In campagna elettorale alcuni candidati fanno accenni schizzoidi sulla legalità, tendenti come al solito ad acquisire simpatia e consenso. Si guardano bene dal dire che la mafia cinese è un portato della mafia nostrana e che Prato è stata una bella e sicura terra di conquista, non solo per l'impreparazione delle forze dell'ordine rispetto al fenomeno, ma per una strutturale situazione di disordine economico della nostra città, funzionale all'evasione contributiva e ai traffici illeciti, e che oggi offre, come frutto esotico, la mafia cinese. Il repechage che proponiamo cerca di storicizzare, in sintesi, lo sviluppo della criminalità mafiosa a Prato e in Toscana.
mv
La mafia in Toscana
Casa della Legalita' e della Cultura - Onlus
martedì 08 novembre 2005
La mafia in Toscana
di Lorenzo Frigerio
Un tessuto economico e produttivo florido, in grado di offrire enormi possibilità per il riciclaggio di "denaro sporco", la posizione strategica, e lo scarso livello di attenzione da parte delle forze dell'ordine e dell'opinione pubblica: i tre fattori principali che, combinandosi tra loro a partire dagli anni Sessanta, fecero della Toscana una tra le regioni più soggette all'infiltrazione delle cosche.
Anni 60-70: il propagarsi delle cosche grazie al soggiorno obbligato
In questo decennio, lo scioglimento della Cupola mafiosa prima e l'attuazione dei provvedimenti di soggiorno obbligato poi, spinsero i mafiosi fuori delle loro terre d'origine, in una diaspora che finì per contagiare regioni fino allora immuni come Toscana, Lombardia e Veneto.
Nel giro di un decennio, la Toscana raggiunse il terzo posto nella graduatoria delle regioni con il maggior numero di esponenti mafiosi inviati al soggiorno obbligato. Le successive testimonianze di Gaspare Mutolo e Leonardo Messina confermarono le ipotesi investigative e storiche, secondo le quali fu proprio l'abile e strumentale sfruttamento dell'obbligo di soggiorno a permettere, prima a singoli mafiosi e poi ad intere cosche, la rapida e proficua espansione delle attività
illegali.
Nel giro di pochi anni la regione divenne così uno dei principali luoghi di transito delle rotte del contrabbando di tabacchi e stupefacenti.
Anni '70-80: l'Anonima sequestri dei sardi
Oltre al traffico di droga e al riciclaggio, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, le organizzazioni criminali presenti nell'Italia centrale si dedicarono alla redditizia pratica del sequestro di persona. Le forze dell'ordine si trovarono così a fronteggiare l'emergenza sequestri che collocò la Toscana in cima alla lista delle aree più colpite da questo crimine, finendo con il distogliere l'attenzione dai traffici criminali già avviati. Furono circa trenta i sequestri di persona portati a termine in Toscana, di cui quattro si conclusero nella regione dopo che la fase iniziale era stata consumata o in Emilia o nelle Marche. Il primo sequestro, in data 3 luglio 1975 in località Rignana di Greve in Chianti, fu ai danni di Alfonso De Sayons, il cui cadavere non fu mai ritrovato.
Successivamente, in sede processuale, la maggior parte di questi sequestri furono attribuiti a diverse bande composte da elementi sardi, per lo più latitanti, stabilitisi nelle regioni centrali del paese, al seguito del flusso migratorio proveniente dalla Sardegna fin dagli anni Cinquanta.
Anni 80: i traffici di droga e armi e i business dell'estorsione e del riciclaggio
La vera svolta criminale si ebbe però all'inizio degli anni Ottanta, quando la Toscana smise di essere semplicemente uno dei tanti crocevia delle attività illecite delle cosche, finendo per destare l'attenzione delle forze dell'ordine sul grado di pericolosità raggiunta in termini di ordine pubblico.
Infatti, in quegli anni, da un lato scoppiò in tutta la sua drammaticità l'emergenza droga e dall'altro si ebbero le prime conferme investigative e giudiziarie sulle manifestazioni di fenomeni inquietanti quali l'estorsione e il riciclaggio di denaro sporco. Anche il traffico di armi, da sempre tra le attività più praticate dal crimine organizzato nella regione, assunse proporzioni rilevanti.
Fu sempre in questo periodo che agli uomini d'onore si unirono diversi elementi locali che, attirati dalla facilità di guadagno loro prospettata dall'enorme giro di denaro controllato dalle cosche, assimilarono ben presto i codici di comportamento e le modalità operative delle mafie tradizionali.
Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, emersero i gruppi mafiosi e criminali facenti capo a Domenico Casale, Salvatore Privitera, Pietro Pace, Antonino Vaccaro e Giacomo Riina: questi ultimi due, tenuti sotto controllo dagli uomini del GICO di Firenze, diedero, del tutto involontariamente, il via ad una indagine che scatenò roventi polemiche tra i giudici di Firenze e quelli di Milano.
1992: le indagini sull'autoparco di Milano
Il 17 ottobre 1992 si aprì un caso destinato ad innescare un grave conflitto tra la procura della repubblica di Milano e quella di Firenze: in quella mattinata, infatti, gli uomini del GICO di Firenze irruppero all'interno dell'autoparco di via Salomone a Milano e arrestarono i componenti del clan mafioso che da tempo vi avevano insediato la loro base operativa.
La relativa inchiesta svelò le coperture di cui avevano goduto i mafiosi dell'autoparco che avevano potuto operare indisturbati sulla piazza milanese per molti anni. La segretezza dell'operazione, con il mancato coinvolgimento della procura milanese, fu motivata dall'eccezionalità delle rivelazioni di alcuni collaboratori che parlarono degli aiuti forniti agli uomini dell'autoparco da esponenti delle forze dell'ordine e forse anche della magistratura. Ne nacque una polemica che vide coinvolti in prima persona il procuratore capo di Milano Francesco Saverio Borrelli e il suo collega fiorentino Pierluigi Vigna. Successivamente le ombre gravanti sul caso furono spazzate via da una comune presa di posizione pubblica delle due procure interessate.
Casa della Legalita' e della Cultura - Onlus
http://www.casadellalegalita.org Realizzata con Joomla! Generata: 23 May, 2009, 18:38
Anni '90: cosche mafiose, bande locali e Triadi cinesi
L'elemento caratteristico della realtà mafiosa oggi in Toscana è universalmente individuato nella contemporanea presenza di cosche mafiose, per lo più sicule e campane e di bande formate da soggetti autoctoni che, in seguito ad un lungo e complesso processo di interazione, hanno finito con il riproporre modelli di comportamento e attività criminali proprie delle mafie tradizionali.
Se a quest'elemento si lega il dato del profondo intreccio con la massoneria, emerso fin dai tempi della vicenda Sindona e della Loggia P2 e ancora nel corso di alcune recenti indagini, il quadro che ne emerge è davvero preoccupante.
Un ulteriore elemento di allarme fu dato dalla scoperta, avvenuta all'inizio dell'attuale decennio, della presenza distanziamenti criminali delle Triadi cinesi che, dopo aver operato inizialmente all'interno delle comunità originarie,allargarono progressivamente la loro sfera di influenza.
Anni '90: le aree a rischio
Attualmente le aree più soggette a rischio di infiltrazione mafiosa sono la città di Firenze, il Valdarno fiorentino e la Val di Nievole, con la presenza di clan di diversa origine. A Campi Bisenzio (FI), secondo le dichiarazioni di alcuni collaboratori, sarebbe da tempo operativa una decina mafiosa; a conferma di ciò sta il fatto che lungo l'asse Firenze - Prato, negli ultimi anni, sono state scoperte attività illecite riconducibili a Giacomo Riina e Giuseppe Madonia.
A Prato, nel giugno 1991, le indagini delle Fiamme gialle portarono alla luce la cosiddetta "mafia del tessile", che, guidata da Antonino Vaccaro, della famiglia palermitana di Corso dei Mille, si era specializzata nello spingere progressivamente al fallimento una serie di aziende manifatturiere per poi rilevarne la proprietà.
Oggetto di attenzioni mafiose negli ultimi decenni anche la Versilia, la fascia tirrenica compresa tra Viareggio e Marina di Massa, dove si sono riscontrati diversi casi di estorsione ed usura, legate all'intensa e sempre più sofisticata attività di riciclaggio. All'inizio degli anni Novanta, la Versilia fu teatro del feroce scontro tra le bande rivali capeggiate una da Silvio e Carmelo Musumeci e l'altra da Lodovico Tancredi che si batterono per il controllo del traffico di droga e del gioco d'azzardo, del racket delle estorsioni e dei proventi del riciclaggio.
Ad Arezzo e provincia sono state invece scoperte rilevanti operazioni di riciclaggio, alcune delle quali per opera del "cassiere della mafia" Pippo Calò. Negli ultimi anni sono emerse le tracce della presenza di uomini della 'ndrangheta. Le attività oggi prevalenti sono ancora i traffici di droga e di armi: gli uomini delle cosche e le bande locali, che spesso concludono insieme le operazioni più complesse, oltre a sfruttare certamente la ricchezza di collegamenti via terra con il resto dell'Italia e l'Europa, possono contare anche sulla conformazione particolarmente favorevole delle coste toscane che offre molti porti naturali alle flottiglie delle cosche. I proventi di questi traffici sono ripartiti tra una pluralità di organizzazioni che, insieme alle bande criminali locali, gestiscono le spedizioni in uscita e le partite di droga in entrata.
Toscana a rischio mafia
07/11/2005 - La mafia non e' un problema esclusivo della Sicilia ma riguarda tutto il Paese, anche la Toscana che negli tempi ha registrato una crescita della malavita organizzata sia italiana che straniera, in particolare quella russa e cinese.
L'allarme e' stato lanciato oggi a Firenze da Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Antonino Caponnetto e da Renato Scalia, segretario regionale Silp, il sindacato delle forze di polizia aderente a CGIL. Nel mirino della mafia risultano la Versilia, buona parte della costa toscana, Montecatini e Firenze, in particolare nella zona di San Lorenzo, il quartiere dove si concentrano attivita' di vendita ambulante di fiori, di merce contraffatta, parcheggi abusivi, prostituzione, spaccio e investimenti immobiliari di larga portata. Si tratta di un fenomeno in espansione che non va sottovalutato, che richiede un attento monitoraggio per il quale e' necessario l'impiego di numerose persone. In Toscana si contano solo 800 poliziotti, un numero non sufficiente a controllare il sistema degli appalti pubblici, i piu' svariati sistemi di copertura, il riciclaggio di denaro sporco mentre la Finanziaria prevede tagli del 20% per le risorse destinate alle forze dell'ordine.
L'invito dunque e' a non abbassare la guardia, un invito che sara' ricordato anche domani in occasione del congresso regionale Silp Cgil a Firenze.
Nessun commento:
Posta un commento