La costante, a volte strisciante ma più spesso palese, è stata la questione immigrazione specificatamente cinese; la tentazione di addossare alla comunità cinese di Prato la responsabilità della crisi del manifatturiero tessile è evidentemente molto forte ed è emersa anche ieri sera più volte.
Credo sia l’ora di dire chiaramente che il declino del tessile pratese NON E’ CAUSATO DALLA PRESENZA DELLA COMUNITA’ CINESE.
Chi afferma il contrario lo fa o per ignoranza o strumentalmente a fini politico-elettorali, fuorviando dalla corretta analisi, propedeutica alla individuazione delle cause e conseguentemente alla proposizione di soluzioni adeguate.
Le cause sono appunto altre e di difficile individuazione. Anche nella relazione si sono interpretati dei dati della Camera di Commercio in modo, a mio modesto avviso, non corretto.
Prima di tutto i dati statistici nazionali comprendono l’insieme del Tessile-Abbigliamento e ciò non serve, o perlomeno non aiuta, all’analisi della situazione pratese in quanto le filiere del Tessile e dell’Abbigliamento spesso e volentieri non coincidono, ciò a Prato in modo particolare ( Tessile storicamente in mano ai pratesi e abbigliamento competenza delle aziende cinesi) e non sono concorrenti fra di loro ma percorrono strade produttive e commerciali diverse.
Inoltre il paragone fatto con la realtà biellese non può essere fatto nei termini esposti nella relazione ma deve essere considerata la sostanziale differenza nell’organizzazione del processo produttivo dei due distretti:
Biella mantiene storicamente una struttura produttiva con poche industrie quasi a ciclo completo e ciò significa che sono industrie più grandi, con capacità di razionalizzazione del processo produttivo maggiore, con minori dispersioni e quindi costi e con più potere economico-finanziario che ha permesso investimenti sul prodotto di fascia medio alta e sulle delocalizzazioni.
Prato ha una struttura industriale, terzista artigiana, altrettanto storicamente frammentata sia dal punto di vista urbanistico (da Montemurlo a Campi passando per la Val Bisenzio e Seano) causando ciò maggiori costi nel trasferimento delle merci in lavorazione e difficoltà nell’ottimizzare l’organizzazione della filiera; sia dal punto di vista della dimensione delle industrie, troppe forse ma sicuramente troppo piccole per affrontare la liberalizzazione dei mercati che richiede capacità di investimento e professionalità manageriali che piccole aziende come le nostre non si possono permettere. E se in passato questa frammentazione e questo sistema basato sui terzisti garantiva una flessibilità ed una velocità di produzione maggiore che ha fatto la fortuna del distretto, oggi diventa l’ostacolo maggiore per la tenuta del distretto stesso. Oggi si patisce la mancanza di investimenti (anche culturali) nel settore tessile, investimenti in gran parte convogliati nel settore immobiliare che sono la causa principale del declino del distretto e dello sfacelo urbanistico della città. Qui le responsabilità sono da ripartire equamente su tutte le categorie economiche e civili di Prato che esprimono poi il governo della stessa. In poche parole la colpa del declino è nostra, non dei cinesi.
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