Perché servono le utopie
di Slavoj Žižek
Il senso comune della nostra epoca ci dice che, rispetto alla vecchia distinzione tra doxa (opinione accidentale/empirica, Saggezza) e verità o, ancora più radicalmente, tra conoscenza positiva empirica e fede assoluta, si dovrebbe tracciare una linea tra ciò che si può pensare e si può fare oggi. Sul piano del senso comune, il punto più lontano a cui si può arrivare è un liberalismo conservatore illuminato: ovviamente non ci sono alternative praticabili al capitalismo; allo stesso tempo, lasciata a se stessa la dinamica capitalistica minaccia di minare le proprie fondamenta. (...) All’interno di questo orizzonte, la risposta non è né un liberalismo radicale alla Hayek, né un crudo conservatorismo, sempre meno aderente ai vecchi ideali dello Stato sociale, ma una miscela tra liberalismo economico e un minimo spirito «autoritario» di comunità (l’enfasi sulla stabilità sociale, i «valori» eccetera) che controbilanci gli eccessi del sistema - in altre parole ciò che hanno sviluppato i socialdemocratici della Terza Via, come Blair.
Questo è il limite del senso comune. Ciò che sta dietro di esso implica un Salto di Fede, una fede nelle Cause perse, Cause che, dall’interno dello spazio della saggezza scettica, non possono che apparire folli. E questo libro parla dall’interno di questo Salto di Fede. Ma perché? Il problema, ovviamente, è che in un tempo di crisi e rotture, la stessa saggezza empirica scettica, costretta nell’orizzonte della forma dominante del senso comune, non può fornire delle risposte, e dunque si deve rischiare un Salto di Fede. Questo passo è il passo da «io dico la verità» a «la verità stessa parla (in/attraverso di me)» (come nel «mathema» lacaniano del discorso dell’analista, in cui l’agente parla da una posizione di verità), sino al punto in cui posso dire, come Meister Eckhart, «è vero, e la verità stessa lo dice». Sul piano della conoscenza positiva, ovviamente, non è mai possibile raggiungere la verità o essere sicuri di averlo fatto - ci si può solo approssimare senza fine, poiché il linguaggio è in ultima istanza autoreferenziale, non c’è modo di tracciare una linea definitiva di separazione tra sofismi, esercizi sofistici, e la Verità stessa (questo è il problema di Platone). La scommessa di Lacan è, in questo senso, la stessa di Pascal: la scommessa della Verità. Ma in che modo? Non correndo appresso a una verità «oggettiva», ma basandosi sulla verità riguardo alla posizione da cui si parla.
Esistono solo due teorie che implicano e praticano una nozione così impegnata di libertà: il marxismo e la psicoanalisi. Sono entrambe teorie di lotta, non solo teorie sulla lotta, ma teorie esse stesse impegnate in una lotta: le loro storie non consistono in un’accumulazione di conoscenza neutra, sono al contrario segnate da scismi, eresie, espulsioni. (...) Normalmente ci si dimentica che i cinque grandi resoconti clinici di Freud sono al fondo resoconti di un successo parziale e di un fallimento finale; nello stesso modo, i più grandi racconti storici marxisti di eventi rivoluzionari sono racconti di grandi fallimenti (della guerra dei contadini in Germania, dei giacobini nella Rivoluzione francese, della Comune di Parigi, della Rivoluzione d’ottobre, della Rivoluzione culturale cinese). Una tale analisi dei fallimenti ci mette di fronte al problema della fedeltà: come riscattare il potenziale emancipatore di questi fallimenti evitando la doppia trappola dell’attaccamento nostalgico al passato e dell’adattamento un po’ troppo furbo alle «nuove circostanze»?
Il tempo di queste due teorie sembra concluso. Come ha affermato recentemente Todd Dufresne, nessun personaggio nella storia del pensiero umano ha commesso più errori rispetto a tutti i fondamentali della propria teoria di Freud - con l’eccezione di Marx, qualcuno potrebbe aggiungere. E infatti nella coscienza liberale le due teorie emergono come i maggiori «complici del crimine» del ventesimo secolo: com’era prevedibile, nel 2005, il famigerato Libro nero del comunismo, che elencava tutti i crimini comunisti, è stato seguito dal Libro nero della psicoanalisi, contenente l’elenco di tutti gli errori teorici e gli inganni clinici della psicoanalisi. Anche se in modo negativo, la profonda solidarietà tra marxismo e psicoanalisi è ora sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, ci sono dei segnali che disturbano questo autocompiacimento postmoderno. Commentando la crescente risonanza del pensiero di Badiou, Alain Finkelkraut lo ha recentemente definito «la filosofia più violenta, sintomatica di un ritorno di radicalità e della crisi dell’antitotalitarismo»: un’onesta e sorpresa ammissione di fallimento del lungo e arduo lavoro di tutti i difensori «antitotalitari» dei diritti umani, che hanno combattuto contro «i vecchi paradigmi estremisti», dai nouveaux philosophes francesi ai sostenitori di una «seconda modernità». Ciò che sarebbe dovuto essere morto, liquidato, del tutto screditato, sta ritornando per vendicarsi. Questa disperazione è comprensibile: com’è possibile che questo genere di filosofia stia ritornando nella sua forma più violenta? La gente non ha ancora capito che il tempo di queste pericolose utopie è finito? La nostra proposta è di rovesciare la prospettiva: come affermerebbe Badiou nella sua originale maniera platonica, le idee vere sono eterne, sono indistruttibili, fanno sempre ritorno ogni qual volta vengano proclamate morte. Questo è sufficiente a Badiou per affermare nuovamente queste idee in maniera chiara, e il pensiero antitotalitario si mostra in tutta la sua miseria per ciò che realmente è, un esercizio sofistico privo di valore, una pseudo-teorizzazione delle paure e degli istinti di sopravvivenza più meschini e opportunisti, un modo di pensare che non solo è reazionario ma anche profondamente reattivo nel senso nietzschiano del termine.
Un paio d’anni fa, la rivista Premiere riportava un’inchiesta intelligente sul modo in cui i finali famosi dei film di Hollywood erano stati tradotti in alcune delle maggiori lingue non inglesi. In Giappone, il «Francamente, mia cara, me ne infischio» di Clark Gable a Vivien Leigh da Via col vento era reso con: «Mia cara, temo che fra di noi ci sia un piccolo malinteso» - un omaggio alla proverbiale cortesia ed etichetta giapponese. Al contrario, il cinese (nella Repubblica popolare cinese) traduceva il «Questo è l’inizio di una bella amicizia!» di Casablanca con «Noi due costituiremo ora una nuova cellula di lotta antifascista!» - essendo la lotta antifascista la priorità maggiore, ben al di sopra delle relazioni personali. Per quanto possa sembrare che questo volume ceda spesso ad affermazioni eccessivamente polemiche e «provocatorie» (cosa potrebbe essere più «provocatorio» oggi di mostrare una sia pur minima simpatia o comprensione per il terrore rivoluzionario?), esso pratica piuttosto uno spostamento nel modo degli esempi citati in Premiere: laddove la verità è che me ne infischio del mio avversario, dico che c’è un piccolo malinteso; laddove la posta in gioco è un nuovo condiviso campo di battaglia politico-teorico, può sembrare che io stia parlando di amicizie e alleanze accademiche. In questi casi, spetta al lettore risolvere il rebus che giace di fronte a lui.
(c) 2008 Traduzione di Cinzia Azzurra Pubblicato in Italia da Ponte alle Grazie
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