Se è il governo a fomentare l’instabilità sociale
Nadia Urbinati
L’Italia, scriveva Giuseppe D’Avanzo su «Repubblica» di alcuni giorni fa, è sull’orlo di una nuova civiltà, quella dell’odio. Possiamo aggiungere che sta avviandosi a diventare una società sempre più autoritaria, per non dire peggio. Molte forze cooperano a questa trasformazione, alcune di esse scientemente, tutte in maniera scellerata: una parte preponderante dei partiti che formano la maggioranza; parrocchie, parroci e gerarchie cattoliche; movimenti sociali e politici rappresentativi soprattutto di alcune aree del paese; bande violente e razziste un po’ dovunque. Assistiamo al fiorire di proposte schizofreniche, che parlano la lingua della carità cristiana quando è in questione la sospensione dell’accanimento terapeutico e la lingua della violenza persecutoria quando è in questione la cura di persone non italiane. Le stesse forze che urlano per la vita urlano per la sua violazione; le stesse che invocano la perenne cura propongono di servirsi del bisogno di cura dei clandestini come mezzo di schedatura persecutoria.
Diverse nel contenuto, queste posizioni sono schizofreniche in apparenza, ma identiche nel tenore e nel significato: la volontà di una parte (anche se larga) di decidere con imperio su tutto e contro tutti: contro i giudici quando mettono in atto la legge; contro la nostra costituzione che con la divisione dei poteri sancisce la sovranità della legge, non della volontà del più forte; contro la libera scelta dei singoli che la costituzione difende; contro la morale umanitaria e universale che guida convezioni e trattati firmati anche dall’Italia e che impegnano l’Italia al rispetto della vita, della dignità e dei diritti fondamentali di ogni essere umano che giunge o vive sul territorio nazionale, che parli o no la lingua della maggioranza (come se gli italiani parlassero un’identica lingua dalle Alpi alla Sicilia!).
Ma un paradosso c’è: con un governo che gode di una così ampia maggioranza ideologica e numerica, la società civile invece di essere in pace è in guerra permanente, ogni giorno scossa da nuovi e radicali conflitti. Si tratta però di paradosso fittizio. E’ ragionevole pensare, gli eventi paradossali di questi giorni istigano a pensare, che sia proprio questa debordante maggioranza a trovar conveniente generare un senso di instabilità sociale e di disordine. Fomentare la rabbiosa reazione contro il diverso può essere politicamente conveniente per rendere il bisogno di sicurezza inappagato e continuo. Fomentare l’odio verso i giudici che hanno “firmato la condanna a morte di Eluana” può essere conveniente per alimentare il discredito dei giudici e sostenere la politica del governo sulla giustizia. La logica è studiata: avendo costruito la propria legittimità ideologica sul bisogno di sicurezza, questo governo è necessariamente interessato ad alimentare la percezione dell’insicurezza. Esso ha bisogno di cittadini impauriti per essere legittimato nel proprio ruolo e, nello stesso tempo, per riuscire a giustificare la propria impotenza quando è necessario.
Creare il bisogno di sicurezza alimentando la paura e l’insicurezza con la moltiplicazione esponenziale delle polizie: rendendo se possibile tutti gli italiani dei poliziotti, dai medici che dovrebbero diventare aguzzini dei pazienti non italiani ai pattugliatori padani in camicia verde.
La cenerentola è la politica, la quale giuoca un ruolo infimo e irrisorio in questo clima permanente e totale di stato d’emergenza, dove ad essere messe in circolo sono le opinioni morali, quelle religiose, quelle razziste, quelle personali di questo o quel ministro - opinioni cioè non politiche perché non mediabili e non traducibili in linguaggio normativo. Dove sia la sfera pubblica in questa giungla di vocabolari nessuno più lo sa. Con gravissimo rischio per tutti.
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