Economia ecologica: la situazione non è buona
di Alessandro Farulli
LIVORNO. La situazione non è buona. La crisi economico-finanziaria non conosce soluzione di continuità. Quella ecologica non è più ignorata, ma solo gli Usa di Obama la pongono al livello delle altre e come punto di partenza per risollevare la testa; mentre in Europa e in Italia si va avanti a tentoni o quasi. Molta confusione (cose buone insieme a cose meno buone) e proposte che ben poco hanno a che fare con un’economia ecologica politicamente impostata e molto invece con l’improvvisazione e una certa volontà di utilizzare tutto (cose buone insieme a cose cattive) quello che potenzialmente potrebbe contribuire alla ripresa. Che per l’Ue e il nostro governo significa tornare a crescere senza se e senza ma e se per farlo servono le energie rinnovabili, o il carbone, o il nucleare, o gli Ogm e prodotti che vanno dall’usa e getta a quelli ecosostenibili come se tutto fosse uguale, il problema è di chi se lo pone. La logica è quella del tutto dentro lo stesso calderone, purché alla fine si abbiamo dei più nei consumi. Che significa ripresa dell’industria e prima ancora dell’economia finanziaria. L’ambiente? Companatico di cui occuparsi quando si può. La dimostrazione si è avuto già nella battaglia tutta italiana o quasi contro il programma energetico 20-20-20 dell’Ue. A cui hanno fatto seguito, e qui si torna alla confusione politica di cui sopra, le parole di ieri di Berlusconi che ha affermato assieme a Brawn che bisogna «riportare l’economia globale sul binario di una crescita sostenibile low-carbon, a basse emissioni di gas serra». In questo ping pong insostenibile, oggi assistiamo con la stessa dinamica che sta sotto l’etichetta “dell’ambiente ce ne occupiamo quando potremo” all’allarme del settore chimico raccolto dal Sole24Ore. C’è la Solvay che ha annunciato il crollo del 48% dell’utile netto del 2008, dell’83% nell’utile trimestrale, notizie ferali per la società e per il settore che arrivano dopo quelle più o meno analoghe della Dow Chimical. Che fare dunque? L’Ue ne starebbe pensando una che dimostra proprio la distanza tra economia ecologica e vecchi blocchi industria versus ambiente: una moratoria sulla regolamentazione europea. L’idea è del commissario Guentether Verheugen ed ha suscitato già reazioni negative da parti dei verdi europei che,invece, inseguono norme a tutela dell’ambiente sempre più stringenti (ricorda sempre il Sole). E l’Italia che fa? Stando sempre al quotidiano di Confindustria pare non veda l’ora o quasi di avere meno lacci e laccioli, visto quanto dice in un’intervista Giorgio Squinzi, presidente di Federchimica: «Il regolamento Reach, sul quale pende la revisione del 2012, rischia da solo di far sparire il 20% delle Pmi, che non sono in grado di stargli dietro». Sarà pur vero, il dato non possiamo contestarlo, ma è chiaro che sta riesplodendo un contrasto forte tra industria e ambiente di cui non si sentiva la mancanza e chiaramente figlio della crisi. Che se guardata solo dal punto di vista economico-finanziario a breve periodo, probabilmente vedrebbe nei vantaggi di regole più morbide per l’industria la via più facile per rimettere il binario sul treno. Che è un punto di vista, purtroppo, condiviso. E’ uno dei ‘partiti’ in campo al quale sono iscritti senz’altro Alberto Alesina e Luigi Zingalis che oggi sul Sole criticano il piano di Obama «soprattutto perché alcuni programmi di spesa non avranno effetto immediato e quelli legati alla tutela ambientale mescolano il breve periodo (la crisi) con il lungo periodo (la politica ambientale) in un modo che ne complicherà l’attuazione riducendone la rapidità d’effetto».
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