E’ considerato il nuovo enfant prodige del Partito democratico. Ma anche un ribelle. Certo Matteo Renzi, vincitore delle primarie e candidato sindaco di Firenze alle prossime elezioni del 6 e 7 giugno, non le manda a dire. «Il Pd avrà un futuro quando la smetterà di seguire il chiacchiericcio, il “segue dibattito”, il cicaleccio dei vari comitati pro -anti».
Il Secolo XIX lo intervista perché Genova e la Liguria sono ormai l’epicentro di un fenomeno, i “comitati contro”, che peraltro dilaga in tutto il Paese. E Renzi non ha dubbi sull’esigenza di alzare un argine: «Il comitatismo , quando diventa mancanza di decisione, rappresenta un handicap. La politica è assunzione di responsabilità, capacità di scelta, non paralisi».
Dice, ma ha già fatto. I Verdi avevano approvato il programma della Provincia di Firenze, che Renzi presiede, termovalorizzatore compreso. Poi hanno svoltato, seguendo l’onda di Beppe Grillo. «Scherziamo, un programma cambiato per le parole di un comico? Li ho messi fuori dalla maggioranza».
La difficoltà di decisione politica e l’esplosione dei mille comitati che imprigionano i vertici sono due realtà collegate tra loro. Io sono convinto di una cosa: il Partito democratico avrà un futuro quando la smetterà di seguire il chiacchiericcio, il segue dibattito, il cicaleccio dei vari comitati pro & anti, per l’alto e per il basso, per questo e contro quello». A parlare, in questa intervista al Secolo XIX , è Matteo Renzi, vincitore delle primarie del Pd a Firenze, dove ha sbaragliato due ex Ds ed un cattolico democratico come Lapo Pistelli, ed ora è candidato a sindaco nel capoluogo toscano per le elezioni del 6 e 7 giugno prossimi.
Renzi, buttiamola sul concreto: il centrosinistra di governo sembra non saper più decidere, imbrigliato da comitati pro e contro una strada, di protesta o di appoggio a quella mattonella. È così? «Non c’è ombra di dubbio: il comitatismo quando diventa mancanza di decisione, incertezza politica, rappresenta un vero e proprio handicap. Un problema da superare. Pensiamoci bene, la politica è assunzione di responsabilità, capacità di scelta, non paralisi». Belle parole le sue. Pescando dalla vita quotidiana dei cittadini italiani, ci faccia un esempio di cosa funziona e di cosa non va. «Le faccio subito un esempio. Come sapete io sono presidente della provincia di Firenze. Bene, io ho fatto fuori i Verdi dall’alleanza di governo in provincia perché, nel 2004 alla vigilia delle elezioni, quando ho presentato il programma di governo loro avevano sottoscritto l’accordo per la realizzazione di un termovalorizzatore. Sa cosa è successo poco tempo dopo? È accaduto che, alla prima ammuina di Beppe Grillo sul tema dell’ambiente, questi hanno cominciato a gridare che il termovalorizzatore non si doveva fare. Un programma di governo cambiato per le parole di un comico? Ma stiamo scherzando? Così li ho messi fuori dalla maggioranza».
Lei ha 34 anni, ritiene che la nomenklatura del Pd, parliamo degli over 50, sia troppo propensa ai compromessi con comitati e partitini vari? Lei Dario Franceschini l’ha chiamato vicedisastro… Un pezzo del gruppo dirigente del Partito democratico di oggi, e parlo dei cinquantenni e oltre a cui accennava lei, non c’è dubbio che sia legato alle mediazioni politiche, all’impasse nelle decisioni importanti. Per non essere reticente faccio i nomi e i cognomi. Comincio con un esempio per me positivo e poi vado avanti con un altro che per me non è affatto positivo. Cominciamo dal buono e prendiamo Sergio Chiamparino, il sindaco di Torino: lui si è fatto valere ed ha realizzato cose buone, decidendo ed assumendosi le proprie responsabilità di amministratore. Dall’altra parte, parlando di quello che non va, abbiamo, in Campania e a Napoli, il secondo Antonio Bassolino, la Rosa Russo Iervolino e il verde Dino Di Palma. Beh, le dico che hanno fatto male a non dimettersi, ma non per il problema delle indagini e tutto il resto, quello non mi interessa, bensì per ragioni tutte politiche. Perché ad un certo punto, con grande vergogna di tutti gli italiani, i rifiuti hanno sommerso Napoli e l’immagine che ne è venuta fuori non era certa buona».
Lei, nei suoi interventi pubblici, usa spesso la parola “coraggio”: che cosa intende di preciso? «Guardi, in politica ci vuole coraggio. A me, per esempio, hanno detto ‘tu rifai il presidente della provincia’, come a dire ‘ti piazziamo’. Io ho deciso di giocare tutte le mie carte sul comune, dicendo che se perdo torno al mio lavoro, perché io non mi faccio “piazzare” da nessuno. Questa scelta è stata apprezzata dai cittadini. Oggi la cooptazione non funziona più, i meccanismi sono cambiati. O prendiamo il vento nuovo o saremo spazzati via. Per me la cosa migliore che posso fare per aiutare il partito, è vincere a Firenze. Se si perde, suonano le campane a morto». Lui, del resto, queste cose le pensa e le scrive da tempo. Dieci anni fa, in un libro-dialogo vergato a quattro mani con Lapo Pistelli (quando si dice il destino),
«Ma le giubbe rosse non uccisero Aldo Moro. La politica spiegata a mio fratello», annotava. «Io, giovane moderno, come mi chiami in genere, posso anche sforzarmi di capire quando si parla di politica. Il problema è che voi, che la politica dite di farla (e in questo voi metto dentro tutti i tuoi colleghi che mettono le loro chiappette su una bella poltrona alla Camera, nel Senato, alle Regioni, nei Comuni, eccetera) siete dei maestri nel non farvi capire, nell’esprimervi con discorsi fumosi e inconcludenti». Più chiaro di così…
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