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La mer, la fin...

domenica 3 maggio 2009

Razzismo. Un paese pieno di cinesi.

Il 30 aprile la Repubblica di Firenze ha pubblicato la lettera di un'adolescente di origine cinese, gravemente offesa da alcuni coetanei. Il giorno seguente è uscita anche un'intervista sullo stesso quotidiano.
Riportiamo qui entrambe le cose, senza inutili commenti.
mv

Insulti e sputi sul treno regionale.
La vittima è una adolescente originaria della Cina, si chiama Maria Silvia ed è stata adottata da quando aveva pochi mesi da una famiglia che vive in provincia di Firenze. Frequenta il ginnasio. Sabato scorso tornava con gli amici da una gita al mare, erano partiti da Pisa. Un gruppetto di ventenni l´ha presa di mira, quei ragazzi l´hanno offesa e le hanno addirittura sputato addosso per il colore della sua pelle e per gli occhi a mandorla. Lei è rimasta shockata e ha deciso di scrivere una lettera (che pubblichiamo qui accanto). L´esperienza è stata molto pesante anche per i suoi amici: «La maggior parte di noi non aveva mai assistito a fatti così ingiusti e siamo rimasti tutti molto impressionati dalla violenza verbale e dagli atti oltraggiosi», scrivono nella premessa alla lettera di Maria Silvia. Lei ha anche pensato di sporgere denuncia contro ignoti alla polizia perché rintracciassero quei razzisti che l´hanno ferita, ne ha anche parlato con i genitori che le hanno promesso il loro appoggio. Poi ha preferito scrivere la lettera per manifestare il suo dispiacere per l´ultimo episodio e le difficoltà che la sua "diversità esteriore", come la chiama lei, le ha procurato in questi anni in Italia. Anzi a Firenze.
Ecco il testo della lettera scritta dalla giovane cinese offesa in treno da un gruppo di ventenni per il colore della sua pelle.
Ho sempre desiderato poter essere invisibile. Schioccare le dita e improvvisamente diventare come un filo d´erba in un prato o una goccia d´acqua nel mare: completamente trasparente. Ho 15 anni e sono una normalissima adolescente, che va a scuola,esce con gli amici e litiga con i suoi genitori. Normale. L´unica differenza è che quando avevo appena 6 o 7 mesi sono stata adottata. Per questo la mia pelle ha una sfumatura olivastra, per questo i miei occhi sono a mandorla, così differenti da tutti gli altri. Ed è per questa "diversità" che, al rientro in treno dal mare con alcuni amici, un gruppo di ragazzi di circa vent´anni mi ha insultato e sputato addosso. Inutile descrivere la profonda ferita che ha causato quel gesto, così incivile e irrispettoso, simbolo del grave declino di tutto ciò che è umano. Sputare addosso ad una persona è uno dei gesti più significativi, equivalente ad una coltellata, che affonda nel profondo e che lascia una cicatrice indelebile.
Questo è soltanto uno dei molti episodi che continuano a susseguirsi nella mia vita quotidiana, che trascorre tra insulti e umiliazioni. Tra sguardi sprezzanti che fanno spuntare il solito luccichio nei miei occhi, di quelle lacrime che bruciano sia fuori che dentro, nelle viscere, nello stomaco. Così torna il desiderio di essere inghiottita dal terreno solo per sparire davanti all´umiliazione di essere stata privata della mia dignità. Pochissimi di coloro che leggeranno questa lettera capiranno a fondo il peso delle mie parole. Il peso della diffidenza, il peso del sentirsi diversi, il peso della paura di essere sbagliati. Il peso degli insulti: che lasciano un segno incancellabile, ma che ti danno la forza di guardare avanti a testa alta, con lo scopo di poter combattere queste ingiustizie.
La più grande vergogna per me, che nonostante la mia "diversità" esteriore mi considero italiana, è sapere che troppe persone, dopo tanti anni di lotte, ancora non riescono a convivere con un qualcosa di leggermente differente. Di credere ancora che io, in quanto essere umano, non abbia diritto al rispetto che mi spetta. E tutti quelli che non combattono contro queste ingiustizie sbagliano quanto coloro che compiono azioni del genere.


Parla Maria Silvia: "Sono italiana. Non ho più voglia di subire
"Parla la ragazza di 15 anni, nata in Cina e adottata da una famiglia italiana, vittima di un episodio di razzismo da parte di un gruppo di ventenni mentre tornava con gli amici da una gita al mare.
Ha pensato di denunciarli, poi ha invece deciso di rendere pubblico l'episodio raccontandolo ai giornali
«Ho sempre desiderato essere invisibile». Ricominciamo da queste parole da maneggiare con cura, dal dolore dell´inchiostro che rotola giù dalle righe di una lettera pensata al finestrino di un treno il pomeriggio del 25 aprile. Maria Silvia, quindici anni, e altri suoi compagni di scuola tornano da una gita al mare a Quercianella. Ridono e scherzano, hanno le chitarre e gli zainetti a colori. «Che Paese di merda l´Italia, è pieno di cinesi». Come? Voi per esempio, di dove siete? «Di Firenze». Quelli: «Firenze è una città del cazzo, non ci sono più i veri italiani». Non ha bisogno di guardarsi allo specchio Maria Silvia per capire che quei ragazzi con le teste rasate, saliti a Pisa e scesi la fermata dopo, ce l´hanno con lei. Di orientale ha soltanto i tratti somatici, i capelli neri e lisci, gli occhi a mandorla. Per quegli altri basta e avanza a targarla «cinese» e riempirla di offese. «Quando sono scesi, uno di loro è venuto verso di me, io ero seduta al finestrino e lui ha sputato sul vetro, proprio all´altezza della mia faccia. Il treno è ripartito e dopo ho pianto sì, hanno pianto anche i miei amici che avevano cercato di difendermi, tutti dispiaciuti, tutti a dire che gli idioti ci sono sempre, ovunque. Lo so. Ho pensato di denunciarli e poi no, ho pensato: meglio scrivere una lettera e mandarla ai giornali. Vorrei che qualcuno immaginasse cosa provo, cosa significa portarsi addosso questa diversità, non sentirla, ma sentire che l´avvertono gli altri». Salire sul bus per andare a scuola e «avanzare tra le occhiate della gente», «avere addosso gli sguardi e provare sempre come una specie di pizzicore dietro la nuca», un disagio, la voglia che finisca presto la corsa. Ascoltare gli altri mentre parlano di te come una straniera che nemmeno capisce la loro lingua e «fare finta di niente», osservarli «quando si alzano se ti siedi tu». Maria Silvia fa il ginnasio. «Il 25 aprile è stata come la mia liberazione». Meglio avere coraggio, esporsi, rischiare magari di farsi male un´altra volta, piuttosto che macerare di nascosto le ferite, tenerle clandestine: «Ho sempre desiderato essere invisibile. Schioccare le dita e diventare come un filo d´erba in un prato o la goccia d´acqua nel mare: completamente trasparente». Questa volta no, l´orgoglio contro il pregiudizio. Seduta sul letto della sua cameretta, la porta che si apre sulla parola «Peace», due orsi, un po´ di conigli e uno zoo di peluche, il poster degli Oasis, i libri del liceo classico, il computer fuori uso: «Babbo puoi andare di là?». Tutti fuori e niente cognome per favore. «Non parlo volentieri di certe cose nemmeno in famiglia, l´ho fatto con quella lettera perché penso possa servire ad altri ragazzi come me ad avere più coraggio davanti alle offese. Magari aiuta anche quei ragazzi che mi hanno offeso a riflettere. Tutti, da una parte o dall´altra, abbiamo bisogno di aiuto. Non è giusto abbassare lo sguardo e poi andare a casa a piangere. Sono nata in Italia, la mia è una famiglia fiorentina. Ho gli occhi a mandorla eppure non sono mai stata in Cina, ma ci andrei volentieri perché mi piace viaggiare e scattare fotografie, forse questa estate forse si faranno le vacanze in California». Cos´è portarsi addosso una diversità Maria Silvia lo spiega così: «Ho sempre saputo di essere di essere stata adottata, quando eravamo piccoli la gente mi chiedeva, guardando la mamma e mio fratello: e tu come fai a non essere bionda come loro? Io arrossivo o scappavo e loro capivano e si fermavano imbarazzati». Crescere con gli altri bambini può essere considerato un percorso a ostacoli: tu da quando sei in Italia? Tu quando torni a casa tua? E poi: perché non sei come noi? Dov´è la tua vera mamma? Certe domande potranno essere spietate, ma c´è nell´essere piccoli la fame di conoscere sempre tutto. Quando si cresce invece i punti interrogativi prendono un altro peso e le parole non conoscono più la leggerezza che hanno nella bocca dei bambini: «La più grande vergogna, per me che, nonostante la mia "diversità" esteriore mi considero italiana, è sapere che troppe persone, dopo tanti anni di lotte, ancora non riescono a convivere con un qualcosa di leggermente differente» ha scritto Maria Silvia. «A scuola in questi giorni, i miei compagni mi hanno aiutato e anche la professoressa di inglese quando ha letto la lettera pubblicata sui giornali ha capito quello che mi era successo e ci è rimasta molto male. Vorrei che non si fermasse tutto qui, vorrei che non si leggesse e poi si voltasse pagina come facciamo sempre, quale è la prossima notizia? Vorrei che diventasse un impegno quotidiano quello di accettarsi tutti per come siamo, magri, grassi, dritti, storti, italiani, stranieri, con una pelle pallida o colorata».

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