I voti dell'«Amico fragile» (e altri tesori di De André)
La pagella, i libri, la lettera scritta a Cutolo Quando il poeta con parole gentili e distaccate rispose al boss che si era identificato nella canzone «Don Raffaé». Tutto in un mostra a SienaIn Toscana c'è il tesoro di De André. Lo custodisce l'Università di Siena, facoltà di Lettere e Filosofia. Qui è infatti attivo il Centro Studi Fabrizio De André, inaugurato nel 2004, quando Dori Ghezzi e la Fondazione decisero di trasferire a Siena gran parte del patrimonio personale del cantautore. Patrimonio composto da appunti di lavoro, corrispondenza privata, scalette di concerti, libri, ritagli di giornale, diari di viaggio. «L'obiettivo del Centro Studi - ci dice uno dei responsabili, il professor Stefano Moscadelli - oltre a custodire, sarà quello di sistematizzare e riordinare l'archivio». Una bella responsabilità, alla quale deve aggiungersi la vocazione per lo studio filologico e per l'analisi dei testi, come dimostra l'ultimo saggio «
Il suono e l'inchiostro » (Ed. Chiarelettere), risultato di un convegno organizzato nel 2007 dal Centro Studi sul rapporto tra poesia e canzone. La professoressa Marianna Marucci,
grazie all'archivio senese, ha studiato il rapporto tra il cantautore genovese e le fonti dell'ultimo periodo, scoprendo che «fondamentale è sempre stato il ruolo della letteratura, dei giornali, della lettura in genere: il primo spunto veniva sempre da lì. Certo, poi tutto veniva inglobato nella sua poetica e nella sua visione del mondo. Il suo obiettivo, dichiarato in diverse interviste, è stato sempre quello di gettare un ponte tra alto e basso». Davanti all'archivio è difficile restare indifferenti. Si parte dalle pagelle delle elementari e delle medie, dal giudizio - anno scolastico '53-'54 - di una lapidaria insegnante che definisce il Fabrizio tredicenne «alunno di vivace intelligenza ma di poca volontà, bravo in italiano» consigliando per il futuro «lo studio di materie letterarie ». Consiglio che De André, a modo suo, seguirà. Stessa meraviglia quando ci si imbatte nella minuta e precisa calligrafia con la quale il cantautore annotava, prendeva appunti, commentava articoli, ricopiava testi di vecchie canzoni.
Buona parte dell'archivio risale agli anni Novanta, periodo successivo al disco «Le Nuvole» e parallelo alla lavorazione del suo ultimo lavoro in studio, «Anime Salve», datato 1996. Un periodo che coincide con il ritorno di alcune tematiche classiche, su tutte la storia vista dal punto di vista degli ultimi, (si veda a proposito il viado di «Princesa» e l'articolo di cronaca ritagliato su una storia che sembra parte della canzone), e con l'innamoramento per l'opera dello scrittore sudamericano Alvaro Mutis: De André non si limita a leggere i suoi libri, ma li studia, li sottolinea fino a farli suoi. E nel caso di «Amirbar», li fa diventare idea portante di un brano come «Smisurata preghiera». Accanto a quelli di Mutis, «di libri ce ne sono almeno altri 400», dice Moscadelli. «Sono in via di catalogazione, non è facile ordinare la vita letteraria di un uomo così pieno di interessi. Capitano pure cose curiose. Un testo, ‘‘L'anima dell'indiano'' di C. Eastman, è stato trovato in due copie, acquistate a distanza di anni l'una dall'altra; e, cosa impressionante, ci si è accorti che le sottolineature arrivavano in entrambi i casi allo stesso punto». Uno dei libri più preziosi è finito alla mostra di Genova aperta fino al 3 maggio: «C'è la copia de ‘‘L'Antologia di Spoon River'' di Edgar Lee Masters, regalata a De André da Fernanda Pivano». Un regalo particolare: da quel libro è nato «Non al denaro non all'amore né al cielo » e di quel libro si conosce la versione italiana tradotta proprio dalla Pivano. Tra i libri e gli appunti c'è anche una lettera molto particolare. È la risposta, gentile e distaccata, al boss camorrista Raffaele Cutolo, il quale gli aveva scritto dopo essersi riconosciuto nel ritratto impietoso del «Don Raffaé », allegando un libro di poesie. De André lo ringrazia e successivamente ricordando quell'episodio confesserà: «Fui facile profeta, la canzone alludeva a Cutolo, ma né io né Massimo Bubola, coautore del brano, disponevamo di notizie di prima mano sulla sua detenzione. Mi scrisse anche un'altra volta, ma non gli ho risposto». Potere di un uomo che sapeva parlare proprio a tutti, come i veri poeti. Anche se, parole sue, «a fare poesia dopo i tredici anni rimangono solo due categorie di persone: i poeti e i cretini. Per precauzione preferisco considerarmi un cantautore».
Francesco Garozzo
28 gennaio 2009il Corriere fiorentino.it
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