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La mer, la fin...

venerdì 27 marzo 2009

Prato. Economia: un "patto sociale"?

Si... crediamoci che non c'era il clima politico...
E' dieci anni che il distretto tessile è in crisi, e si fanno tavoli su tavoli da tempo ormai immemore... A quest'ora, altro che patto sociale!
E sulle delocalizzazioni, il presidente della Provincia è quasi disarmante, con il suo approccio "pragmatico": se noi vogliamo attrarre capitali, perché "noi" (ma noi chi?) non possiamo andare altrove? La risposta, altrettanto pragmatica, è molto semplice: perché nella "sfida" della delocalizzazione, parti già con l'handicap, e mentre tante risorse escono, poche entrano... E di quelle poche, oggettivamente, bisogna pure ringraziare in buona parte gli imprenditori cinesi!
MV

da il Tirreno del 27/03/09
Nuove regole tra committenti e terzisti

Logli: «E ora al lavoro per vincere la concorrenza interna»

«A aprile con il tavolo di distretto contiamo di avere un patto con cui cambiare i rapporti di filiera»

PRATO. Un patto sociale. Un accordo tra tutti i protagonisti del distretto per vincere la concorrenza interna e, per dirla come l’imprenditore Renato Cecchi, evitare che «ci siano imprenditori che si approffittano della crisi». E’ questo, dopo la battaglia portata avanti per ottenere aiuti a Prato, il prossimo obiettivo del tavolo di distretto coordinato dal presidente della Provincia Massimo Logli. Entro aprile c’è la volontà di stilare una sorta di vademecum per allentare le frizioni che ci sono nei rapporti sindacali e tra committenti e terzisti.
Presidente Logli, Prato vive una forte crisi per la concorrenza che arriva dall’esterno e per il calo dei consumi ma una parte delle difficoltà delle aziende sono determinate anche da una concorrenza troppo aspra tra imprenditori.
«Prato, per quel che riguarda la concorrenza internazionale, non chiede protezionismo, chiede come ormai tutto il mondo e gran parte dell’Europa, regole certe con cui competere. L’Unione europea si deve quindi preoccupare di garantire alle proprie aziende di stare in un quadro di competitività internazionale senza subire l’aggressione di politiche di altri Stati. C’è anche, in questa fase, l’urgenza di ristabilire un nuovo patto sociale interno. Nell’ottica dell’interesse comune devono cambiare le relazioni tra i vari pezzi della filiera. E’ evidente che le relazioni sindacali e tra committenti e contoterzisti dovranno essere affrontate in una logica nuova. Svincolandoci il più possibile dal volontarismo e dall’idea che ci si possa fare concorrenza solo sul prezzo».
Quali sono i punti su cui è necessario lavorare per salvare la filiera?
«Ritornare in qualche maniera a stabilire all’interno della contrattazione con le associazioni di categoria i livelli dei costi delle lavorazioni. Costi accettati da tutti sul campo. Dovremmo aggiornare i costi elaborati a suo tempo dalla Camera di Commercio e far sì che siano il punto di partenza».
Ci sarà chi avrà da eccepire che si rende meno libera la concorrenza.
«Mi sembra strano che nello stesso distretto e nello stesso tipo di lavorazione possano esserci le oscillazioni che ci sono oggi. Non sono per i listini di regime ma a parità di costi ci dovrebbero essere, fatta salva l’efficienza aziendale, oscillazioni contenute».
Un passo avanti sarebbe riconoscere un rapporto corretto e trasparente tra committenti e terzisti.
«Bisogna creare qualche strumento di responsabilità tra committenti e terzisti. Inoltre è necessario raccogliere la disponibilità data dai sindacati per contratti di lavoro d’area».
Non è facile attuare queste misure.
«Penso invece che le condizioni ci siano. Il Tavolo di distretto ha dimostrato capacità progettuale e una tenuta nuova rispetto al passato. E quello può essere il luogo dove si mettono a punto le strategie e si costruisce questo patto sociale».
Rimangono fuori i forti disagi creati dall’uso del concordato preventivo con la creazione di good company. E la produzione all’estero.
«Credo che sia immorale ma garantito dalla legge accettare i concordati sotto il 40%. C’è un ricorso troppo facile al concordato ma su questo la politica può fare molto poco. Sulle delocalizzazioni serve invece un atteggiamento molto pragmatico: non sono né il toccasanta né la morte. Se si pensa di attrarre investitori sul nostro territorio bisogna pensare che anche noi si possa andare a investire altrove. La sfida è tenere qui quello che è concorrenziale con una rinegoziazione delle regole del commercio internazionale. La globalizzazione è malgovernata. Bisogna tornare a un mercato delle merci dove le regole facciano sviluppare i popoli, non le multinazionali».
Ma tutto questo non poteva essere fatto prima.
«Sì. Le persone sono le stesse. Probabilmente non c’era nè il clima politico nè la percezione esatta della situazione economica. Noi, come Provincia, ci crediamo da molto tempo».
Ilenia Reali

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