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da la Nazione del 07/03/09
Violenze sulle donne La Nara: nel 2008 161 casi
CON QUESTI numeri c’è ben poco da festeggiare. Sarà l’ennesimo 8 Marzo all’insegna della violenza sulle donne, quello che sarà celebrato domani. Sono 161 i casi di donne maltrattate o violentate di cui si è occupato il centro ascolto La Nara nel 2008; 103 riguardano italiane, altri 14 straniere provenienti da Paesi dell’Unione Europea. Sette di queste donne — tre italiane e quattro straniere — sono state ricoverate nella casa rifugio, perché lo richiedeva la pericolosità della situazione o in mancanza di altri sostegni. Alle 161 denunce, numero già eclatante, vanno poi aggiunti i 30-50 casi irrisolti dagli anni precedenti e le recidive.
«I dati del 2008 indicano un livello stazionario rispetto al 2007, anno nel quale abbiamo registrato un vero e proprio boom di richieste di ascolto: 163 contro i 115 del 2006 e del 2005 — sottolinea Loredana Dragoni, coordinatrice de La Nara — I primi mesi del 2009 però segnalano un trend preoccupante: forse i gravissimi episodi registrati a livello nazionale stanno dando coraggio a tante donne di uscire allo scoperto o forse sono gli effetti di anni di nostre campagne di sensibilizzazione, ma registriamo una grande presa di coscienza del problema a tutti i livelli: assistiamo ad un notevole incremento di sensibilità da parte degli operatori ospedalieri o delle forze di polizia. Finalmente si inizia a capire che la violenza è un problema sociale: è di tutti e non solo di chi la subisce».
Chi solo le donne maltrattate? Le più colpite hanno fra i 30 e i 39 anni (45 casi); seguono le quarantenni (35) e le ventenni (31). Ben 111 su 161 sono mogli o donne conviventi. La maggior parte delle vittime ha la licenza media inferiore (65) o superiore (32), sette sono le laureate. Rilevante appare la statistica sulla condizione professionale: 39 vittime di maltrattamenti su 161 sono dipendenti a tempo indeterminato, 11 lavorano a contratto, 13 sono retribuite in nero, ma ben 45 risultano disoccupate e forse per questo cercano un aiuto: per loro lasciare la casa dove vengono maltrattate è particolarmente difficile.
La stragrande maggioranza delle violenze si consumano in ambito familiare: 106 segnalazioni arrivate a La Nara riguardano mariti, conviventi o ex; 11 i padri; 4 i figli o le figlie; una il partner di una madre. «Rilevante è anche il numero delle separate o divorziate che si sono rivolte a noi — continua Dragoni — Nel loro caso si tratta spesso di stalking, una vera persecuzione, molto più insidiosa e sottile: una moglie maltrattata dal marito riesce a prevedere la bufera quando si avvicina anche se spesso non può fare niente per evitarla. Le vittime di stalking non hanno questa possibilità».
Cosa spinge queste donne a rivolgersi al centro di ascolto gestito dalla cooperativa Alice? Come nel 2007, quasi la metà delle segnalazioni trattate da La Nara nel 2008 riguarda maltrattamenti sia fisici che psicologici (96 casi su 215). Poi ci sono le altre tipologie, fra le quali compaiono 18 denunce di abusi sessuali, 23 casi di vessazioni a sfondo economico, 44 violenze esclusivamente psicologiche. Sette casi trattati nel 2008 hanno riguardato abusi sessuali su minori: nel 2007 erano stati «solo» tre.
lau.g.
da la Nazione del 06/03/09
8 MARZO TRA INIZIATIVE E DISCRIMINAZIONI
di MARIA LARDARA
SI ALLONTANANO dal lavoro per esercitare quel sacrosanto diritto di ogni donna che è la maternità, ma i dolori nascono al momento del rientro in fabbrica o in ufficio, con il datore di lavoro che le spinge a rassegnare le dimissioni, in qualche caso dopo aver reso loro la vita impossibile. Bocconi amari che nel 2008 hanno dovuto ingoiare 40 mamme lavoratrici pratesi, ben una decina nei primi due mesi del 2009, ma il trend è destinato a crescere fino alla fine dell’anno: sono le stesse che hanno mosso causa all’azienda in cui lavoravano prima di rimanere incinte, giovane donne per lo più sotto i 35 anni, laureate o comunque dotate di titoli di qualificazione professionale, tendenzialmente considerate più appetibili sul mercato. Almeno prima della gioia di diventare madri. «Sono i profili delle donne ‘in carriera’ a essere più penalizzati — spiega Giovanni Piras, responsabile dell’ufficio vertenze della Cgil di Prato — perché nel momento in cui viene meno la disponibilità iniziale di queste lavoratrici chiamate agli impegni di mamma, l’atteggiamento dell’azienda è quello di scaricare queste figure adducendo tutta una serie di motivazioni, tra cui la crisi che viene in realtà strumentalizzata per legittimare il licenziamento. Alcune donne non ritrovano neppure la scrivania dopo la maternità, altre vengono spesso sottoposte a cambi di orario e trasferimenti pur di indurle ad andarsene. E non c’è, da questo punto di vista, un settore che fa la differenza». Maternità vista dunque come un «handicap» per la lavoratrice. Con la crisi che offre uno squisito alibi per il datore di lavoro alle prese magari con la ristrutturazione dell’impresa in modo da contenerne i costi. «In realtà — fa notare Piras — il posto lasciato vacante dalla futura mamma dovrebbe essere occupato temporaneamente da un’altra persona con un contratto termine ma di fatto questa sostituzione non avviene e spesso le aziende ne approfittano per riorganizzare il personale». Che ci sia un nesso tra crisi economica e discriminazioni per le donne lavoratrici lo conferma anche la consigliera di parità in Provincia, Micaela Venturi, nel suo ruolo istituzionale di difesa delle pari opportunità sui luoghi di lavoro.
«Negli ultimi otto mesi — fa sapere — ho seguito circa una ventina di casi, di cui solo uno si è concluso con una procedura di conciliazione. Le denunce vertono soprattutto sulla difficoltà a conciliare i tempi del lavoro e della famiglia, ma è soprattutto il rientro dalla maternità la causa principale di vessazioni e discriminazioni. Nei primi mesi del 2009 sono pervenute già cinque segnalazioni». Che fare in queste circostanze? È un ritratto di donne determinate, pronte a reagire, quello che emerge dalla fotografia scattata dall’ufficio vertenze della Cgil. «Quando arrivano qui — racconta il responsabile — le lavoratrici descrivono la loro situazione e la guerra di nervi che hanno dovuto sopportare con i colleghi e il principale, ma sempre nella consapevolezza dei diritti da rivendicare. L’ufficio vertenze, a tal proposito, può dare loro una mano affinché ottengano almeno un risarcimento o un indennizzo nei casi in cui non è possibile la riassunzione».
da il Tirreno del 08/03/08
Donne al centro della crisi economica
Discriminate sul lavoro, pagano due volte. Ma crescono le imprese
Al rientro in azienda dopo il parto difficilmente ritrovano il loro posto ma sono più brave a reinventarsi
ALESSANDRA AGRATI
PRATO. Essere donna non è mai solo luci o solo ombre. E’ ricchezza ed è sacrificio. Felicità e dolore. E in un momento di crisi come quello che sta vivendo Prato queste due facce di una stessa medaglia emerge con particolare chiarezza: da una parte le donne sono quelle che pagano di più in termini di posti di lavoro, dall’altra la nostra provincia detiene il record di imprenditrici titolari di ditte individuali. Vivacità e sacrificio.
«Ogni crisi - commenta Chiara Malinconi segretaria dei tessili della Cisl - inevitabilmente si ripercuotono sugli anelli deboli e le donne non imprenditrici purtroppo lo sono ancora».
La discriminazione sembra avvenire non solo al momento dell’assunzione, ma sopratutto al ritorno dal periodo di congedo per maternità. «Difficilmente - spiega Malinconi - chi rientra dopo una gravidanza torna a occupare il proprio posto». Eppure si verificano anche casi di mobbing al contrario; minacce per passare dal part time al full time.
«In questo caso - continua la sindacalista - si sarebbe potuto pensare a due part time invece che costringere una donna con famiglia a rientrare a lavorare a tempo pieno». Le figure professionali più a rischio sono quelle intermedie.
Ma le difficoltà riguardano anche le lavoratrici sposate, soprattutto nel primo anno di matrimonio. «Sembra quasi che le donne - spiega Annalisa Nocentini della Uil - debbano rientrare in una categoria protetta per ottenere un impiego. C’è molta discriminazione anche in fase di assunzione, una volta in azienda poi le donne hanno meno possibilità di fare carriera».
«Al sindacato si rivolgono maggiormente gli uomini - spiega Nocentini - questo perchè le donne si devono far carico della famiglia, dagli anziani ai bambini, e quindi cercano di trovare da sole una soluzione in equilibrio fra nuova situazione lavorativa e la famiglia».
Senza cadere nel solito clichè, comunque l’equilibrio è difficile da raggiungere: «Quando ci sono problemi - spiega l’imprenditrice Monica Sarti - bisogna dedicare più tempo all’attività lavorativa, io sono fortunata perchè ho un uomo di cui sono innamoratissima che capisce queste cose e mia aiuta. Avere una famiglia che ti sostiene è fondamentale. Penso comunque che in generale le donne sanno reagire di più, anche se è una questione più di carattere che di sesso».
Fare l’imprenditrice comunque è una scelta che può dare soddisfazione anche in questo periodo: «Da farmacista ho deciso di cambiare completamente lavoro - spiega l’imprenditrice Anna Benelli - e sono contenta della scelta che ho fatto. Mi sento in una posizione paritaria con mio fratello (Alessandro, presidente di Pratotrade ndr), anche se lui ha più tempo da dedicare al lavoro. Per migliorare la condizione della donna che lavora bisognerebbe che cambiasse la mentalità, vedo comunque che nelle coppie giovani si fa sempre più spazio una redistribuzione dei compiti familiari».
Famiglia, lavoro e anche politica possono diventare un impegno importante per cui comunque vale la pena di affrontare anche sacrifici. Aglaia Cipriani è responsabile del patronato Fenalca a Prato, fa parte del direttivo nazionale dell’Apici, ha una bambina piccola e fa parte della direzione regionale del Pd. «Conciliare tutto non è facile, essendo anche tutor per Apici devo viaggiare spesso, ho imparato ad ottimizzare il lavoro e soprattutto a delegare a persone che condividono con me gli stessi obiettivi di lavoro. Questo però mi ha portato ad avere difficoltà nei rapporti affettivi perchè spesso gli uomini entrano in forte competizione con noi così dette donne in carriera».
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