Qualche cenno storico di Violante dal Corriere, commentato da Robecchi sul Manifesto. Si narra della lungimiranza di alcuni importanti uomini politici dell'attuale PD.
MV
Alessandro Robecchi
Quando Berlusconi faceva ridere
da il Manifesto 28.03.09
Che il pensiero unico del leader unico si trasformi in partito unico non può stupire. Che la cerimonia diventi una cosuccia imperiale sospesa tra Bokassa e «Ok il prezzo è giusto» nemmeno, perché la sostanza culturale è quella, e lo sappiamo. E dunque nel giorno dell'incoronazione del monarca della libertà (la sua), ciò che fa veramente stupore e ci annichilisce è il candore disarmante di chi poteva impedire tutto questo, e non lo fece. Di chi ricorda oggi senza rabbia e senza vergogna, con immutato candore, errori di dimensione storica, però raccontati e stigmatizzati con la leggerezza dell'aneddoto curioso.E si parla dunque qui, come avrete capito, di George W. Violante, il prestigioso dirigente democratico (Pci, Pds, Pd, e succ. mod.) che si comporta esattamente come l'originale, quel poveretto di George W. Bush.Bush, l'uomo che dopo aver devastato il devastabile e fallito tutto il fallibile disse... ops, mi sono sbagliato. Ecco, in una gustosa intervista pubblicata ieri dal Corriere della Sera, George W. Violante dice proprio questo: perdindirindina! Non capimmo, non vedemmo! La prendemmo a ridere! Quando il cumenda della tivù scese in campo noi pensammo: «Come si permette di irrompere nella nostra politica in modo così sgrammaticato?». Mette oggi una discreta rabbia questo insulso fatalismo di George W. Violante, rivela dosi di imperizia, incapacità di lettura della realtà, ignoranza dei fenomeni sociali, e in sostanza di incapacità politica che potrebbero ammazzare un cavallo. E pure un paese. Nessuno capì. Nessuno vide. Ci racconta Violante che «Pecchioli qualcosa intuì», che forse D'Alema vagamente annusò. Tutto qui: nessuna delle grandi menti luminose e progressive del grande Pci seppe prevedere quel che sarebbe seguito: 15 anni di rovinose sconfitte, il cambiare degli equilibri in senso storico, un'egemonia culturale fatta di Grandi Fratelli e Marie De Filippi. Ed è solo l'inizio. Ops!... mi sono sbagliato, dice George W. Violante. E insieme a lui tutti gli altri. Si sbagliarono quelli dei patti scellerati che promettevano l'intangibilità della fabbrica del consenso berlusconiano (le tivù non saranno toccate, sempre Violante). Si sbagliarono i George W. D'Alema che andarono a Canossa, provincia di Cologno Monzese, a tranquillizzare i boss del Biscione che la loro azienda era comunque una «risorsa per il paese» (e quelli, geniali, li ricevettero negli studi di Stranamore!). Si sbagliò, più volte e più di tutti, George W. Veltroni, la cui sconfitta ha dimensioni che solo gli storici - forse - avranno il coraggio di affrontare. E insieme si sbagliarono tutti gli altri, uniti (salvo i defunti) da un unico, indissolubile e innegabile filo resistentissimo che ne lega i destini: stanno ancora tutti lì. Cioè, per capirci: quelli che, come racconta George W. Violante, «pensammo a una cosa poco seria», quelli che «noi ironizzavamo», quelli che «ci credevamo poco», dopo un errore così spaventoso che costa al paese una ventina d'anni di peronismo per gli acquisti, stanno ancora tutti lì.
Al loro posto, in Parlamento, in ruoli di altissima responsabilità, dirigenti, padri nobili, osannati, citati e letti (e pubblicati quasi sempre dalle case editrici di proprietà di Berlusconi, peraltro). Dopo un errore così monumentale, che ci è costato tanto, che ci perseguiterà ancora per anni, e dopo la sua così candida ammissione, che fare di tutti questi George W.? Non siamo in Giappone, il suicidio rituale non ci piace. Ma almeno andarsene in silenzio, tacere, vergognarsi un po' della propria incapacità - anziché trasformare in aneddoto la propria dabbenaggine - sarebbe consigliabile. Ops, ci siamo sbagliati! Pure noi, tutti, a non farli sloggiare quindici anni fa. Una prece. 27 marzo 2009 da il Corriere della Sera
«Berlusconi? Non avevamo capito nulla»
ROMA - «L’inizio di tutto? Ho un ricordo netto, visivo, e quasi fisico: ero nel mio ufficio di presidente della commissione Antimafia, a Palazzo San Macuto, e stavo guardando i tigì di mezza sera. All’improvviso sentii dare questa notizia: "L’imprenditore Silvio Berlusconi ha deciso di appoggiare il leader dell’Msi Gianfranco Fini che, nella corsa a sindaco di Roma, è impegnato contro Francesco Rutelli, candidato del centrosinistra"... Beh: mai, prima di quel momento, c’era stato qualcuno così sfrontato nell’appoggiare un esponente di destra, e di una destra vera, autentica... che anno era?».
Era il 23 novembre 1993.
(Luciano Violante ha 68 anni ed è nato a Dire Daua: il padre, giornalista comunista, fu costretto dal regime fascista ad emigrare in Etiopia. Ma su questo non indugiamo: è pomeriggio tardi, dalle finestre del suo ufficio al terzo piano di via Uffici del Vicario si vede il sole venire giù su Roma. È un ufficio bello ed elegante come il rango di ex presidente della Camera impone. Naturalmente di Violante, ora nel Pd, occorre ricordare che fu anche magistrato di spicco e alto dirigente del Pci, e poi, ma questo è in molti libri di storia, uno dei pochi e sinceri amici di Giovanni Falcone). Berlusconi—all’epoca padrone di tv e strepitoso presidente del Milan — decide di mettersi a fare politica: voi del Pds cosa pensaste?
«Pensammo ciò che pensò buona parte della classe politica italiana sopravvissuta a Tangentopoli: ma chi è questo? Cosa vuole? Come si permette di irrompere nella nostra politica in modo così sgrammaticato?».
Tutti sorpresi.
«No... forse non tutti. Ugo Pecchioli, che era presidente della commissione per i Servizi, qualcosa intuì».
Tipo?
«Lui era un politico assai rigido, rigoroso. Di pura cultura comunista. Ma ricordo che un giorno mi disse: "Attenti, le cose nuove, in politica, nascono così"...».
E i diccì? E i socialisti?
«Erano provati dalle vicende di Tangentopoli... Ma tipi come Martinazzoli e Cabras... e anche come Gargani...».
Cosa dicevano?
«Mah, è probabile che loro qualcosa, delle potenzialità di Berlusconi, intuissero. In fondo loro avevano frequentato Bettino Craxi, erano stati suoi alleati e perciò lo avevano incontrato in privato, con lui avevano trattato...».
E quindi?
«Beh, credo che una certa sua capacità di rompere gli schemi, in fondo, la ritrovassero anche in Berlusconi».
Voi, invece, rigidi.
«Non capimmo che cominciava una nuova era».
Perché?
«Aneddoto. Pranzo di Pasqua, a casa mia, in montagna, a Cogne: tra gli ospiti una signora che era funzionaria di Publitalia. La quale, ad un certo punto, fa: "Io ve lo dico... guardate che quello sta fondando un partito"...».
E voi?
«Scettici. Pensando: e che un partito si fonda così?». Ingenui. «Ci credevamo poco. Mentre lui tesseva alleanze, stringeva patti con la Lega, con la destra... noi ironizzavamo».
Per esempio, quando?
«Quando si seppe che ai suoi adepti forniva un kit di ordini: lasciare i bagni puliti, essere sempre sbarbati...».
E quando, il 26 gennaio del 1994, Berlusconi registrò il suo primo messaggio televisivo, mettendo una calza da donna davanti all’obiettivo della telecamera per garantirsi così un effetto visivo più fascinoso?
«Pensammo fosse una roba poco seria. E sbagliammo. Perché lui, invece, aveva già intuito come la nuova società italiana stesse cambiando e, alla verità del merito, tipica della nostra storia comunista, si stesse sovrapponendo la verità della forma».
Achille Occhetto, avversario designato.
«All’ultimo match televisivo si presentò con un abito marrone in stoffa "occhio di pernice" piuttosto triste... Berlusconi, di fronte, come un manichino lucente...».
Ma lo sottovalutaste davvero a lungo. Veltroni, all’epoca direttore dell’«Unità », gli consentì addirittura di scrivere un editoriale in prima pagina per spiegare l’uso delle sue tivù. Vittorio Foa lo definì una «bolla di sapone»...
«Davvero Foa disse questo?... Se posso aggiungere, però, ricordo che D’Alema, almeno lui, non fu tenero. La verità è che Berlusconi, dopo che i suoi tigì avevano cavalcato Tangentopoli, si presentò dicendo "io sono il nuovo". Noi, automaticamente, diventammo il vecchio».
Eppure voi, fino all’ultimo, pensaste di vincere. Occhetto definì la vostra armata elettorale una «gioiosa macchina da guerra».
«Propaganda. Io dico che se ci fossimo alleati con i popolari di Martinazzoli avremmo vinto. Comunque, negli ultimi due giorni di comizi, capii che avremmo perso.
A Palermo, a Caltanissetta.... Ci fu un suo incidente con Marcello Dell’Utri.
«Il quotidiano La Stampa mi attribuì frasi che io non avevo mai pronunciato. Occhetto mi costrinse alle dimissioni da presidente dell’Antimafia, seguì una querela... acqua passata, direi». Oggi comincia il congresso di fondazione del Pdl.
«Il segreto di Berlusconi è che è sempre rinato. Ha vinto, perso, rivinto, riperso, e ancora rivinto. Ogni volta cambiando gioco e regole».
E stavolta?
«Stavolta, con il Pdl, l’obiettivo è quello di dare un nuovo ordine alla società italiana...».
Fabrizio Roncone
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