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La mer, la fin...

mercoledì 3 settembre 2008

Archeoambiente. La Kylyx di Gonfienti

Un capolavoro etrusco pratese: la kylix del pittore Douris (ca. 475 a.C.) Foto S.A.T. (2003)


UN CAPOLAVORO PRATESE DEL QUINTO SECOLO A. C.
Giuseppe Alberto Centauro



Nel sito archeologico di Gonfienti[1], il grande complesso abitativo di oltre 1440 mq. corrispondente al Lotto 14[2], conosciuto come “la domus” del periodo etrusco arcaico” del VI-V sec. a.C., edificato rispettando la geometria modulare del piede attico (cm. 29,6), rappresenta da solo l’eccezionalità dell’insediamento, in virtù delle dimensioni da primato di quella dimora e della sua peculiare icnografia, con grande cortile centrale munito di pozzo circolare, largamente anticipatore del modello della “casa ad atrio” dell’epoca romana[3].
Ma ancora più rilevante è il corredo dei reperti restituiti da questo edificio, paragonabile ad una reggia[4], sia per la ricchezza degli elementi decorativi propri dell’apparato architettonico, con tegole piane dipinte (embrici) e coppi di varie sezioni con figure acroteriali (ad es. singolari i coppi di colmo, a zampa di cinghiale) e splendide antefisse, a testa femminile sia per l’utensileria ed i corredi ceramici. Infatti, all’interno dell’area di scavo dell’edificio principale, tralasciando i materiali ceramici d’impasto e i buccheri rinvenuti in abbondanza e varietà di forme[5], spicca tra le altre una coppa (kylix) a figure rosse, di straordinaria fattura artistica e di eccezionale rilievo iconografico per la rappresentazione di una saga della mitologia greca, rivisitata dal suo artefice con sapienza, Essa ci offre molteplici significati, ancora inesplorati: emblematicamente fermiamo la nostra attenzione su questo solo oggetto, a valenza stessa della grandezza del sito archeologico pratese e della grande portata della scoperta sottintesa.
Questa straordinaria opera d’arte, un capolavoro assoluto, per quanto frammentario, causato dal crollo della casa, ricomposto da quatto principali lacerti, è una testimonianza sublime dell’alto pensiero filosofico elaborato dal suo artefice nella sapiente manipolazione pittorica, promossa dalla committenza etrusca[6].
Noi riteniamo che il valore testimoniale, oltre che artistico, di questa ceramica sia elevatissimo e che evochi nella dedicazione originaria la presenza di un grande Re, probabilmente da poco scomparso; alludendo idealmente persino alla morte di un mitico Re etrusco, quale fu Porsenna che dovrebbe essere compresa tra il 480 e 475, le suggestioni aumentano ancora.
Ma osserviamo da vicino questo manufatto.
La kylix reca nel tondo centrale (diametro di ca. 31,7 cm.) l’inconfondibile marchio (cornice con motivo a croce greca) della bottega del celebrato e stravagante pittore Douris, attivo nell’area chiusina insieme ad altri celebrati artisti attici tra i quali spicca anche il nome di Euphronios.
Il pittore potrebbe aver realizzato l’opera su questo modello ceramico tra il 475 ed il 470[7], valutando quello che conosciamo della sua produzione però non affatto contestualizzata come questa, bensì principalmente trovata in corredi funerari e quindi di più incerta origine e possibile datazione.
Resta nella lettura della raffigurazione di questa coppa, vista la stretta relazione ipotizzabile con chi può averla commissionata, che di certo abitava in quella fastosa dimora, più di una incognita suggerite in primo luogo da quella regale e paludata figura maschile barbata, posta al centro del tondo, qui appoggiata sotto l’ascella del braccio destro ad un lungo bastone, nella postura, ricorrente nell’arte greca, del filosofo di fronte all’allievo.
L’ammantato personaggio, delimitato a tergo da un pilastrino, o colonna spezzata, quale riconoscibile segnacolo, solitamente attribuito alle onoranze di un defunto, vive nella cerimonia dell’incoronazione affidata ad un’agile ed eterea figura alata, rappresentata nelle movenze di un fanciullo spiccato in volo (erote), che a sua volta sta per essere consacrato dal togato Re filosofo che si porge a questi con estrema delicatezza, appena piegandosi in avanti col busto senza spostarsi minimamente dallo stallo, con il palmo della mano rivolto verso l’alto nel gesto imminente di versare acqua purificatrice sulla fronte del messaggero con le ali che, in quello stesso istante, lo sta onorando e incoronando. Un incrocio di gesti e ritualità restituito dal pittore con un’abilità sopraffina, sensibilità non comune ed accuratezza di tratto davvero rimarchevoli.
L’esclusiva allusione alla saga di Esiodo, ispirata alle gesta di Teseo, che è stata fatta dal suo primo recensore[8] però non convince del tutto, anche se questa può essere questa stata senza dubbio fonte d’ispirazione per l’artista, perché il significato di quell’azione, la rarefatta atmosfera post-mortem che si percepisce sopra ogni altra cosa, e la scansione stessa della storia fissata su elementi simbolici allusivi sembrano affermare in realtà l’esistenza, oltre il richiamo ad un’eventuale iconografia mitologica (rintracciabile in parte nell’episodio della Discesa di Piritoo all’Ade), di un’altra verità, che se l’opera fosse stata di periodo più tardo non avremmo esitato ad ascrivere all’ideologia neoplatonica. Questa verità sottintesa potrebbe rivelare le intenzioni del committente, affidate al migliore artista in quel tempo presente sulla “piazza” che avrebbe potuto avere una propria bottega anche nel territorio della città etrusca sul Bisenzio, o comunque nell’area dell’odierna Chiusi, dove nelle necropoli dell’introno si concentra molta dell’esigua produzione artistica a questi attribuita, ad oggi conosciuta (in tutto una quarantina tra coppe e vasi dipinti) .
Chi poteva essere colui che onorava fino a celebrare il tal modo un proprio avo, fino ad elevarlo ad eroe, un personaggio regalmente ammantato? forse un figlio, o piuttosto un erede, mosso da gratitudine nei confronti di un benefattore della comunità, o piuttosto di un parente di nobili origini, ma certamente deceduto, che viene, attraverso l’icona rappresentata dall’erote, onorato e riconosciuto nella propria dimora, quasi fosse un Re.
D’altronde questa lettura pare essere confermata dalle storie narrate nel rigiro pittorico del sottocoppa, ovvero nel racconto stesso delle gesta di un giovane ed ardimentoso guerriero, che da semplice pastore riconoscibile in quelle sembianze perché, dismessa la ruvida clamide portata sul braccio, rimane nudo con in testa il solo petasos (cappellaccio dei bovari), nell’attesa evidente di un cambiamento che presto verrà, giacché quello stesso prendendo le mosse dal primo si trasforma in un principe, riconoscibile dalla stola di leopardo che ha preso il posto della clamide, già nell’atto di guerreggiare.
La composizione pittorica che nella rappresentazione dell’iconografia mitologica indicherebbe due personaggi (Teseo e Piritoo), potrebbe qui testimoniare nella magistrale traduzione artistica fatta dal suo artefice la storia di un solo individuo, prima pastore e successivamente asceso agli onori di giovane condottiero. Ce lo dice quell’incrocio emblematico di piedi tra il primo e il secondo personaggio che l’artista realizza quasi che dal passo del pastore con la verga scaturisca per trasmutazioni il movimento del guerriero con la lancia.
A rendere ancor più intrigante la lettura di questa simbologia introdotta con preciso scopo dal pittore, c’è da dire che, a forma di petasos erano pure i terminali bronzei delle quattro guglie angolari del mausoleo del leggendario Lars Porsenna (Re Pastore), così come ci ha lasciato descritto Plinio il Vecchio nel libro dedicato ai labirinti (Naturalis Historiae, lib. XXXVI)[9].
Il suono di questi bronzei copricapi risuonava, così vuole la leggenda, nella valle dove al centro si ergeva fra le acque di due fiumi il grande mausoleo che il lucumone di Chiusi si fece costruire sopra un labirinto con il suo sepolcro, custode di ricchezze e di segreti che raccontavano le gesta eroiche del mitico dux etruriae. Si veda, al riguardo, la figura del guerriero che precede l’altra, ma che - se diamo alla scena quella diversa lettura sopra indicata – in realtà lo segue nell’ordine cronologico-temporale. Anche il giovane armato è raffigurato nelle nudità di un atleta, con il solo elmo cuspidato ben calzato in testa, recando con sé, come elemento chiarificatore degli attributi da riconoscere e quindi distintivo della propria posizione sociale, rovesciata sul braccio sinistro proteso in avanti, una pelle di felino (leopardo o leone maculato), simbolo riconoscibile di regalità, mentre con il braccio destro, completamente piegato, in un atteggiamento assai vigile, pronto “a pugnare”, tiene in mano, al posto della verga, una lancia. Tuttavia la guerra che pare combattere questo personaggio è alquanto singolare ed insolita perché la marcia del guerriero è guidata da un carro del tutto particolare che ha per nocchiero quello stesso messaggero alato (l’erote) che abbiamo sopra descritto, raffigurato in volo nel tondo centrale, e come animale da traino ha un maestoso cigno. Allora, se della metafora di guerra dovesse ancora trattarsi, questa risulterebbe sospinta da Amore piuttosto che da Odio. Nella composizione pittorica dell’artista questa potrebbe tradursi dalla rappresentazione di una battaglia spinta da nobili ideali, forse a personificare l’intenzione di una fratellanza tra i popoli, foriera di un periodo di pace, quell’abitare insieme che è il concetto stesso espresso dal sinecismo etrusco condiviso con l’idea democratica della rivoluzione ateniese del 512. a.C. Tuttavia fu proprio Lars Porsenna nel 509 a.C. che conquistata Roma applicò per la prima volta quei principi nei confronti di un popolo vinto che lasciò in mano alla giovane repubblica, rinunciando a restaurare il reame iniquo dello scellerato Tarquinio “il Superbo”.
Molte analogie, troppe similitudini per non produrre un’intensa emozione nell’osservare quel capolavoro artistico.
Ritornando alla possibile interpretazione di questa stupefacente coppa, possiamo dire che ad avvalorare questa lettura, ancora una volta, resta l’inconfutabile incoronazione dipinta nel tondo centrale. Questo regale riconoscimento - come atto finale della saga - testimonia anche nell’antitesi tra Ragione (il re filosofo) ed Eros (il fanciullo alato), il testamento ideale del condottiero che ha scelto come guida per le sue battaglie, l’ erote e da questo viene giustamente onorato ed infine incoronato. Purtroppo il resto della composizione è giunto a noto in modo assai frammentario e non è possibile chiudere perfettamente il cerchio del racconto, non prima però di aver notato come il nostro personaggio si veda ancora alla fine della sua gloriosa impresa in lotta strenua e serrata con un armato alato (una divinità del regno dei Morti) che, nel simbolismo del mondo etrusco, equivale a colui che conduce all’ultimo viaggio, colui che accompagna tutti gli esseri, volenti o nolenti, nell’Ade, quasi a sottolineare il fatto di come, colui che viene incoronato Re per l’eternità, abbia da vivo, strenuamente lottato, fino in fondo, con l’ineluttabile fine di tutti i mortali.
Questo capolavoro dell’arte etrusca e greca insieme, testimonia per Prato, attraverso il sito archeologico di Gonfienti e alla grande dimora scoperta nel 2003, un’ascendenza sicuramente regale ed una memoria tangibile di grandissima valenza storico culturale per tutto il territorio della piana che si pone, insieme ai siti d’altura della Calvana, del Monteferrato e del Morello[10], alle origini stesse della civiltà occidentale.






note
[1] Cfr. G. Poggesi, L. Donati, E. Bocci, G. Millemaci, L. Pagnini, P. Pallecchi, Prato-Gonfienti: un nuovo centro etrusco sulla via per Marzabotto, in a cura di G. Sassatelli e E. Govi, “Atti del Convegno di Studi”( Bologna, S. Giovanni in Monte, 3-4 giugno 2003), Studi e Scavi n.s. 11, Ante Quem, Bologna 2005, pp. 267 -300.
[2] La numerazione dei lotti in scavo conserva quella originaria dei soppressi capannoni industriali.
[3] C. Pofferi, “Dai Principi alla città etrusca sul Bisenzio. L’Orientalizzante e l’Arcaico etrusco nella Piana Fiorentina –Pratese- Pistoiese”, in “Quaderni di Microstoria”, n. XVI, NTE, Firenze 2007. Ivi, a p. 69: “Siamo in realtà di fronte allo scavo di una parte minima dell’area ufficialmente riconosciuta e posta a vincolo (ndr: dal 2006); ricordo infatti che 12 ettari corrispondono a 120.000 mq., con un rapporto di oltre 80 a 1 tra l’area che sicuramente presenta testimonianze attestate della città e l’area della Domus che tra l’altro non è stata ancora del tutto esplorata”.
[4] Ibidem, p. 70. L’Autore porta un confronto con la Domus Regia dei Tarquini presso la via Sacra, sotto il Palatino, a Roma che si attesta su di una superficie di 690 mq.
[5] Cfr. G. Poggesi, “Prato- Gonfienti. Lo scavo dell’edificio del Lotto 14 e la prosecuzione delle indagine geofisiche fra Prato e Campi Bisenzio”, in “Notiziario della Soprintendenza …” cit, pp. 80-83.
[6] Ho ragione di ritenere, infatti, dai molti indizi a nostra disposizione e dai soggetti stessi raffigurati pittoricamente che la coppa figurata sia stata appositamente commissionata per essere posta al centro della casa forse su una mensa o ara votiva onde poter celebrare attraverso questa la nobile ascendenza del padrone di casa.
[7] Interessante notare la quasi contemporaneità di esecuzione con l’altro capolavoro artistico rinvenuto nel passato nella zona, con particolare riferimento al kouros bronzeo, detto “L’Offerente di Pizzidimonte” (British Museum, Londra), datato concordemente al 480 a.C. ca., a testimonianza della ricchezza degli insediamenti bisentini tra la fine del VI e i primi decenni del V sec. a.C.
[8] Cfr. G. Millemaci, I materiali. Ceramica Attica, in “Prato- Gonfienti, un nuovo centro etrusco … cit., pp. 290- 294.
[9] Cfr. G.A. Centauro, Ipotesi su Camars in Val di Marina. Dalla città etrusca sul Bisenzio all’identificazione di Clusio, NTE Firenze 2204.
[10] Si veda: Associazione Camars, Presenze Etrusche in Calvana: Siti e necropoli, a cura di Giuseppe A. Centauro, NTE Firenze 2008.

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