendita di energia rappresentano la fetta più consistente dell'utile. Senza questa norma, dunque, il piano siciliano sui rifiuti rischia di saltare. Chi può essere interessato a un'impresa che non consenta una remunerazione adeguata del capitale investito? Nessuno. Tant'è vero che il Governo regionale, ora presieduto da Raffaele Lombardo, preme su quello nazionale perché il Cip 6, uscita dalla porta, rientri dalla finestra. Su questa contropartita occulta si gioca la gestione dei rifiuti in Sicilia: si drammatizza l'emergenza, che pure c'è, per offrire al Governo un appiglio per reintrodurre la vecchia norma.
Spiega Angelo Palmieri, presidente del Wwf Sicilia: «I termovalorizzatori siciliani potranno bruciare circa il 65% dei rifiuti, a cui va sommato il 20% di frazione organica stabilizzata che dovrà essere portato in discarica. In totale si arriverà all'85%, un piano che non ha confronti in altre parti del mondo. In Danimarca, dove si bruciano più rifiuti, la quota di incenerimento è del 38%, in Germania del 22%, in Austria del 10 per cento. È assurdo: l'impianto di Bellolampo avrà una capacità di 546mila tonnellate, mentre Vienna, una città che è il doppio di Palermo, ha un impianto da 250mila tonnellate e una raccolta differenziata del 60%, contro il 3,4% di Palermo».
Questo piano faraonico senza eguali nel mondo rischia di vanificare gli sforzi dei Comuni più virtuosi, come quelli del Calatino (tra cui San Cono, Mazzarone, Mineo, Caltagirone), che prevedono di raggiungere il 50% di raccolta differenziata nel 2009.
Come se non bastasse, è appena scaduta la proroga concessa da Lombardo ai 27 Ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti. Nel decreto, firmato da Cuffaro e confermato dal suo successore, è prevista a partire da oggi, la riduzione a 10 del numero degli Ato, in attesa dello loro trasformazione in Consorzi a partire da gennaio. Senonché la Giunta regionale ha approvato un disegno di legge che salva gli Ato «che hanno raggiunto i risultati previsti» e mette a capo dei Consorzi i sindaci. Ma che risultati hanno ottenuto gli Ato, fino ad oggi? Costituiti in società per azioni, con quote ripartite tra i Comuni, essi sono carrozzoni clientelari in perdita e il loro ridimensionamento in termini di poltrone desta allarme tra tutti i partiti e i sindaci-azionisti. I quali, come sindaci, dovrebbero riscuotere tasse e tariffe sui rifiuti e, come azionisti, dovrebbero trasferirli nelle casse degli stessi Ato. In realtà, per non subire le conseguenze politiche degli aumenti tariffari, i sindaci ne evitano la riscossione e spesso ne tollerano l'evasione, lasciando vuote le casse degli Ato. Come denuncia Domenico Fontana, presidente di Legambiente Sicilia, «la tassa sui rifiuti ha registrato aumenti tra il 60 e il 200 per cento. Una famiglia siciliana paga in media tra 300 e 500 euro l'anno, mentre nei Comuni più virtuosi, in cui la raccolta differenziata raggiunge il 50%, la spesa oscilla tra 150 e 180 euro l'anno. Cittadini, commercianti e artigiani si oppongono ai rincari in tutte le Province».Ciononostante gli Ato siciliani hanno accumulato 430 milioni di debiti, a cui vanno aggiunti i costi per la stabilizzazione dei precari (lavoratori di pubblica utilità e socialmente utili) assunti dai Comuni e trasferiti agli Ato.La verità è che neppure l'Arra conosce l'entità del debito e del personale dipendente degli Ato. Al punto che il cuffariano Crosta ha dovuto avviare un'indagine a cui hanno risposto, finora, in pochi. L'esposizione è comunque stimata per difetto, ammette il lombardiano Raciti. Il quale aggiunge, senza fare nomi, che «un solo Ato in provincia di Catania è indebitato per 100 milioni».
C'è da chiedersi perché le banche continuino a foraggiare società per la maggior parte fallite, che non godono di alcuna garanzia se non di quella dei Comuni azionisti, che dovrebbero abbatterne e ricostituirne il capitale. Ma con quali soldi? Si illudono i Comuni se pensano che a garantire o a ripianare i buchi degli Ato sarà mamma-Regione (intervista in basso). Ma se s'illudono è perché a quest'andazzo sono abituati e perché c'è chi continua a illuderli. Tra questi, denuncia la Cgil siciliana, l'onorevole Francesco Scoma, figlio dell'ex sindaco di Palermo, assessore regionale alla Famiglia, quello che ha preso alla lettera l'oggetto del suo assessorato piazzando sorella, cugino e cognata nel suo gabinetto e in altri staff.
I nodi verranno comunque al pettine con la trasformazione degli Ato in consorzi, che dovrebbe obbligare i Comuni a ricapitalizzare i primi, pena il commissariamento. Il condizionale è d'obbligo perché il 25 ottobre il Consiglio di giustizia amministrativa (Cga), accogliendo il ricorso del sindaco di Caltavuturo (Palermo), Domenico Giannopolo, ha stabilito che gli Ato non possono imporre ai Comuni la ricapitalizzazione «perché la materia riguarda questioni privatistiche». Ma il Cga è andato oltre, affermando che né la Regione né l'Arra possono commissariare un Comune che non ricapitalizza.
Fuori controllo non sono solo i debiti, ma anche le assunzioni degli Ato. «Tipico il caso di Enna - afferma Donatella Massa, responsabile delle politiche ambientali di Cgil Sicilia - con 101 assunzioni facili su cui indagano Digos e Guardia di Finanza o il Coinres della provincia di Palermo, che ha fatto contratti di lavoro a tempo determinato accumulando 2 milioni di debito con l'agenzia Temporary». Lo sfascio è sotto gli occhi di tutti: come ha registrato la Comissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, la raccolta differenziata rappresenta appena l'8% dei rifiuti prodotti in Sicilia nel 2007: una percentuale lontana anni luce dal 60% che il decreto Ronchi fissa come obiettivo per il 2011. Il resto dell'immondizia finisce nelle discariche, per le quali tra il 1999 e il 2005 sono stati spesi 60 milioni, un terzo delle risorse complessivamente spese nell'Isola (fonte Corte dei conti).

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