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La mer, la fin...

martedì 31 marzo 2009

Università. Nel Paese dei Baroni.

Dal Tirreno di oggi (31.03.'09) riportiamo tre articoli. Il Primo tratta delle disgrazie del cosiddetto riordino (!) che è poi solo un grande casino del quale fanno le spese gli studenti. Tagli è la parola giusta. Meno cultura e... se è possibile, ancora più baroni. A seguire due pezzi sul libro denuncia: "Un paese di Baroni", scritto da Davide Carlucci, per le edizioni Chiarelettere.
MV


Scienze politiche e beni culturali saranno i più colpiti dal riordino

In bilico anche lauree giuridiche e di economia
Il calcolo lo ha fatto il Sole 24 Ore. Le università si apprestano a sfoltire i corsi di laurea e a rischio cancellazione, tra le classi con il maggior numero di corsi da tagliare, c’è davvero un po’ di tutto, dai beni culturali alla comunicazione, dalle tecnologie farmaceutiche alla formazione. Ecco comunque la classifica nazionale stilata dal quotidiano della Confindustria con, appunto, la quantità dei corsi che finiranno sotto la mannaia: Scienze dei servizi giuridici 25; Scienze dei beni culturali 15; Scienze dell’economia e della gestione aziendale 12; Scienze della comunicazione 10; Scienze politiche e delle relazioni internazionali 10; Scienze e tecnologie delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda 10; Scienze dell’educazione e della formazione 9; Scienze e tecnologie farmaceutiche 9; Scienze economiche 9; Tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali 9.


Atenei specchio del paese dove il merito non conta
DAVIDE GUADAGNI
Il libro denuncia di Davide Carlucci e Antonio Castaldo - “Un paese di Baroni” - pubblicato da Chiarelettere, la casa editrice che pare essere diventata l’ecoscandaglio del nostro disastrato paese, viaggia nelle aule dove si dovrebbe formare la nuova classe dirigente italiana. Più di trecento pagine dove aleggiano le ombre del potere dinastico, della massoneria diffusa, della prepotenza, del ricatto. Dove si racconta che gli intoccabili baroni italiani non si fermano davanti a nulla, feudatari assoluti nelle loro torri d’avorio, se ne fregano delle denunce, delle sentenze, delle proteste, ma soprattutto del futuro dei loro allievi e del loro paese. Ma procediamo con ordine.
Metà laureati. Le università italiane tronfie di una gloria antica, oggi parcheggiano una quantità enorme di studenti, dei quali, meno della metà arriverà alla laurea. Gli studenti che si laureano sono il 45 per cento degli iscritti contro una media Ocse del 69. In rapporto alla popolazione i laureati italiani sono circa la metà degli altri paesi, il 17 per cento contro il 33.
Buste paga. I professori ordinari, circondati da stuoli di precari sottopagati e sfruttati, tutelano i loro compensi che variano dai 5mila agli 8mila 500 euro. Sopra la media europea che passa dai 4mila 500 euro dei tedeschi fino ai 6mila5 00 degli inglesi. Carriera costruita sul merito? Macché, qui si procede per anzianità, più sei vecchio e più ti pago, tanto per non sbagliare.
Orario di lavoro. Ma quant’è l’impegno medio di un ordinario? Tre ore e mezza al giorno per cinque giorni alla settimana. In pratica, per lavorare quanto lavora un operaio in un anno, sono necessari a un professore due anni e quattro mesi. Il dato, pubblicato nel maggio scorso dal Sole 24 ore, ha prodotto una sollevazione dei docenti che, in un documento indignato che ha raccolto 240 firme (gli ordinari italiani sono circa 20 mila), scrivevano che quel dato nulla ha a che fare con il reale stato delle cose. Già, ma qual è il “reale stato delle cose”.
Malcostume. Capitolo cospicuo. Uno dei casi più clamorosi riguarda colui che per lungo tempo è stato ritenuto il numero uno dell’università, Piero Tosi, magnifico rettore a Siena per sei mandati consecutivi e presidente della conferenza dei rettori (Crui). Dopo quattro anni di indagini, nel 2006, viene sospeso dall’incarico con un’ordinanza del gip di Siena.
La denuncia era partita da un precario che ambìva (e ne aveva merito) a un posto di ricercatore nella facoltà di medicina.
Sul filo di lana, era prevalso l’amor paterno e quel posto se l’era aggiudicato un giovane con meno esperienza, meno titoli, ma con un nome composto e un cognome noto: Gianmarco Tosi.
Che fa, non si ritira? Ma quando i concorsi sono a titoli e le commissioni non sono plasmabili, come si rimedia? Semplice, basta eliminare i concorrenti.
Scoraggiandoli, diciamo. Di questi e di altri spericolati artifici sono stati accusati nel 2004 un gruppo di cardiologi: Rizzon, Guazzi, Padelletti, Dei Cas, con il presidente del loro collegio, il pisano Mario Mariani.
Secondo l’accusa avrebbero truccato almeno 12 concorsi. Oggi, a sette anni dall’inizio delle indagini e cinque dagli arresti e dal rinvio a giudizio, nessun giudice si è pronunciato in merito. Insomma, fino a prova contraria, sono da ritenersi innocenti. Nelle intercettazioni dell’indagine, tra le mille smancerie, si può leggere una frase emblematica, rivolta da Mariani a un collega che lo informa che un suo allievo, già costretto a rinunciare a un concorso precedente, non è più disponibile a farsi da parte: «E vabbé, non si ritira più? Allora ti dirò che detto per detto, a me non piacciono questi atteggiamenti». E che diamine!
Nepotismi toscani. Il malcostume, dunque, ha spesso a che fare con gli affetti familiari. Si scopre ad esempio che due chirurghi del Policlinico Le Scotte di Siena, indagati per due successive operazioni sullo stesso paziente che non è sopravvissuto, hanno curiosamente lo stesso cognome: Setacci. Di nome fanno Carlo e Francesco. Sono padre e figlio.
Il figlio era diventato ricercatore prevalendo sul figlio di Gaetano Di Donato, primario napoletano, che però appena tre settimane dopo supererà il concorso con una commissione, presieduta da Setacci padre, che promuoverà ricercatore, in quello stesso concorso, anche Stefano Mancini figlio del chirurgo Sergio Mancini. E, di padre in figlio, analogo destino seguiranno, in Toscana, i Pessina, i Botta, i Brizzi, i Bertelli.
Che carriera. Fulgida carriera è anche quella di Luigi Berlinguer, già professore e preside a Sassari.
Diviene prima rettore a Siena e quindi presidente della Crui, poi deputato, poi senatore, poi ministro, poi ancora senatore poi membro del Consiglio superiore della magistratura. Un quotidiano senese attribuiva questa sua propensione all’ascesa e agli incarichi all’affiliazione massonica.
Chi se la suda. Il libro svela anche l’altra università, quella di chi lavora seriamente e per pochi soldi. Riporta le storie di chi si è ribellato ai concorsi truccati. Racconta di studenti, dottorandi e ricercatori che, dopo una vita di studio, esperienze all’estero e pubblicazioni, aspettano il loro turno con sempre minori speranze. Mostrando questo ennesimo aspetto della bancarotta della classe dirigente.
Non è tutto così. Il rischio di quest’inchiesta è il medesimo di altre meticolose opere di denuncia: fare d’un erba un fascio, estendere l’atteggiamento di alcuni all’intera categoria, favorire la sfiducia e la demagogia. Evitiamolo. Sforziamoci di distinguere. Chiunque abbia a che fare con l’università, però, sa che cattive abitudini, carriere fulminanti, cognomi uguali, consuetudini incresciose, precariato infinito sono costume radicato. Porsi il problema sarebbe doveroso.
da Davide Carlucci, Antonio Castaldo “Un paese di Baroni” (Chiarelettere, pagine 309, euro 14,60)

Il binomio vincente? Massoneria e parenti eccellenti

Ecco alcune citazioni dal libro, da noi titolate.
Massoni e pietruzze. «I rettori italiani? La metà di loro è iscritta alla massoneria» (Stefano Podestà, ex ministro dell’Università, 1996).
Nessuno, ti giuro nessuno. «Non ho mai conosciuto nessuno che sia diventato professore solo in base ai propri meriti» (Paolo Berinetti, preside, Torino).
Le due torri. «A Bologna ci sono due lobby, massoneria e Cl. Controllano la Sanità e la facoltà di Medicina. È sempre stato così». (Libero Mancuso, assessore comunale, Bologna).
Paragnosta. «Il giorno stesso che presentai domanda per quel concorso, prima che fosse nominata la commissione e fossero noti i partecipanti, scrissi due lettere in cui prevedevo i membri, chi l’avrebbe presieduta e i nomi dei vincitori, le spedii a me stesso e a un avvocato. È andata esattamente così». (Tommaso Gastaldi, professore associato di Statistica a Roma).
Invisibili. «Non mi sento neppure precario, sono un invisibile e temo delle rappresaglie. Ho paura» (Anonimo, Università di Genova).
Criteri di scelta. «Tra i criteri, quello assolutamente privilegiato è il favoritismo di tipo parentale» (Giuseppe De Benedictis, giudice, ordinanza d’arresto di docenti).
Talis pater. «Sfogliando l’annuario accademico, sembra di leggere le tavole di Mendel, tale è la regolarità con cui si succedono i nomi dei padri e dei figli» (Lino Jannuzzi, giornalista, 1965).
Saluti da Barcellona. «Non torno in Italia perché non è un paese democratico. Non è riuscito a far piazza pulita della partitocrazia e dei baroni» (Paolo Macchiarini, direttore di chirurgia toracica a

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