Continuiamo la presentazione del pensiero e delle pratiche del filosofo-biologo Gilles Clement.
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da Marie Claire
«Amo gli spazi incolti, non vi si trova nulla che abbia a che vedere con la morte. Una passeggiata nell’incolto è aperta a tutti gli interrogativi, quello che vi succede supera le speculazioni più avventurose». Un consiglio: rileggetevi con attenzione queste parole, l’autore è Gilles Clément, idolo degli ecologisti progressisti che negli ultimi anni ha ribaltato i concetti di paesaggio e giardino con una sorta di rivoluzione copernicana. Il suo credo? Guardare tra le crepe dei muri per guardare al futuro. Imparare la vita osservando le zone marginali, abbandonate dall’uomo. Ora la sua visione dell’ambiente sta per essere divulgata in Italia. E poi è primavera. Oggi arriva in Italia con due (grandi) libri e tre (piccoli) progetti. Il primo, Nove giardini planetari (22 Publishing), è un’antologia illustrata del suo lavoro. Ma la novità, attesa per marzo, è l’autobiografia La saggezza del giardiniere, stesso editore: dove narra esperienze e incontri (non solo umani… ci sono anche talpe, insetti e committenti vari) che hanno determinato il suo pensiero. Benvenuti nel Terzo Paesaggio di Clément, dunque, che non è fantascienza ma un possibile nuovo modo per rapportarsi con il mondo.
Cos’è in concreto?
Se i politici acquisissero consapevolezza dell’importanza della biodiversità, sarebbe doveroso prevedere in ogni città zone verdi dove non si fa niente, aree di non gestione…
Ma come si fa a “non fare”?
Le faccio un esempio: vicino alla stazione di Lille ho realizzato il parco Henri Matisse, con al centro un’isola di 3500 metri quadrati, sopraelevata di sette metri e mezzo rispetto al resto. Questo altopiano, costruito su un cumulo di detriti del cantiere Euralille, è un emblema del Terzo Paesaggio, perché lassù la natura fa quello che vuole. Ci si va infatti solo due volte l’anno, per registrare le osservazioni scientifiche.
Vietato agli umani, dunque?
In realtà no, era previsto un tunnel per salire sull’isola, ma sono mancati i fondi per farlo. Nella mia idea, il Terzo Paesaggio è uno spazio di cui l’uomo può usufruire, ma in cui non interviene. È un giardino a costo zero.
Non urta i comuni canoni estetici?
Di solito non accettiamo un luogo di abbandono, perché lo troviamo disordinato. Ma, una volta compresa la sua importanza, lo troveremo anche bello. Capire l’interazione tra diverse specie ci fa accettare un’altra estetica.
Difficile da tradurre in realtà…
Ho seguito l’esperimento fatto da una maestra che ha chiesto a ogni alunno di portare la terra del proprio giardino a scuola, metterla nei vasi e aspettare. I terreni erano lontani l’uno dall’altro, e così sono spuntate piante molto diverse. Intelligente. È bastato stare a osservare.
IL RAZZISMO VEGETALE.
Nei suoi libri parla di terreni senza frontiere. Dove specie arrivate da ogni continente, con il vento o sotto le suole delle scarpe, convivono senza divieti…
È il giardino meticcio, dove prosperano piante pioniere, che arrivano da sole e sono in grado di adattarsi. Robinie, ailanti, buddleie… Se una pianta viene da lontano e si trova bene lì, quello è il suo ecosistema!
Per alcuni ecologisti, le piante esotiche sono una minaccia per la biodiversità nostrana.
Una specie nuova all’inizio cresce a dismisura, ma poi si blocca perché l’ambiente-sistema reagisce con una controffensiva. Gli integralisti che demonizzano le piante esotiche fanno un ragionamento perverso, razzismo puro applicato al mondo vegetale. La diminuzione di quelle autoctone è dovuta al fatto che, causa inquinamento e concimi, abbiamo creato terreni troppo ricchi di azoto, perfetti per far attecchire piante nomadi. La verità è che abbiamo squalificato l’ecosistema, e che bisognerebbe andare all’origine e risanare il suolo e gli ambienti acquatici.
Si potrebbe dire lo stesso della società umana?
Esatto.
Le banlieue parigine sembrano calzare a pennello.
Infatti. Abbiamo squalificato le periferie costruendo paesaggi orrendi, con modi di vita insopportabili. Inoltre si sono create autentiche frontiere urbane, dando un enorme valore al centro della città e deprezzando l’esterno. Così facendo, le persone stesse si sono sentite svalutate.
Cos’è il Giardino Planetario?
È un unico terreno vivo sul quale uomini, piante e animali sono portati a incontrarsi e che si “riaggiusta” a seconda della capacità degli esseri di vivere qua o là. Gli ecosistemi non sono immutabili, in Francia c’erano solo querce, l’evoluzione successiva ha portato alle pinete. Bisogna allargare il punto di vista, pensare a un unico grande giardino planetario i cui confini sono i limiti della vita, la biosfera intera.
E il giardiniere planetario, chi potrebbe essere?
Io, tu, un sindaco, un dirigente, tutti quanti abbiano in carico il futuro della terra. Il giardiniere non è per forza colui che mette le mani nella terra. Il sindaco di Curitiba, in Brasile, ha gestito una città di tre milioni di abitanti in modo ecologico, riducendo lo smog, puntando sui trasporti in comune, riciclando i rifiuti. A Parigi, dall’arrivo del sindaco Delanoë, vari parchi sono curati con meno prodotti chimici e nuovi metodi ecologici. Per esempio, non si spargono più i diserbanti sui marciapiedi.
IL GIARDINO POLITICO.
Dopo l’elezione di Sarkozy, lei ha dichiarato di non voler più prendere parte a progetti pubblici nel suo paese. I giornali hanno parlato di “giardino politico”.
Per ora mi limito a lavorare in quelli che chiamo luoghi di resistenza, dove trovo gente d’accordo con me. A Nantes, Rennes, Grenoble, per esempio. Ho in corso tre progetti anche in Italia.
Quali?
Il Museo Diocesano della basilica di Sant’Eustorgio, nel cuore di Milano, dove partecipo a ridisegnare uno dei chiostri. Il parco urbano del Nuovo Gleno, a Bergamo, dove tornerò presto per definire i dettagli del verde. La collina di Tuvixeddu a Cagliari, dove è in corso una battaglia burocratica per cercare di destinare a parco circa trenta ettari di terreno di proprietà privata. È una zona di grande interesse naturalistico e archeologico.
Ha un messaggio per chi governa?
Abbandonare la coltivazione di biocombustibili e smettere di voler aumentare il parco auto, esattamente il contrario di quanto sta facendo il governo francese. È una politica che favorisce solo alcune lobby. Piantando palme da olio e soia per chilometri e chilometri di monocolture, non si fa che impoverire il suolo e impedire ogni biodiversità. Il costo di produzione di un litro di biocarburante, tra l’altro, alla fine equivale al costo di un litro di petrolio.
Il suo modello di sviluppo futuro prevede un “uomo simbiotico”: di cosa si tratta?
Di un uomo che restituisce al pianeta l’energia che ha preso.
La tecnologia prende molto dalla biotica. Per Tripoli ho in mente tessuti speciali che permettono di condensare l’umidità notturna. Penso, per esempio, alla rete costruita per catturare l’acqua delle nuvole nel deserto di Atacama, in Cile. Ha la stessa texture dei rami di un albero che cresce nelle isole Canarie, l’albero “che piove”, su cui il vapore si condensa e forma delle gocce. Un sistema che costa poco, non distrugge niente, è efficace e intelligente.
Gli ogm sono esempi ridicoli in confronto a quello che la natura inventa già da sola, ma sono molto preoccupato per l’uso che se ne fa. Sono il mezzo con cui certe multinazionali vogliono obbligarci a consumare quello che hanno deciso loro.
IL GIARDINO IN MOVIMENTO. Torniamo ai giardini - quelli di erba e insetti - dov’è maturato il Clément-pensiero. Lei ha rivoluzionato il mondo del verde con la teoria del “giardino in movimento”. Cos’è?
Al contrario del Terzo Paesaggio, dove non c’è nessun tipo di intervento umano, nel Giardino in Movimento si agisce, ma poco e solo nel rispetto della dinamica delle varie specie e dei loro spostamenti. Ci sono delle erbe spontanee che muoiono dopo aver sparso i semi e riappaiono da altre parti a primavera, magari in una strada o in un prato dove di solito si cammina… Il Giardino in Movimento nasce dall’osservazione di queste specie vagabonde, che viaggiano di stagione in stagione, di generazione in generazione direi. Io di solito non le elimino, anche se crescono su un luogo di passaggio, preferisco rispettare il loro migrare e aspettare che completino il ciclo vitale. Si tratta di una scelta di gestione ecologica, dove il giardiniere lavora il più possibile “con” e non “contro” la vita.
E cioè?
Significa che il Giardino in Movimento segue le istruzioni della natura. In questo modo, ogni giorno può esserci qualcosa di nuovo, qualche stelo, delle fioriture. Non è un giardino che può essere disegnato su un foglio di carta, si fa sul campo.
Come si progetta?
Ci sono pochi elementi fissi, tipo sentieri e alberi che rimangono sempre allo stesso posto, e una maggioranza di spazi non organizzati, che cambiano nel tempo. E il giardiniere si interroga ogni volta su cosa lasciare e cosa togliere, perché il giardino è un essere vivente, non un decoro.
E le erbacce sono le benvenute…
Sì. Non c’è differenza tra piante ornamentali e spontanee, tra l’altro io le mescolo spesso. Nessuna pianta è inutile.
Mai strappate, davvero?
Le tolgo solo quando vedo che danno fastidio ad altre piante, ma non le elimino mai completamente. Se strappo un’erbaccia qua, sono sicuro di averla conservata da un’altra parte.
Il vero giardiniere, quindi, studia la biologia e non i concimi?
Certo. Servirebbe conoscere il comportamento delle specie piuttosto che i prodotti che arricchiscono l’industria chimica. Oggi i giardinieri raramente hanno una formazione completa. Ma, da almeno quattro anni, in una scuola agraria di Nantes si insegna come coltivare il Giardino in Movimento. E in alcuni licei francesi si inizia a parlare di gestione ecologica del verde.
Lezione di ecologia per chi legge Marie Claire?
Non intervenite in un posto che non conoscete. Prima di fare un giardino, state in osservazione per qualche mese, tra marzo e ottobre. Ammirate la vita, gli uccellini, le farfalle che si muovono in quell’ambiente... Agite solo dopo, a poco a poco, dolcemente, per preservare il massimo numero di specie.
Gaetano Zoccali
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