TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

sabato 6 settembre 2008

L'economista Giovagnoli


Non poteva sfuggirci l'intervista all'assessore Giovagnoli.
Notevole, perché in fondo non dice praticamente niente... Ormai la tiritera degli ammortizzatori sociali, del sistema bancario, dei patti da fare e disfare è roba sentita e risentita.
Salvo, con uno "scatto di orgoglio", ricordare che se a Prato c'è il problema della rendita immobiliare, che sembra scoraggiare gli investitori "esterni", questo è per buona parte ascrivibile "all'economia dei cinesi"! Che fine analisi! Da vero economista di razza...
Ormai, lo scaricabarile sui cinesi - si sa - è diventato lo sport preferito dei pratesi... Oggettivamente, è anche molto facile da fare, visto che (per il momento) incassano e zitti!
Certo, anche solo avanzare l'ipotesi che alla domanda di fabbricati industriali da parte delle manifatture cinesi abbia risposto una offerta di alcuni industrialotti pratesi già colpiti dalla crisi del tessile ed ansiosi di far cassa velocemente è praticamente un'eresia... Così come rischia di esserlo l'idea che, probabilmente, qualcuno ha ritenuto decisamente più conveniente - in particolare dal 2001 in poi - buttarsi nell'industria del mattone, anche per far fronte alla domanda abitativa dei fiorentini in fuga da un caro-casa agghiacciante. E potremmo continuare ancora con ipotesi alternative altrettanto - e forse più - fondate della "ipotesi cinese".
A noi, onestamente, sembra che a Prato sia mancata, in questi anni, una vera visione alternativa, un vero progetto, che potesse attirare le energie migliori presenti sul territorio (perché, nonostante tutto, ci sono...), e tenendo conto che Fabio Giovagnoli ha ricoperto la carica di assessore allo "Sviluppo economico" anche in Provincia, ci chiediamo se non potesse fare qualcosa in più. Certo, se la colpa è dei cinesi...

Kritias
per Municipio Verde

da Il Tirreno del 06/09/08
«Non lasciamo le aziende da sole»

L’assessore Giovagnoli: «Un accordo con le banche per il distretto»
L’economia dei cinesi di Prato com’è arrivata andrà via e lascerà morti e feriti. Abbattere i costi di produzione non dura all’infinito
PRATO. E’ l’economia il problema principale di Prato. Ed è sulla ripartenza economica e produttiva della città che si devono concentrare le forze, e gli sforzi, di tutti. Degli imprenditori che devono dimostrare di crederci ancora, degli istituti di credito che non possono prescindere dalla situazione generale nelle loro valutazioni prendendo in considerazione un patto per salvare le aziende, con potenzialità, anche se in crisi. Delle istituzioni regionali e nazionali che devono cominciare a trattare Prato e la perdita dei posti di lavoro come una priorità lavorando per ammortizzatori sociali robusti e certi. E con impegno c’è da concentrarsi anche sul valore delle rendite immobiliari che devono creare sviluppo e non contribuire al declino. L’assessore comunale alle attività produttive ed ex dirigente regionale della Cgil Fabio Giovagnoli chiama tutti a raccolta. Per l’economia della città, per il futuro della città.
Prato riparte a settembre con lo spettro di una crisi ancora grave. Un grosso gruppo industriale rischia la chiusura, altre - tante - aziende vivono nell’incertezza.
«La situazione economica è la priorità della città ed è su questo che si devono concentrare gli sforzi. E’ da questo stato di difficoltà che nascono gli altri disagi, compreso il problema della sicurezza. La gente si sente insicura perché ha meno soldi, prima si lavorava in fabbrica e l’industria creava una situazione più serena. Oggi il lavoro è meno retribuito, meno sicuro. E questo ritengo faccia vivere con più apprensione tutto ciò che ci circonda».
Il timore vero è che sempre più persone arrivino a vivere in condizioni di povertà.
«In termine di aggregati statistici Prato rimane una città industrializzata, ancora forte e con le spalle larghe. Non c’è disoccupazione di tipo strutturale come quella del meridione. La gente però ha paura di perdere il posto di lavoro o se è in cassa integrazione di perdere il salario. Non sa se sarà ricollocata e se sì se avrà un trattamento diverso. I figli che avevano delle sicurezze oggi si trovano in difficoltà perché le prospettive sono quelle di un precariato sempre più forte, sempre più marcato. A questo si aggiunge la difficoltà a pagare il mutuo: tutte le banche che ho sentito mi rappresentano una situazione grave. Penso che nei prossimi mesi la sfida della città sia quella di superare questi stati d’animo e di crisi. Le istituzioni devono coinvolgere la Regione e il governo nazionale: non possiamo passare come quelli che possono gestire in silenzio la situazione con la razionalità della concertazione. Alitalia ci deve spingere a farci sentire. I lavoratori della compagnia sono coperti da ammortizzatori sociali molto forti e anche Prato, a questo punto, deve chiedere. La cassa integrazione deve essere rifinanziata, ci devono essere ammortizzatori in grado di poter sostenere il reddito».
Gli ammortizzatori sociali per il momento non sono mai mancati neppure qui.
«Si ma sono incerti e legati a situazioni particolari. Serve maggiore impegno e investimenti. Si deve sapere che ci sono strumenti certi che garantiscano il mantenimento del salario per tutti quei lavoratori che perdono il posto».
Servono, secondo lei, anche strumenti per il salvataggio delle aziende medio-piccole?
«Ritengo che debba essere il mercato a dare risposte e non possiamo pensare di utilizzare risorse che possono essere utili per lo sviluppo per salvare situazioni non adeguate alle leggi del mercato. Sarebbe come mangiarsi il patrimonio di casa per andare a dormire sotto un ponte. Si deve intervenire quando ci sono margini economici per recuperare».
Che ruolo hanno e dovrebbero avere gli istituti di credito a Prato.
«Il sistema delle aziende di Prato deve negoziare un piano di intervento. E’ un obiettivo su cui già l’Unione industriale aveva pensato di poter intervenire. Noi non possiamo lasciare le aziende scoperte singolarmente difronte al credito. Così come non possiamo pensare che istituti di credito svolgano la loro funzione soltanto in direzione di pochi interessi immediati. Dobbiamo stabilire con loro un piano di iniziative finalizzato allo sviluppo della città con investimenti di lungo periodo che vadano nella direzione del rilancio, che servano per contenere le situazioni critiche ed evitare che queste compromettano la stabilità del sistema però con un quadro di prospettive di sviluppo».
Intanto però il tessile sta perdendo continuamente posti di lavoro.
«E’ chiaramente in atto una fase piuttosto dura di dimagrimento delle aziende. La preoccupazione che un ente pubblico deve avere è che una ristrutturazione come questa porti anche a soluzioni di nuovo sviluppo. Su questo chiamiamo gli industriali a misurarsi. In particolare l’appello che vogliamo fare è per una ricomposizione del fronte dei produttori perché su questo si misura la capacità di Prato. L’Unione industriale e la parte produttiva devono confrontarsi fra loro e con le istituzioni per dare ai produttori un ruolo adeguato. Penso a un patto di produttori dove ci sono dentro gli industriali, le aziende artigiane, i lavoratori. L’ottica è il rilancio del manifatturiero locale».
Non tutto può arrivare da Prato. La città stenta ad attirare aziende che arrivano da fuori.
«Dal mio osservatorio vedo grande attenzione al nostro territorio dall’esterno. Ci sono investitori che si presentano, che vogliono investire su Prato. Uno dei problemi fondamentali però è la rendita. Abbiamo un livello di rendita che scoraggia gli investitori esterni. In parte gli alti costi sono un fenomeno oggettivo (le disponibilità di territorio sono limitate) ma in parte il sistema è drogato dall’economia dei cinesi che snaturano, gonfiandola, la rendita. Sostengono una domanda di terreni e immobili per un’economia che in nessuna altra parte Europa avrebbe senso. Si gonfia l’economia ma non si dà una prospettiva. Ci saranno ripercussioni anche per coloro che fanno parte di questo meccanismo».
In che senso?
«Questa economia dei cinesi com’ è arrivata andrà via e lascerà morti e feriti. Il settore dell’abbigliamento è scomparso in Europa quasi dappertutto. Da noi ha trovato le condizioni per abbattere i costi di produzione ma questo non può reggere a lungo. Può reggere per alcuni anni e non all’infinito».
Gli interventi che lei prospetta non arriveranno, se arriveranno, in ritardo?
«Devono arrivare prima che i buoi siano scappati. E comunque per lavorare in questo modo serve un terreno fertile: il sistema delle imprese deve riorganizzarsi perché una ricomposizione sull’esistenze non basta».
Sta dicendo quindi che sono stati fatti degli errori fino ad oggi.
«Parlare di errori è sbagliato. Per ciò che riguarda l’industria è arrivato il momento di tracciare una linea per lanciarsi verso prospettive nuove. Le potenzialità ci sono. Gli industriali chiedano alle istituzioni cose fattibili e insieme potremo portare avanti istanze a livello regionale e nazionale. Si deve far capire che non c’è solo Alitalia in questo paese ma anche altri pezzi di economia, altrettanto degni di attenzioni e politiche ad hoc».
Ilenia Reali

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