La versione in pdf del Manifesto è scaricabile dal sito dei 38-1, così come i dossier che hanno contribuito alla "composizione" del manifesto.
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Prato, gennaio 2009
INDICE
Qualche premessa
Una domanda a cui la “politica” non risponde
Parte 1 - Economia - Un distretto “che batte in testa”
1.1 Una storia ancora da scrivere
1.2 L’ora del fare. Ovvero i mantra del distretto
1.3 Debolezze, rotture consumate e illusioni
Parte 2 - La città - La rinuncia della politica e la frammentazione
2.1 La questione urbana e l’area metropolitana
2.2 Il delirio immobiliare e la scomparsa degli spazi pubblici
2.3 Governo del territorio: sviluppo e qualità dell’abitare
2.4 Integrazione delle politiche e multisettorialità dell’azione pubblica
2.5 La (auto)sostenibilità dello sviluppo del sistema locale.
2.6 Le politiche urbane: il ritorno alla “città pubblica” e al progetto urbano
Parte 3 - Immigrazione e nuove povertà.
3.1 La comunità cinese: un fenomeno enorme ancora avvolto nella nebbia 3.2 I rischi delle nuove povertà
Parte 4. Frammenti di un programma
4.1 Nuove energie: la riproduzione del capitale sociale ed economia della conoscenza
4.2 Partecipazione e governance
4.2.1 La centralità della partecipazione come metodo e risorsa per l’efficacia del governo
4.2.2 La trasparenza e la rendicontabilità delle politiche e della spesa delle risorse pubbliche
4.2.3 L’integrazione settoriale delle politiche
4.3 Dall’economia alla città
4.4 Aspo – Agenzia strategica Prato
4.5 Territorio e città come “beni comuni” per lo sviluppo locale
4.5.1. La centralità dello spazio e del progetto pubblico
4.5.2. Una politica integrata per la sostenibilità ambientale ed energetica
4.6 Governo della rendita e contenimento urbano
4.7 Fiscalità e bilanci degli Enti Locali
4.8 Il buco nero delle Partecipate
Altri punti di rilievo su cui chiediamo contributi
www.38-1.net
info@38-1.net
Qualche premessa
La “politica” ha smarrito le forme e gli strumenti di legittimazione della propria azione. Una volta questo ruolo era esercitato dai partiti ma i partiti (oggi) detestano la politica (nel senso della polis) mentre tra i cittadini avanzano forme estese di disillusione e molti si rinserrano in strategie di difesa individuali, familiari, di piccolo gruppo o di corporazione.
La preoccupante situazione della città e la drammatica crisi della politica locale (ma non solo locale) chiamano la società civile a nuovi doveri e responsabilità.
E’ solo un nuovo impegno civile che può rivitalizzare la democrazia rappresentativa; è la “Comunità” (quello che ne è rimasto) che deve riappropriarsi della capacità di discutere di sé stessa e del proprio futuro con nuovi e veri strumenti di democrazia partecipata, fuori dall’inconcludente liturgia della concertazione e con uno stile aperto, lontano dalla spaventosa auto-referenzialità dei partiti.
Il rischio forse più grave è che alla crisi economica si sommi questa decadenza della politica e che gli obiettivi dei partiti anziché rappresentare una sfida per il rinnovamento divengano aggravanti della decadenza.
I prossimi anni saranno molto duri per la società e l’economia locale. Potrebbe accadere di dover fronteggiare scenari sconosciuti e complessi, una disoccupazione che, dal dopoguerra, Prato non ha mai registrato, la crescita di tensioni sociali e delle povertà, un’acuirsi della crisi del tessile senza che si intraveda niente di nuovo pronto a sostituirlo.
In questo contesto nasce questo Manifesto: per provare a sostenere e sollecitare iniziative in grado di ridare vita e voce non all’antipolitica ma ad “una nuova domanda di politica”.
E’ un invito all’Ethos della Comunità ad occupare nuovamente quello spazio civile - dove elaborare una prospettiva di bene comune - divenuto “terra di nessuno”, abbandonato dalla politica, per convenienza e paura, e disertato da cittadini sempre più disillusi.
E’ un’ambizione grande, forse presuntuosa, ma non certo più grande delle difficoltà che abbiamo di fronte.
Al punto in cui siamo, vi sono almeno 4 “nodi chiave”, preliminari ad ogni ipotesi di programma o di “cose da fare”:
Restituire senso e razionalità alla politica come gestione della cosa pubblica ispirata da valori come la sobrietà, il pluralismo, la razionalità e la giustizia
Fare dell’etica e della responsabilità le misure dei comportamenti e delle scelte dei politici e di tutti coloro che ricoprono incarichi pubblici
Operare affinché la democrazia partecipativa divenga un metodo sistematico di coinvolgimento e confronto coi cittadini
Promuovere, con onestà intellettuale e metodo scientifico (quando la realtà non corrisponde alla teoria, occorre cambiare la teoria) un grande progetto di conoscenza e di analisi per costruire una visione condivisa del futuro della città
Sono temi rivolti non solo ai politici ma a tutta la classe dirigente e a tutti i cittadini di Prato.
Il Manifesto si propone come un “Work In Progress” aperto al confronto e al dialogo con chiunque sia interessato al futuro della nostra città. Nasce per essere modificato, integrato, e sviluppato anche con nuovi “Capitoli” sui quali chiediamo il contributo di altre passioni e competenze che aiutino a colmare i nostri (molti) limiti.
Non è il Manifesto di un nuovo gruppo politico, ma il tentativo dei 38-1 e di altri “liberi testimoni” (1) di entrare “coi piedi nel piatto” della prossima campagna elettorale.
E’ un primo insieme di analisi e considerazioni su cui vorremmo che i partiti si pronunciassero in modo esplicito e in occasioni di confronto vero e non “protetto” con tutta la città.
In tempi in cui abbondano affabulatori e “uomini della provvidenza”, occorre ripartire dalla conoscenza come antidoto alle semplificazioni e alle paure e come fattore di sviluppo economico e di crescita civile e culturale. E’ la conoscenza che sta alla base dell’azione e lo scenario dell’azione è la “Polis”, la vita e l’organizzazione delle persone così come scaturiscono dal loro parlare ed agire insieme. E’ in questo spazio – che non è solo un territorio – che si diventa (o si rimane) cittadini, che si diventa e si rimane città.
Una domanda a cui la “politica” non risponde
La “Civitas” e l’economia pratese sono in crisi profonda. La comunità (?) non riconosce più sé stessa, sente scivolare le proprie sicurezze e il proprio ruolo nel mare magnum della globalizzazione e di un contesto locale sempre più frammentato.
E’ possibile e pensabile una “ricostruzione” della coesione sociale, una nuova prospettiva di sviluppo economico e civile che recuperi i tratti migliori della storia passata ma che non abbia il timore del confronto e della sfida con la complessità dei nuovi scenari?
Trovare risposte non è semplice - per nessuno - ma occorre prima di tutto una scelta di metodo nell’azione politica: imparare ad ascoltare, ricercare, talvolta sospendere il giudizio, approfondirne la conoscenza e non fermarsi alla superficie dei fenomeni.
Parte 1 - Economia - Un distretto “che batte in testa”
1.1. Una storia ancora da scrivere
Tornare a guardare dentro il distretto. La storia di ciò che è realmente accaduto nel distretto dopo il 2001 è ancora in gran parte da scrivere. Alcuni temi chiave: immigrazione, marginalità, nuove povertà, polarizzazione dei patrimoni, ciclo immobiliare e ruolo della rendita, frammentazione del mercato del lavoro e precarietà, uso perverso dei finanziamenti pubblici (anche da parte di soggetti privati)
Ma soprattutto due questioni sistematicamente evitate (o affrontate con eccesso di semplificazione):
· le trasformazioni reali del sistema economico e del manifatturiero (dove e come si crea il valore aggiunto).
· il ruolo dell’economia etnica (cinese, in particolare) nella trasformazione del sistema locale (dimensione economico-finanziaria, economia sommersa, mutamenti dello scenario urbano e immobiliare, rendite, opportunità e patologie, ...) e una terza, forse, ancora più rilevante:
· un sistema che ha “inventato” la flessibilità che è stata, storicamente, motore di una forte mobilità sociale e di democrazia economica, si trova oggi piantato in un contesto opposto. I destini individuali (dei giovani soprattutto) si bloccano su sentieri di precarietà, la mobilità e quasi solo orizzontale. Nel distretto, al punto della sua massima flessibilità economica corrisponde il massimo della rigidità sociale. A muovere i redditi e a fornire opportunità, sono più i patrimoni (che si polarizzano o che forniscono l’illusione di un benessere che forse non potrà durare a lungo), piuttosto che nuovi rischi d’impresa o scommesse imprenditoriali.
Su questi punti la pochezza, parzialità e incoerenza delle analisi più diffuse è palese e drammatica.
1.2 L’ora del fare. Ovvero i mantra del distretto
Negli ultimi anni, tra partiti, politica, istituzioni, rappresentanze imprenditoriali e sindacali, vi è stata una straordinaria condivisione degli slogan, che non solo è diventata via via più debole nel passare dalle enunciazioni agli strumenti, ma che è divenuta inconsistente davanti alla drammatica assenza di strategia reali e condivise.
Difendere la vocazione manifatturiera, potenziare il turismo, rafforzare i servizi, favorire l’innovazione, fare squadra, sono ormai dei “mantra” consunti. Il massimo si raggiunge nel “far diventare Prato la città della moda”.
Come? Con quali risorse e strumenti? Con quale coerenza di azioni? Con che ruolo, differenziazione, posizionamento, sostenibilità, nel sistema moda italiano e mondiale? E, soprattutto, con quali energie imprenditoriali? Qualunque siano i progetti scelti, dove sono le strategie di insieme, le azioni coordinate, le valutazioni degli effetti prodotti (o non prodotti) dalle varie azioni? Non c’è un’analisi centrata sui problemi veri e quindi le strategie sono deboli o inadeguate (oppure irreali) sicuramente inconcludenti (2). Sarebbe necessario disporre di visioni e progetti” a medio-lungo termine ma la politica è prigioniera dell’oggi e delle emergenze mentre le associazioni di rappresentanza sembrano più interessate ai “giochi di ruolo” che ad assumere posizioni responsabili e coraggiose.
1.3 Debolezze, rotture consumate e illusioni
Il distretto ha assunto negli ultimi anni alcuni tratti che lo rendono profondamente diverso dal passato. Si è incrinato il rapporto redditi/lavoro/mobilità sociale, è saltato il patto di “governance” locale tra Amministrazione pubblica e soggetti organizzati, è mutata enormemente la composizione sociale ed etnica dei residenti.
In sintesi, si è “rotto” il modello sociale ed economico del distretto. Ciclo immobiliare e impatto dell’economia cinese (due fenomeni strettamente collegati) hanno generato una “attrazione fatale” a cui hanno risposto – per interessi o per miopia – pezzi rilevanti dell’economia locale. Questo processo, unito alla drammatica crisi del tessile, ha favorito le rendite, un’espansione preoccupante dell’economia sommersa e depotenziato lo spirito imprenditoriale dei pratesi.
E’ il distretto che appare adesso ripiegato su orizzonti più circoscritti, sulla gestione dei patrimoni e delle rendite più che sulla creazione di nuovi progetti imprenditoriali, con un complessivo arretramento, non solo economico ma anche cognitivo e culturale, in cui non si intravedono sfide più sofisticate intorno a progetti e visioni nuove e davvero adeguate alle enormi trasformazioni del contesto esterno.
In sostanza si sono favorite le risposte più semplici , ma anche più deboli, rispetto ad un auspicato e complessivo riassetto del sistema verso un mix fatto di manifatturiero differenziato, di terziario avanzato e di qualità del territorio.
Questa trasformazione, non solo ha offuscato la reale portato della crisi del modello pratese, ma rappresenta ormai anche un’ipoteca negativa sul futuro.
Anziché attrezzarsi davvero per le sfide della modernità, della globalizzazione e delle nuove tecnologie si è risposto esasperando il contenimento dei costi e la flessibilità del lavoro, si è generata occupazione precaria e di scarsa qualità, si sono penalizzate tante professionalità e patrimoni di conoscenza individuale e collettiva, si sono contratti gli investimenti in processi e organizzazione fino ad arrivare alla disarticolazione della filiera produttiva e perfino alla perdita di alcune competenze di base.
Non sono state create occasioni favorevoli al ricambio generazionale e alla nascita di nuovi imprenditori mentre quelli esistenti sono in età sempre più avanzata.
Tante nuove imprese appaiono più legate a risposte individuali obbligate che a progetti imprenditoriali con qualche reale possibilità di crescita e di successo.
Il tanto decantato terziario è in realtà costituito in forte prevalenza da servizi alla persona e da quelli legati agli adempimenti burocratico-amministrativi la cui incidenza sui costi delle imprese è crescente e rappresenta ormai una forma patologica di drenaggio di valore aggiunto.
Nella realtà economica locale (nel tessile ma non solo) sembra ormai di assistere alla sostituzione di una vocazione manifatturiera storica ad una commerciale indotta dalle difficoltà e dalla crisi.
Quanto potrà reggere tutto questo se non si intravede ancora niente in grado di sostituire la proiezione internazionale del tessile, se il ciclo immobiliare ha già iniziato a segnare una pesante inversione, se l’abbigliamento cinese rimane tutto giocato su prezzi bassi e condizioni di lavoro al limite, se la diversificazione del manifatturiero rimane debole e frammentata senza l’emergere di attività “forti” in grado di candidarsi a nuove leadership, se il terziario tradizionale inizia ad avere il fiato corto perché non sostenuto da adeguati livelli di reddito, se il terziario avanzato, (a sua volta poco legato al manifatturiero) rischia di avere solo un ruolo subalterno a Firenze?
Se Prato si trova oggi in questa situazione dopo un ciclo di crescita dell’economia mondiale e del commercio internazionale, cosa potrà accadere nei due anni (almeno) di recessione che ci aspettano?
E’ anche da questioni inevase come queste che si dovrebbe ripartire, con lucidità e onestà, se si vuole davvero immaginare un futuro fatto ancora di sviluppo, coesione sociale e democrazia economica.
Parte 2 - La città - La rinuncia della politica e la frammentazione
2.1 La questione urbana e l’area metropolitana
La città parla ancora delle comunità umane che la vivono, la metropoli ha senso solo se è tale davvero. Nelle discussioni attuali vi è solo un pensiero debole e frammentato. Firenze riafferma una sua egemonia che ha bisogno solo di un contado e Prato rimarca una sua presunta “alterità” peraltro sempre più immaginaria che reale.
Ma come fondare un ragionamento su una nuova entità territoriale che non nasca dall’ingegneria istituzionale ma da una nuova forma di equilibrio tra luoghi e paesi e città in cui si avvertano i tratti del rispetto delle storie locali e allo stesso tempo quelli di una nuova partita da giocare insieme?
In questo ambito, all’opposto, i contenuti reali ed il livello di coordinamento delle azioni amministrative condotte dai diversi enti sono banali (3) e debole è la visione intorno ai principali temi dello sviluppo e del governo del territorio. Il punto centrale non è la creazione di un nuovo ente, ma la definizione negoziata fra gli enti dei principali temi, risorse, strategie, strumenti gestionali e normativi da utilizzare per sviluppare le sinergie fra i vari nodi urbani presenti nella piana di Firenze-Prato-Pistoia.
2.2 Il delirio immobiliare e la scomparsa degli spazi pubblici
In questi anni, la crescita disordinata della città si è coniugata con un perseguimento quasi esclusivo delle utilità individuali misurate in prevalenza dalle operazioni immobiliari cioè dalla crescita del mondo fisico.
La configurazione urbana registra ormai da tempo lo smarrimento complessivo di uno “spazio pubblico” dove la dimensione politica e quella civile possano trovare luoghi per il discorso e l’azione, il confronto e l’integrazione.
Lo “spazio pubblico” non è solo una metafora riferita alla “Agorà” che parla di partecipazione, ma la constatazione della sostanziale carenza di luoghi urbani ove la nostra città possa esprimersi come “vita fisica” in una comunanza di intenti, di valori, di obiettivi e di attività (4).
Questo è avvenuto anche perché le politiche urbane non si sono misurate in maniera adeguata con la costruzione delle forme degli spazi ove rappresentare, accogliere e riprodurre il proprio capitale sociale della comunità locale. La città pubblica , in genere, ha avuto un ruolo residuale, ridotta a poche e deboli politiche compensative in una accezione pauperistica del welfare. Lo spazio pubblico si è configurato come esito residuale di azioni legate solo ed esclusivamente alla progettualità ed utilità privata. Quali operazioni urbane si sono svolte in questa città a partire da un progetto pubblico e da una visione prodotta dalle amministrazioni cui i privati hanno aderito? Non è forse più di frequente accaduto il contrario?
In questo senso si tratta di recuperare un ruolo nuovo e propositivo alla amministrazione pubblica come produttrice di “visioni e scenari” attraverso una governance interattiva e partecipata con gli attori privati ma che non abdichi mai al suo ruolo critico di valutazione della progettualità privata rispetto a criteri, beni ed obiettivi comuni.
2.3 Governo del territorio: sviluppo e qualità dell’abitare
E’ stata la pesante carenza di una governance urbana che ha segnato la vita di questa città in questi anni di profonda trasformazione e ha consentito a molti (tra quelli che potevano) di operare come free rider sfruttando rendite di posizione di diversa natura per perseguire obiettivi più o meno espliciti di massimizzazione delle rendite e dei profitti in totale disprezzo degli effetti cumulati sull’assetto del territorio e sulla qualità dell’abitare (5).
Gli effetti di queste scelte sono state molto pesanti, sgranando e frammentando il tessuto urbano, creando “enclave” di fatto e aree di crescente marginalità, aumentando pericolosamente le tensioni non solo tra i residenti e gli immigrati, ma fra le stesse etnie di provenienza diversa.
L’Amministrazione, che ha privilegiato le Grandi Opere (quelle iniziate e quelle ipotizzate), ha di fatto abbandonato la città costruita (Centro Storico, macrolotto zero, frazioni) ai propri destini, in un quadro generale che ha visto l’aumento di zone urbane degradate, di basso profilo qualitativo e prive di standard e servizi.
Ogni ragionamento intorno al piano strutturale e all’assetto urbanistico della città che non parta dalla constatazione degli effetti negativi e dei limiti delle scelte attuate in passato produrrà ulteriori danni. Una seria governance urbana e territoriale implica che si abbia la consapevolezza di questo contesto e delle azioni adeguate ad affrontarne le criticità.
Per questo riteniamo che sia necessaria una pausa di riflessione nell'elaborazione del Piano Strutturale, perchè si basa su di una elaborazione strategica inconsistente e perchè non tiene conto delle linee di tensione (o di possibile rottura) dell’assetto urbano. E' quindi necessario individuare una nuova proposta, attuale, coerente ed unitaria di trasformazione urbana e conseguentemente sospendere anche l'iter della Variante sulla Declassata per inserirla all'interno di un unico processo urbanistico, con l'obiettivo di riqualificare e riequilibrare il livello qualitativo della città costruita evitando ogni ulteriore consumo predatorio di suolo.
2.4 Integrazione delle politiche e multisettorialità dell’azione pubblica
Le migliori esperienze europee evidenziano la necessità di una stretta interazione settoriale della azione amministrativa pubblica nell’ambito delle politiche urbane dato lo spessore multidimensionale che queste implicano (economia, coesione sociale, ambiente, cultura, servizi). Altrimenti il rischio è quello della perdita di efficacia delle politiche e del reciproco ostacolo fra le diverse azioni.
L’ amministrazione deve assumere un ruolo “pro-attivo” nel definire scenari strategici specifici per lo sviluppo e la trasformazione di parti di città e del territorio (6) valutando le ipotesi e i progetti in relazione agli effetti sullo sviluppo economico, sull’assetto urbano e sulla mobilità.
E’ al momento pubblico che spetta il compito di sollecitare e coordinare, attraverso il piano e la pianificazione, i progetti degli attori e di verificarne – ed eventualmente sollecitarne – la coerenza rispetto a obiettivi di interesse e rilevanza pubblica. A Prato si è operato all’ opposto, recependo iniziative private in modo subalterno e senza alcuna verifica di coerenza.
2.5 La (auto)sostenibilità dello sviluppo del sistema locale.
La crescita e lo sviluppo, anche a Prato, hanno avuto un alto prezzo a livello ambientale. La struttura ambientale è la matrice che “sostiene” l’insediamento e ne garantisce le condizioni di qualità eco-sistemica. A Prato, malgrado su questo circolino sempre scarse informazioni, essa risulta sempre più profondamente compromessa (ciclo delle acque, falda, consumo di suolo, emissioni). Qui, come altrove, si è pensato di poter attingere risorse e scaricare “gratis” sull’ambiente gli output del processo produttivo e, più in generale, di quello di urbanizzazione. E’ ormai evidente, perfino nella riflessione economica, che questo modello è destinato al collasso.
A fronte di ciò, le politiche delle varie amministrazioni, sono state caratterizzate da una prevalente episodicità e da un carattere residuale e compensativo (talvolta anche elusivo rispetto a quanto previsto dal quadro normativo – ad esempio in tema di pianificazione energetica o di mobilità).
Di più, l’aspetto ambientale è stato trattato con una logica prevalentemente settoriale, non coordinata con l’insieme delle politiche (urbanistiche, industriali, sociali, economiche, culturali) e quindi non cogliendone le reali potenzialità.
Malgrado qualche significativa eccezione (p.e. l’acquedotto industriale e la attività di depurazione) gli aspetti ambientali sono trattati sempre più in subordine rispetto ad istanze ritenute – erroneamente – più importanti.
Quindi sarebbe opportuno superare l’approccio settoriale, fino a “dissolvere” l’assessorato all’ambiente e costruire un pull di competenze specializzate da affiancare a tutti gli altri assessorati.
2.6 Le politiche urbane: il ritorno alla “città pubblica” e al progetto urbano
I punti precedenti sono fondamentali per definire le prospettive di crescita della città che non possono essere determinati dagli andamenti pregressi ma dalla “offerta” che il territorio con le sue risorse – e i suoi limiti – è in grado di fornire per la costruzione di un vitale sistema urbano.
L’assenza di una visione di lungo periodo, la rinuncia della politica e la bulimia immobiliare hanno prodotto esiti deleteri. Così tutto dovrebbe “stare insieme” ma non si capisce rispetto a quale modello di città. Dalla multisala al parcheggio in piazza Mercatale, dalla metropolitana a sud alla tramvia Stazione – Area exBanci, dal recupero dell’area della vecchia sede della Misericordia, all’Interporto, alla miriade di interventi scoordinati e casuali nelle periferie.
Senza un serio piano per i trasporti e la viabilità, con un centro storico in decadenza e con una flessione preoccupante dei livelli di manutenzione dell’esistente.
Nella cacofonia di annunci, di progetti dichiarati e abbandonati, quello che davvero si è perso è stata ogni idea di “città pubblica” e di progetto urbano.
Ma è a questo che si deve tornare: ad una selezione degli orientamenti della crescita urbana e demografica e alla definizione di una “dimensione possibile” della città. E’ un cambio di orientamento profondo e radicale rispetto alle scelte passate e non è affatto vero che l’Amministrazione non disponga di poteri di intervento o di indirizzo in questi ambiti.
Il vero rischio è di continuare a trattare in maniera residuale un problema centrale per il futuro della città.
Parte 3 - Immigrazione e nuove povertà.
3.1 La comunità cinese: un fenomeno enorme ancora avvolto nella nebbia
Nella storia recente dell’occidente, nessuna città di dimensioni simili, ha conosciuto un processo di immigrazione di intensità analogo a quello registrato a Prato. Quando si legge che la comunità cinese di Prato sarebbe, per numerosità, una delle prime in Europa si legge una dato parziale. In realtà, su base provinciale, per ogni 1000 cittadini italiani residenti vi sono almeno 110/120 cinesi (includendo i clandestini stimati secondo i dati del Comune al 2006). In questo senso Prato risulta più simile ad una città del nord-America che a qualunque altra città europea. Con una differenza sostanziale: il processo che è avvenuto nelle città americane è stato il risultato di onde migratorie di decine di anni o di secoli, a Prato è avvenuto tutto praticamente nel corso degli ultimi 10 anni.
Questa constatazione, e il trend degli ultimi anni, dovrebbero aprire una nuova fase nell’analisi e nelle riflessioni sui rapporti con la comunità cinese della nostra area, sicuramente con una strumentazione più robusta che in passato.
I dati sugli effetti e le relazioni – economiche ma non solo – tra la comunità cinese e il sistema locale sono ancora in gran parte avvolti nella nebbia.
Proviamo però a porci una domanda (ovviamente ipotetica): come sarebbe oggi l’economia del distretto senza la comunità cinese? Azzardiamo una risposta: in condizioni ben peggiori.
Ci sarebbero oltre 3.000 aziende in meno. Inoltre, molti proprietari di edifici industriali e abitazioni in affitto, diverse società immobiliari, i concessionari di auto di grossa potenza e i professionisti specializzati in pratiche “cinesi” avrebbero qualche problema in più. E forse anche le banche e gli intermediari finanziari.
Sulla consistenza reale delle attività cinesi e sull’ammontare e il tipo di scambi economici tra queste e le altre attività locali non si conosce quasi niente. I pochi dati ufficiali disponibili sono poco allineati con la realtà, anzi, sono piuttosto incoerenti.
Al 1° trimestre 2007 ( 7) , nella provincia di Prato, risultavano attive 3.155 imprese a conduzione cinese in grandissima parte concentrate nell’abbigliamento. Però nel 2007 le esportazioni di questi prodotti pari a 227 milioni di euro erano quasi uguali a quelle del 2001 (215 milioni). Quindi in sei anni oltre 1000 aziende in più e un incremento di soli 12 milioni di euro di export. Dove e come vendono i cinesi? Sono tutti terzisti? Vendono solo sul mercato interno? E i tessuti e gli accessori che utilizzano nelle loro produzioni da dove vengono? In che percentuale sono di produzione locale, nazionale o di provenienza estera?
Quanto sono rilevanti le “relazioni pericolose” con alcune “griffe” della moda italiana svelate anche in recenti reportage? Che origine hanno gli enormi flussi finanziari che da Prato affluiscono in Cina (432 milioni di Euro nel 2007 escludendo gli scambi commerciali)?
Tutto questo avviene in una sorta di “segregazione” in cui le imprese a conduzione italocinese sono in numero irrilevante e il livello di integrazione sociale dei residenti cinesi ancora piuttosto basso.
E’ incredibile che a Prato si parli di futuro del distretto senza avere alcun quadro plausibile della reale struttura e dimensione di questi processi ed è sconcertante che su questo vuoto di conoscenza si improvvisino sia le politiche di accoglienza che quelle che invocano il rispetto della legalità.
In ogni caso è necessario sgombrare il campo da un equivoco culturale che emerge spesso nei dibattiti che affrontano il tema dell'immigrazione: quella attuale è cosa del tutto diversa rispetto ai flussi migratori che hanno investito la nostra città nei decenni passati.
Assolutamente diversi sono gli attori, diverse le modalità, diverse le dinamiche di insediamento nel contesto urbano, diverso è lo scenario socio economico. Aver affrontato questa situazione secondo i vecchi schemi, e soprattutto confidando che il corpus della città, dal tessuto urbanistico al contesto economico, assorbisse in modo naturale il fenomeno e che le cose “sarebbero andate a posto da sole”, ha trasformato le problematiche in problemi, ed ha consentito che le varie situazioni raggiungessero livelli elevati di criticità.
3.2 I rischi delle nuove povertà ed i dilemmi della politica
Ma il problema dell’immigrazione potrebbe, nei prossimi anni, assumere anche connotati preoccupanti dal punto di vista sociale. E’ la crisi economica e l’incertezza del futuro che possono alimentare atteggiamenti regressivi e favorire i “conflitti tra poveri”. Sono gli altri immigrati che spesso lavorano in mansioni che i pratesi non intendono più svolgere, che potrebbero pagare i costi della riduzione dell’occupazione senza neppure disporre della rete familiare di supporto e del risparmio che, almeno in parte, continua a sorreggere gli italiani.
Vi sarà inoltre il rischio di una crescente marginalizzazione di quei lavoratori e famiglie che più di altri saranno investiti dai processi di ristrutturazione e di riduzione delle attività tessili con un ulteriore aumento delle forme di precariato comprese quelle più estreme.
Se le opportunità di operare e crescere sono possibili solo per i grandi gruppi, per le famiglie che hanno a disposizione grandi patrimoni, o per coloro che vivono della politica e dei suoi derivati, c’è allora il rischio di una ulteriore e preoccupante caduta dei livelli di democrazia economica.
La città del domani non sarà più la stessa (8) , ma soprattutto non saranno più gli stessi i cittadini: pratesi, rumeni, cinesi, pakistani, albanesi, senegalesi ecc. La scelta è fra “torre di babele” o “città delle genti” cioè una città che faccia dell'integrazione fra le varie etnie, del rispetto fra le diverse culture, e di una base prioritaria di diritti, doveri ed opportunità, un elemento qualificante del suo divenire. Può darsi che molti immigrati tornino ai propri paesi, forse altri si sposteranno da Prato, ma per quelli che rimarranno e vorranno divenire cittadini di Prato occorre immaginare un domani diverso.
E' allora la speranza in futuro migliore che può divenire l'elemento unificante della nuova “civitas”pratese ed è a questo progetto che bisogna dedicare maggiori energie; pensiamo che sia venuto il momento di abbandonare strategie indirizzate in modo equivoco “solo” agli immigrati ed individuare percorsi che promuovano la costruzione di una nuova cultura urbana e di un comune senso di appartenenza.
Parte 4. Frammenti di un programma
4.1 Nuove energie: la riproduzione del capitale sociale ed economia della conoscenza
Il futuro non può essere affrontato con Il piccolo cabotaggio, la politica autoreferenziale, le visioni lobbistiche e neo-corporative, la concertazione sterile, il consociativismo di fatto.
Occorre una nuova energia, una salto di conoscenza, una qualità nuova nella partecipazione e nel confronto. E occorrono metodi e strumenti che possano favorire tutto questo.
Occorre puntare sulla ricostruzione del capitale sociale e dell’agorà per un “discorso” politico pubblico. L’attuale “smarrimento nell’incertezza” di tante parti della società pratese non deve essere fomentato da politiche illusorie, da semplificazioni demagogiche e da promesse insostenibili. E’ necessario mettere in moto nuove energie, attraverso la mobilitazione di tutta la società locale e delle sue risorse migliori in un contesto di inclusione e partecipazione. Il processo non sarà facile, gli esiti probabilmente incerti, ma è la politica che deve tornare alle proprie responsabilità e ai propri rischi.
Per questo vorremmo una politica e dei politici che tornassero ad essere “cittadini tra cittadini”, a parlare di ciò che i pratesi, insieme, potrebbero fare per sé stessi e per la propria città e non di ciò che i pratesi chiedono agli altri di fare per loro.
Per far questo, la nostra proposta è quella di provare a costruire un autentico ed approfondito processo di “ascolto della città”, delle sue tensioni, delle forze di crisi e di quelle di trasformazione, dei suoi malesseri e dei suoi entusiasmi (che ancora vi sono). Un processo, improntato alla “elaborazione” comune, costruita con i migliori strumenti di partecipazione e deliberazione democratica, finalizzato alla costruzione di un progetto e di una “visione” condivisa della città e del suo futuro.
Si tratta di una prospettiva di grande impegno, ma necessaria se si intende affrontare in maniera seria e non elusiva i problemi di carattere strutturale e per niente contingenti che attanagliano la nostra città, costruendo forme ed opportunità di “cittadinanza” aperte a tutte le componenti sociali. Anche di recente immigrazione.
In questa prospettiva proviamo a segnalare alcuni temi portanti che dovrebbero entrare nell’agenda di questo processo, consapevoli dell’assoluta parzialità del nostro contributo e ribadendo l’invito ad altre passioni e competenze che aiutino a ridurre questa parzialità
4.2 Partecipazione e governance
Il primo ambito di lavoro riguarda in realtà alcuni obiettivi di metodo adeguati a orientare e gestire il lavoro progettuale secondo un modello efficace di governance democratica.
4.2.1 La centralità della partecipazione come metodo e pratica ordinata per l’efficacia del governo
La “partecipazione” dei diversi attori alla vita politica ed amministrativa diviene un elemento strategico di ri-orientamento della azione amministrativa. Partecipazione non significa vuoto e rituale assemblearismo ma capacità di ascolto e ampliamento del campo del potere politico da parte della amministrazione e simmetrica assunzione di responsabilità da parte di portatori di interesse ed attori sociali di diversa natura.
La legge regionale Toscana pone la partecipazione come “metodo ordinario di governo” e costituisce uno strumento importante per sostenere questo approccio nella pratica amministrativa ma anche per riprodurre circuiti di comunicazione e fiducia fra amministratori ed amministrati.
4.2.2 La trasparenza e la rendicontabilità delle politiche e della spesa delle risorse pubbliche
Risorse più scarse e fabbisogni crescenti rendono necessaria una maggiore trasparenza dei processi decisionali, degli interessi in campo e del ruolo svolto dai diversi soggetti nella negoziazione e definizione delle scelte politiche. Le scelte e i progetti devono essere comunicati in modo adeguato, devono essere
rendicontabili e valutabili rispetto a fini, obiettivi e criteri, chiaramente espressi ed argomentati pubblicamente. Fondamentale da questo punto di vista può essere il ricorso a forme di “bilancio partecipativo” .
4.2.3. L’integrazione settoriale delle politiche
Il rilevante potere e responsabilità attribuiti ai funzionari pubblici e ai dirigenti dei vari settori deve coniugarsi con la capacità di interagire in maniera efficace fra di loro. L’esperienza - e le buone pratiche delle municipalità europee - insegnano infatti che la efficacia e qualità delle politiche è determinata in maniera chiarissima dalla qualità della interazione intersettoriale fra le varie competenze disciplinari all’interno della amministrazione, soprattutto nel campo delle politiche urbane. Agire in maniera differente significa ottenere risultati scarsamente efficaci e ben al di sotto di quelle che sono le reali esigenze ed aspettative. E’ ovvio che questa impostazione non può che essere guidata dalla politica.
4.3 Dall’economia alla città
Lo sviluppo di un sistema locale dipende da tanti fattori, esterni ed interni, dal quadro istituzionale, delle politiche del paese e da quelle locali, dalle caratteristiche del proprio sistema produttivo e dalla qualità e coesione della “Civitas” dei cittadini che lo abitano.
Ma lo sviluppo e la qualità sociale possibili dipendono anche dalla qualificazione di un territorio e dalle economie esterne, materiali e immateriali, che è in grado di sostenere e far crescere.
In Europa, e in Italia, tante sono le città alla ricerca di una “nuova economia” (con le eccezioni forse delle metropoli globalizzate e di quelle che hanno colto per tempo i cambiamenti). Questa è la “scala” dei problemi: non è più sufficiente un sistema economico competitivo (il nostro, peraltro, lo è sempre meno) ma occorrono un territorio ed una città adeguati a rispondere in maniera integrale alle sfide della complessità e a riprodurre, al contempo, coesione sociale. Prato, in questi anni, non è stata in grado di elaborare tale modello. All’opposto, e paradossalmente, ha accettato uno stile e un modello di città che non ha guardato alle punte alte dell’Europa ma piuttosto a qualche quartiere periferico di città cinese.
Ma non è questo il modello di “competitività della città” accettabile, auspicabile e – sopratutto – sostenibile nel medio e lungo termine.
Se la sfida è la competitività territoriale occorrono strumenti di politica economica diversi dal passato, occorre una forte autonomia per progettare e realizzare politiche pubbliche (di indirizzo pubblico) in grado di operare delle forti scelte di preferenza sociale (e non solo di preferenza economica) (9).
4.4 Aspo – Agenzia strategica Prato
La concertazione moltiplica il numero di tavoli inconcludenti in cui si discute (spesso in modo nascosto alla città). Ormai è chiaro che tale modello non funziona, è sterile, non produce effetti se non quelli legati ad un uso non trasparente delle risorse e dei finanziamenti esterni.
Inoltre non è mai legata a principi elementari di responsabilità.
L’intreccio tra questioni economiche, sociali e urbane richiede di superare questa inconcludenza.
Si propone la realizzazione di un’Agenzia che abbia i seguenti compiti:
promuovere (per davvero e non come ha fatto il Comune) la realizzazione e la gestione di un vero piano strategico per il futuro di Prato
coordinare le attività di tutti quegli Enti di ricerca (pubblici o privati) presenti sul territorio per creare un sistema di monitoraggio efficace in cui i vari contributi siano messi a fattor comune e reciprocamente valorizzati
gestire un nuovo modello di negoziazione in cui gli obiettivi delle parti sociali siano resi espliciti alla città e in cui sia una volta tanto chiaro quali siano le risorse in gioco, chi si assume la responsabilità e di che cosa
fungere da Advisor di tutti i progetti e i finanziamenti che arrivano in città, senza conflitto con le autonomie degli Enti o delle Organizzazioni titolari dei progetti, ma unificando e rendendo trasparenti e pubblici i criteri con cui sono distribuite le risorse: Obiettivi, Esiti attesi, Coerenza con altri progetti, Costi, Modalità di gestione, Rendicontazione (con l’elenco in chiaro dei beneficiari e dei riceventi), Responsabilità, Esiti effettivi (valutazione ex-post)
Costituire e gestire un “Albo degli strumenti, dei progetti e dei finanziamenti” (su Web) da cui sia finalmente chiaro chi, come e con quali risultati, stia utilizzando risorse pubbliche (di qualunque tipo e provenienza, UE, Stato, Regione, Provincia, Comune, CCIAA, strumenti e leggi specifici, ecc.). (Non sarebbe male che si guardasse, con le stesse logiche ed obiettivi, anche al passato recente).
Definire i criteri per interventi selettivi a sostegno delle imprese e individuare meccanismi di garanzia per la corretta gestione delle risorse (p.e. quante sono le imprese che hanno ottenuto vari sostegni o aiuti finanziari in passato e che oggi sono chiuse o in fase di ridimensionamento? E quanti dei titolari di queste imprese hanno della società che gestiscono consistenti patrimoni immobiliari?)
Definire, sviluppare, coordinare e valutare in termini operativi i progetti di trasformazione urbana e tutti gli interventi che modificano gli utilizzi del territorio e delle risorse naturali.
Monitorare i bilanci e le spese di tutti gli enti pubblici per identificare ambiti di possibile recupero di efficienza, di riduzione dei costi, di miglioramento dei servizi.
Sono compiti pesanti e ambiziosi, ma potrebbero inaugurare un nuovo stile e una nuova cultura di governo in grado di provare davvero a fronteggiare la straordinarietà della situazione.
4.4 Territorio e città come “beni comuni” per lo sviluppo locale
4.5.1. La centralità dello spazio e del progetto pubblico
Lo sviluppo, o forse è meglio dire la trasformazione urbana e territoriale, deve essere guidata in maniera chiara da principi di utilità comune, nel quale anche i privati possano trovare delle condizioni certe e giuste per la efficacia della loro azione.
In questo senso centrale deve essere il ruolo dell’attore pubblico nel ricondurre e “flettere” ad una visione di insieme le visioni parziali dei diversi soggetti.
In questo contesto centrali diventano i temi che “fanno una città” ed un territorio nella sua natura più profonda di beni comuni non appropriabili dai singoli senza che ne provenga un danno per lo sviluppo nel suo insieme. Sono temi in gran parte già enunciati nella prima parte del manifesto:
- il valore generativo e prioritario nel progetto urbano dello spazio pubblico come elemento che fa la qualità della città, la sua capacità attrattiva e relazionale, anche in termini multiculturali, e che, in quanto tale, favorisce la produzione di capitale sociale;
- le politiche per la casa e per la residenza sociale, introducendo nuovi elementi e criteri di qualità e quantità per tale offerta accrescendo la varietà e accessiblità delle forme di offerta;
- il valore del progetto urbano e territoriale come strumento per supportare i punti e gli obiettivi precedenti, rafforzando il ricorso a procedure concorsuali, a strumenti di progettazione complessa ed integrata.
- la tutela e salvaguardia attiva del patrimonio paesaggistico e storico culturale come fattori di identità e sviluppo. Si tratta di un richiamo non scontato, basta pensare a come sono stati trattai, sotto l’egida delle competenti Soprintendenze, due dei patrimoni più importanti della nostra città : la Fattoria Medicea delle Cascine di Tavola e la Città Etrusca di Gonfienti. Patrimoni che in qualsiasi altro paese sarebbero divenuti strumenti di promozione territoriale ed economica;
- la promozione e tutela del territorio agricolo della piana e della frangia periurbana, da non vedere come spazio residuale in attesa di edificazione, ma come fattore e patrimonio “unico” e prezioso in un contesto metropolitano.
4.5.2. Una politica integrata per la sostenibilità ambientale ed energetica
n termini più generali, uno spazio nuovo nelle politiche della città deve trovare la dimensione della tutela e riqualificazione delle risorse ambientali e del territorio aperto, come beni finiti o scarsi ma anche come opportunità per generare nuove economie ed attrattività del territorio (risorse rinnovabili, tecnologie ambientali, qualità paesaggistica, ricettività e agricoltura urbana e multifunzionale);
Occorre definire chiari e verificabili criteri che consentano di bloccare lo spreco e il degrado delle risorse naturali e di legare la tutela dell’ecosistema e del paesaggio ad un modello di sviluppo integrale e non ridotto solamente ai suoi caratteri monetizzabili.
Tale dimensione deve essere assunta a fondamento delle regole che guidano la pianificazione e le scelte di sviluppo ed assetto territoriale. In particolare la connettività eco sistemica (reti ecologiche) deve costituire, come invariante, uno degli elementi fondamentali dello statuto del territorio. In questo senso il valore multifunzionale della agricoltura come presidio e cura nell’area periurbana deve essere fatto oggetto di specifiche politiche pubbliche di incentivo alla presenza di una agricoltura che genera beni alimentari tracciabili ma anche specifici “beni pubblici” extramercato (prevenzione dei rischi, paesaggio, qualità ambientale, loisir, cultura, etc).
I progetti di intervento nell’area della sostenibilità devono pertanto perdere il loro attuale carattere residuale e frammentario e diventare centrali nella trasformazione del territorio.
A questo approccio integrato e multisettoriale all’ambiente che lo colloca, insieme ad altri aspetti, all’inizio e non alla fine del processo decisionale e valutativo, si devono accompagnare strumenti innovativi di governo, valutazione e conoscenza.
Si è già fatto cenno alla necessità di integrare nei diversi settori della amministrazione la dimensione ambientale come fattore da considerare fin dall’inizio nella definizione e selezione delle diverse scelte.
In relazione a ciò, si tratta quindi di maturare un approccio scientifico alla misurazione delle risorse ambientali in contesto urbano e sulla opportunitità del loro investimento nelle trasformazioni. "La protezione delle risorse ambientali sarà la precondizione di base per una sana crescita economica": così afferma esplicitamente il Libro verde della Commissione Europea (10). In altre parole questo significa costruire bilanci precisi e misurabili, non solo in termini monetari, sugli impatti che i diversi interventi sul territorio possono generare e, in rapporto a ciò, di costruire progetti che al posto del tradizionale approccio di mitigazione dell’impatto possano sviluppare il valore aggiunto,anche economico, di un progetto integrato anche dal punto di vista ambinentale (p.e aree produttive ecologicamente attrezzate, corridoi infrastrutturali multifunzionali, architettura bioclimatica, biomasse e qualificazione paesaggistica, etc).
Particolare attenzione andrà posta sugli aspetti della produzione energetica. Oltre alla prioritaria riduzione dei consumi energetici degli edifici pubblici occorrerà migliorare le modalità di sfruttamento energetico attraverso il ricorso a tecnologie legate alle fonti rinnovabili.
A ciò deve accompagnarsi un diverso modello gestionale della fornitura energetica. Il ruolo svolto dalle municipalizzate è insoddisfacente sia per la carenza e coinvolgimento di figure professionali di alto livello e “terze” sia per il debole controllo che la committenza pubblica esercita su di esse (11).
4.6 Governo della rendita e contenimento urbano
Alcuni dei punti precedenti non possono essere affrontati adeguatamente se non attraverso una efficace lotta alla rendita immobiliare e fondiaria. Tale lotta, già dichiarata dal PIT (12), deve essere condotta con obiettivi specifici e verificabili (si veda la norma della legge regionale 1/2005). Essa può essere combattuta su più piani:
- A livello normativo e “prescrittivo”: contenere il consumo di suolo entro parametri certi e definiti. Per esempio all’estero si pongono precise percentuali di aree di recupero urbano sul totale degli interventi previsti dal piano (in UK il 60% deve provenire dal riuso)
- Attraverso la leva fiscale: tramite le tasse di impatto, da tenere più elevate per chi interviene su aree non edificate, e con un recupero serio del plusvalore derivante dalla rendita con entrate da destinare alla costruzione della “città pubblica”.
4.7 Fiscalità e bilanci degli Enti Locali
I bilanci degli Enti pubblici sono questioni per addetti ai lavori. In realtà nascondono molti problemi:
in che misura le spese correnti dipendono da entrate non di esercizio (oneri di urbanizzazione o recuperi una tantum di tasse/tariffe/imposte)
in che misura le operazioni di outsourcing nascondono costi di personale e sono assegnate con criterio non trasparenti
quanta parte del lavoro totale (interno o esterno) è legato a forme contrattuali precarie
quali sono le operazioni di finanziamento a medio e lungo termine e quali rischi – eventuali – celano (derivati)
a quanto ammontano le risorse dedicate a compensi straordinari (premi di produzione, benefit, ..), secondo quali criteri sono erogate, in base a quali principi di responsabilità.
Vi sono in sostanza almeno tre questioni importanti:
La prima, è se le risorse sono in grado, strutturalmente, di garantire i servizi e gli investimenti nel medio termine (anche considerando gli effetti della recessione) oppure se non si stia operando con le tecniche del rinvio e dell’occultamento.
La seconda, è legata alla totale assenza – su base provinciale – di un serio progetto di riorganizzazione ed ottimizzazione dei servizi (quanti sono i comuni che gestiscono in proprio le buste paga dei propri dipendenti?, chi e come decide di affidare un servizio all’esterno? E con quali garanzie o penalità nel caso che non vengano raggiunti gli obiettivi?). Il ricorso esasperato a strutture esterne (es. Sori) ha prodotto incrementi di efficienza o piuttosto ha indebolito le funzioni strategiche della macchina pubblica aumentando la deresponsabilizzazione e incrementando i costi finali per i cittadini?
La terza, è legata alla drammatica carenza informativa con cui opera l’amministrazione (p.e. il contrasto all’illegalità è certamente difficile ma perché non c’è alcun coordinamento e una raccolta sistematica dei dati tra Comune, Questura, Prefettura, CCIAA, GdF, Inps, Inail, Ufficio registro, Asl, Enel, Aci, ecc.).
L’ente locale vive di tasse/imposte/tariffe ma perché non avere il buon senso e il coraggio politico di effettuare scelte serie di razionalità e trasparenza? Cosa si impegnano davvero a realizzare i partiti o le coalizioni per la nuova legislatura? E’ i sindacati sono disponibili a discutere intorno ai privilegi di alcuni dipendenti, alle difficoltà dei precari compressi nei contratti di outsourcing, alla necessità di rendere esplicite (e correggere) alcune delle evidenti sciocchezze cha hanno contribuito a creare?
Nei prossimi anni i vincoli di bilancio saranno ancora maggiori e difficilmente potrà aumentare la pressione fiscale o l’incidenza dei tributi locali.
La politica deve avere la forza di dichiarare vincoli e priorità (non aspettando un ipotetico federalismo fiscale) perché non solo non sarà possibile fare tutto, ma sarà posto in discussione anche l’attuale standard dei servizi.
La strada, tra riduzione delle risorse e incremento dei fabbisogni e delle emergenze sociali, si farà più stretta e alcune scelte pesanti non saranno probabilmente più rinviabili.
La politica dovrebbe avere la lungimiranza e la capacità di rinunciare a molti dei propri privilegi e di guidare la Comunità locale ad un nuovo patto con sé stessa. Sobrietà e misura dovrebbero divenire dati di fatto in comportamenti e decisioni coerenti.
4.7 Il buco nero delle Partecipate
Queste aziende hanno subito, negli ultimi anni, trasformazioni e modifiche che hanno in pratica , sottratto ai cittadini, non solo il controllo ma anche la proprietà delle stesse, trasferendole in buona parte a gruppi di potere legati ai partiti che ne hanno modificato gli obiettivi e finalità. Pur con una presenza pubblica, le società partecipate, si sono adagiate in una visione subalterna alle logiche del mercato, operando investimenti in settori discutibili e che poco hanno a che fare con le loro missioni originarie.
Questioni etiche alle quali va a sommarsi lo spessore della crisi attuale richiedono di restituire alla città quello che è della città e separare la fornitura dei servizi, dalle altre attività, non istituzionali, che non dovrebbero più essere caricate sulle spalle dei cittadini.
Così come la proliferazione di società specifiche non appare legata a criteri di reale necessità quanto piuttosto alla moltiplicazione dei Cda e dei posti per amministratori, consiglieri e sindaci revisori.
Quindi anche per le partecipate diviene irrinunciabile un grande operazione di trasparenza almeno in relazione a: bilanci, piani di investimento, retribuzioni interne e benefits, politiche di assunzione, risultati economici e tariffe.
In questo quadro anche la CCIAA (che è “partecipata” solo nel senso che i suoi organismi dirigenti sono espressi dalle forze economiche locali) dovrebbe cambiare completamente registro. Ad oggi è una struttura che pur essendo florida e piena di risorse continua ad aumentare la pressione sulle imprese dell’area senza fornire supporto adeguato al sistema economico locale. Le modalità con cui la CCIAA gestisce le risorse drenate dalle imprese non rispondono a criteri minimi di trasparenza e chiarezza e questo chiama in causa pesantemente le Associazioni imprenditoriali dell’area.
Altri punti di rilievo su cui chiediamo contributi
Alcuni temi fondamentali per la città e la società locale - quali ad esempio trasporti, mobilità e infrastrutture, gestione dei rifiuti, sanità, scuola, cultura, formazione, ricerca e innovazione - non sono affrontati nell’attuale versione in questo manifesto.
Su questi temi e su altri, così come sulle nostre considerazioni, auspichiamo che si sviluppino altri contributi – anche critici – animati dalla stessa passione per il futuro della nostra città.
Note
(1) Si ringraziano per i contributi esterni: Maria Rita Cecchini, Massimo Bressan e Andrea Valzania
(2) Abbiamo provato a condensare “i mantra” più frequenti recitati dai vari attori del Distretto nel corso degli ultimi anni. La lista comprende 20 titoli, ma non è esaustiva; mentre è facile constatare che – in gran parte – hanno prodotto esiti inconsistenti: Tessile di qualità, Tessile di nicchia, Allungamento della filiera (anche coi cinesi), Innovazione (prodotto, processo, organizzazione), Crescita dimensionale, Reti di imprese, Protezione del made in italy, Nuovo manifatturiero, Terziario avanzato, Logistica, Marketing territoriale, Turismo, Formazione – professionalità – management – valorizzazione delle risorse umane, Strumenti di supporto (Finanziamenti, Merchant di filiera, …), Fiscalità di distretto, Governance e concertazione, Infrastrutture, Città della moda, Distretto della conoscenza , Distretto polisettoriale.
E’ evidente come tutte le azioni intentate in questi anni non hanno operato sulle “cause prime” della crisi di Prato: gli effetti spiazzanti della globalizzazione e l’ ”attrazione fatale” dell’economia etnica (cinese).
(3) Nell’attuale discussione (meglio sarebbe dire non discussione) sull’area metropolitana questi aspetti sostanziali sono del tutto assenti. È’ inconcepibile che i progetti individuati (ad esempio ex-Banci) abbiano un qualche senso indipendentemente da ciò che Firenze farà o non farà nella piana di Castello o all’Osmannoro. La classe politica fiorentina inoltre sta dando in queste settimane esempi deplorevoli di come sia stato gestito l’assetto urbano di Firenze. Pensare che gli stessi personaggi possano ragionare di area metropolitana produce solo freddi brividi di preoccupazione.
(4) Almeno che qualcuno non intenda come “spazio pubblico” i luoghi anonimi, senza storia, identità e relazioni, costituiti dagli Shopping Center e dalle Multisale. La confusione e l’approssimazione sul problema è tale che di recente un parlamentare pratese ha trovato ragionevole suggerire – perfino – la realizzazione di un parco giochi al posto del vecchio ospedale.
(5) E’ davvero sconcertante constatare come spesso, da parte di molti tra coloro che hanno costruito volumi civili equivalenti ai volumi industriali sostituiti, si sprechino gli appelli e le sottolineature alla necessità di infrastrutture, al miglioramento della viabilità, ai parcheggi che mancano, ecc. ecc. E’ privo di senso ritenere che il contributo alla collettività di chi ha operato in grandi progetti immobiliari (per dimensioni e impatto) si debba limitare agli oneri di urbanizzazione. Ma così – purtroppo – hanno operato le ultime Amministrazioni.
(6) Ad esempio, il “Piano Strategico” del Comune, che si è fermato nel 2006, conteneva analisi di scenario e indicazioni di prospettiva del tutto insufficienti. Il Piano, che è stato condiviso da tutte le Associazioni di Rappresentanza, è un esempio di ciò che “non si dovrebbe fare” e di una Governance del tutto fittizia basata su una concertazione inconcludente, mentre sarebbe davvero necessario riprendere un’analisi strategica fondata sulla realtà.
(7) E’ piuttosto singolare, per non dire altro, che i dati forniti dalla Camera di Commercio di Prato relativi alla demografia delle imprese straniere siano fermi al primo trimestre 2007.
(8) Su queste questioni si rinvia alla lettura della nota di Massimo Bressan e Andrea Valzania: “Immigrazione a Prato. un contributo alla discussione”.
(9) Sulla base di queste considerazioni appare del tutto evidente come i progetti sull’area Ex-Banci e le discussioni sul piano strutturale siano avvenute, ad oggi, in un quadro conoscitivo e con modalità tecniche del tutto insufficienti. La trasformazione della città è una questione troppo seria e importante per lasciarla solo nelle mani di un ufficio di piano.
(10) Il Libro verde della Commissione Europea nasce dalla necessità di sensibilizzare e stimolare lo sviluppo di nuove forme di promozione della responsabilità sociale delle imprese, e dall’esigenza di creare “l’impresa Europa”, vale a dire un’Europa dinamica, innovativa, aperta e competitiva.
(11) Sulle problematiche ambientali si rinvia alla lettura della nota di Maria Rita Cecchini: “Contributo sui temi ambientali”.
(12) Il PIT Piano di indirizzo Territoriale, è lo strumento di pianificazione e di governo del territorio della Regione Toscana. Quello attualmente in vigore è stato approvato nell’aprile del 2007.
1 commento:
Troppo lungo, confuso, faticoso. Scritto maluccio. Impostazione 'architettonica' e dottorale. Non aiuta il cambiamento.
Alessandra
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