TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

domenica 8 marzo 2009

No Tav. Processo alla Cavet, stralcio 5

Continuiamo a pubblicare gli stralci della requisitoria del PM Francesco Tei, tratti dagli atti del processo alla Cavet. Riteniamo che per chi ha la pazienza di leggerli, essi siano assai istruttivi, anche sul piano politico e tecnico ambientale. mv


TRIBUNALE DI FIRENZE
SEZIONE MONOCRATICA
DOTT. ALESSANDRO NENCINI Giudice Procedimento penale n. 535/04 R.G. Udienza del 3 aprile 2008 Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei [Stralcio n. 5]

“RICORDO BENE CHE ERA UN GIORNO FESTIVO PERCHÉ NON VADO MAI MA ERO ANDATO A MANGIARE UNA PIZZA INSIEME AI PARENTI, MI TELEFONA MIO FRATELLO ALLE DIECI DI SERA, UN GIORNO FESTIVO, DICENDOMI DI STARE ATTENTO A TORNARE A CASA PERCHÉ SI ERANO VERIFICATE DELLE PERDITE D’ACQUA DOVE SI COSTRUIVA LA GALLERIA E ESSENDO LA SERA TARDI, NON SAPENDO ESATTAMENTE DOVE FOSSE RIPORTATO SOPRA IL FRONTE DI SCAVO, CI AVEVANO AVVISATO DI FARE ATTENZIONE PERCHÉ POTEVA MANIFESTARSI QUALCOSA IN SUPERFICIE”...

Siamo partiti da che cosa è stato approvato. La verità è che una volta decisa la compatibilità economica-politica della tratta Firenze-Bologna, il livello di attenzione ai diritti propri di ciascun privato ed a quelli della intera collettività sotto il profilo ambientale è stato men che basso, diremmo quasi inesistente. Si è fatta una riga su una mappa e si è andati a diritto, con poco rispetto per chi e per quel che c’era prima.
Ovviamente noi qui ci occupiamo solo di ciò che è reato e nel nostro caso quindi dei danni al tessuto idrogeologico. La risorsa acqua è stata poco o niente considerata. Nei documenti di approvazione in sede di conferenza dei servizi del 1995 si è esplicitamente richiamata solo necessità di salvaguardare gli approvvigionamenti idrici degli acquedotti pubblici. Si è considerata quindi la risorsa acqua solo come “bene economico”. Vedremo poi che non si è riusciti a salvaguardare neppure questo, ma così è. Di tutto il resto, pare questa la filosofia di fondo, in astratto si poteva fare “tabula rasa”.
Dopo oltre tre anni indagini e tre anni di dibattimento non si è ancora capito se CAVET ritenga di essere stata autorizzata in conferenza dei servizi a desertificare il Mugello per un’ampiezza di quattro chilometri a cavallo del tracciato della linea ferroviaria, ovvero due chilometri per parte, e quindi se nel Mugello devono considerarsi fortunati se è successo solo quello che è successo, perché poteva andare anche peggio.
Perché nel momento in cui non elenchi, non indichi, non dici nulla, fai una fascia di possibile impatto e te, con quel foglio, pensi di essere stato autorizzato, noi potevamo prendere una riga di 73 chilometri e moltiplicarla per 4 e ci potevi mettere le palme: eravamo a posto.
[...] Quale fosse il generale livello di attenzione, di sensibilità, di responsabilità degli esecutori dell’opera, lo si ravvisa nel ridicolo depliant tratto dal sito internet della TAV ancora in rete sino al 2004. È quello che indica, tra i miglioramenti ambientali da realizzarsi a corredo delle opere di Alta Velocità, 5 casi specifici tra cui Moscheta, Camaggiore e Moraduccio. A Moscheta, dove hanno seccato la sorgente, gli interventi previsti sono due parcheggi, un sentiero ed un ponticello, servizi igienici ed altri ammennicoli. Per Moraduccio e Camaggiore è prevista in entrambi i casi l’attivazione di un “punto ristoro”.
Facciamo vedere questo documento a Bechelli, per cui gli domandiamo, visto che nessuno si sacrifica per il Paese: che è questa roba? Dice: “No, è un documento quanto meno datato”. Ineffabile!

Ed eccoci allora all’elenco dei danni. Partiamo da questi perché, sennò, non ci sarebbe stato il processo.
Abbiamo detto: diritto penale. Soggetti, condotte, evento, elemento soggettivo. In verità il danno è uno, a formazione progressiva ed ancora in atto. Ora abbiamo l’imputazione che è fino al 2006, ma è in atto: perché è uno solo, perché è il danno alla circolazione idrica superficiale e profonda del Mugello. Tutti quei numeri, tutti quei punti, quelle singole sorgenti, quei singoli fiumi, quei singoli pozzi, quei singoli punti acqua, ogni singolo evento indicato nei capi di imputazione, di fatto non sono altro che un dato sintomatologico. Ma il danno è uno, è comprensivo, è il dissesto complessivamente unitario, dove ogni punto poi ha una sua storia, ma è un sintomo di ciò che sta accadendo. Di fatto l’evento-danno è unico, non ancora giunto ad un nuovo grado di equilibrio e quindi ancora in atto e purtroppo destinato ad aggravarsi. [...] Avremmo potuto parcellizzare, atomizzare questo processo, ma non avrebbe avuto senso. Basti ricordare che il Carza si è definitivamente seccato – ed è in atto - nell’agosto 2007.
Tutt’al più, se vogliamo, possiamo a sua volta suddividere il danno in quattro parti facendo riferimento ai quattro bacini idrografici interessati ovvero: 1) il bacino del Santerno (sul versante adriatico) di cui fanno parte: a) Torrente Diaterna con i suoi affluenti (Diaterna di Castelvecchio, Diaterna di Caburaccia e Diaterna di Valica); b) Torrente Rovigo (con il Veccione ed affluenti minori); c) Fiume Santerno (con i suoi affluenti Violla e Rio Frena);

2) il bacino della sinistra della Sieve (sul versante tirrenico) di cui fanno parte: a) Torrente Levisone di Molinuccio; b) Torrente Bagnone con i suoi affluenti (Fosso del Mandrio, Bagnoncino, e Fiorentino); c) Torrente Bosso (con il Fosso Cannaticce, Fosso Rampolli e Fosso Risolaia); d) Torrente Le Cale; e) Torrente Ensa (con il Farfereta); 3) il bacino della destra della Sieve (sul versante tirrenico) di cui fanno parte: a) Torrente Carza con i suoi affluenti (Torrente Carlone, Torrente Carzola e Fosso Cerretana); b) Fosso di Cardetole ; 4) il bacino dell’Arno (sul versante tirrenico) di cui fanno parte: a) Torrente Zambra; b) Torrente Rimaggio; c) Torrente Terzolle.

Scelga il Giudice.
Però, dico, poco cambia. In questo caso ogni danno sarà il danno alla circolazione idrica superficiale e profonda limitata a quel bacino; ma, anche in questo caso, ogni singolo evento indicato nei capi di imputazione sarà solo una parte di un dissesto più ampio e che va al di là del singolo fatto. Dico questo intanto perché è vero, e poi per la sua valenza in termini di prescrizione. Sarebbe errato giuridicamente, e non corrispondente a quanto emerso nel dibattimento circa la causazione dell’evento di cui stiamo parlando, se volessimo valutare ogni singolo fatto come una monade a sé stante.
Dimostreremo poi, via via, come in effetti i danni e le condotte che li causano siano di fatto ancora in atto e mai cessate dall’inizio della realizzazione di quest’opera.
Parleremo più in dettaglio solo dei principali impatti, anche se ogni punto acqua meriterebbe un capitolo perché racconta sempre una sua storia propria ed umana, e ciò proprio perché l’acqua è un bene prezioso e, soprattutto vitale nel senso termine più proprio della parola. Vitale perché permette, alimenta e sviluppa la vita intorno a sé. Per cui ogni punto veramente meriterebbe una storia, perché abbiamo sentito ogni testimone che aveva una storia personale, familiare. Ma qui dobbiamo andare un po’ per sintesi. Ed il dato di sintesi, comunque, è impressionante.
Secondo i consulenti del Pubblico Ministero sono stati impattati direttamente dai lavori significative aste fluviali con assenza di afflusso nel periodo arido per uno sviluppo di 57,65 chilometri. Tradotto, 57 chilometri di fiumi che d’estate non ci sono. E, voglio dire, che non siano chiacchiere basta vedere quelle fotografie dove c’è l’erba al posto dell’acqua. Sono in atti. Altri 24,35 chilometri di corsi d’acqua presentano un minor afflusso di acque come conseguenza di un impatto indiretto. A questi si devono aggiungere sorgenti impattate in numero non inferiore a 67, a cui si aggiungono 37 pozzi e 5 acquedotti privati.
Questi sono i danni. E verifichiamo i più significativi, sempre con quell’ottica che dicevamo prima della cronologia, che segue l’andamento dei lavori, perché ha una doppia valenza: da una parte perché prova l’evento, dall’altra perché ci dà prova della consapevolezza che si è acquisita di volta in volta in relazione ai singoli fatti.

1) ACQUEDOTTO PRIVATO DI CASTELVECCHIO E VISIGNANO; FOSSO CASTELVECCHIO (LUGLIO 1998) (GALLERIA RATICOSA); SORGENTI CASTELVECCHIO, ESTATE 1998, LE SPUGNE LOC. FOSSA CATERINA.

Abbiamo già detto della significatività dell’essiccazione dell’acquedotto di Castelvecchio. L’area è interessata dalle opere del Cantiere T17 relativamente alla galleria Raticosa. Su tali fatti testimoniano il Sindaco Mascherini (1), il geom. Micheli, il dr. Trezzini, A. B. e C. D., E. F., G. I., L. M., N. O., P. Q., R. S. e T. U.. Nello stesso periodo in cui si è seccata la sorgente si sono seccati anche il fosso di Castelvecchio, la sorgente “Le Spugne” in località Fosso Catilina, la sorgente denominata "Fonte del Rullo" posta sul versante opposto al Fosso Catilina sul monte denominato "Monte la Fine", e la sorgente denominata "Valtrosa", ed altra denominata “Valparpano”. Allo stato, grazie a CAVET, al posto dell’acquedotto privato e delle sorgenti, c’è un acquedotto gestito all'AMI (2) di Imola, con buona pace di chi - da tempo immemore - aveva acqua buona e quasi gratis.
Abbiamo già detto dell’importanza di questo impatto. In verità c’era già stato un impatto serio a Ca’ di Sotto, ma sicuramente quello di Castelvecchio è il primo serio e vero campanello d’allarme. E l’impatto che, anche a voler tutto concedere alla buona fede degli esecutori, dimostrava sin da subito l’inaffidabilità dei progetti, degli studi e delle previsioni.
Teste Micheli Luigi - Cioè, nel senso se, appunto, se quello che stava avvenendo, con i lavori in corso, metteva in evidenza come lo studio d'impatto ambientale all'epoca non aveva previsto questi impatti che poi si sono avverati.
È l’impatto che in ogni caso dimostra come da quel momento non ci potesse più essere la buona fede, visto che non era mai stato esplicitato come possibile e, una volta che comunque si era manifestato, CAVET, a seconda delle evenienze, lo ha negato, minimizzato, quando poi non ha addirittura deciso di contrattaccare con arroganza. In ogni caso sempre si è fuggiti dalla proprie responsabilità.
[...] Questo impatto [...] coinvolge proprio una delle specifiche caratteristiche, quella indicazione della Conferenza dei Servizi: acque di interesse acquedottistico, acque potabili. Quindi qui non c’è discorsi, spetta nella competenza di CAVET. Era una cosa da evitare, non era il pozzo di uno messo in cima [...]. E’ un acquedotto. Quindi siamo proprio nella previsione. Per questo si muovono tutti: Biagi, Trezzini... Ed il teste Micheli, poveraccio, si trova di fronte ad una cosa che (...) metteva in evidenza come lo studio, l’impatto ambientale all’epoca non aveva previsto questi impatti che poi si sono avverati. E quindi il primo impatto da cui proprio il fallimento delle previsioni era conclamato.
L’impatto a Castelvecchio lo documenta ARPAT (3). Sulla base delle ispezioni condotte dall'ARPAT nel primo semestre del '98, è risultato come i maggiori impatti ambientali sulle acque sotterranee del Mugello connessi all’AV "si sono avuti nel Comune di Firenzuola in prossimità della finestra Rovigo con abbassamento di falda di 13 metri rispetto all'ante-operam e scomparsa di alcune piccole sorgenti”. Sempre nel Comune di Firenzuola, presso la finestra di Castelvecchio, sono state registrate dall'ARPAT venute d'acqua con portate fino a 25 litri al secondo "correlabili al marcato abbassamento della falda (50 metri rispetto all'ante operam - piezometro di controllo) e ad una significativa diminuzione della portata di una sorgente di controllo".
Già nel ‘98 ARPAT e Comune di Firenzuola attestano dunque l’emergenza ambientale nell'area di Castelvecchio, con l’essiccazione di una sorgente privata che alimentava gli abbeveraggi del bestiame al pascolo e, soprattutto, il totale prosciugamento anche della sorgente (da lt. 44/minuto) che alimentava l'acquedotto comunale di Visignano e l'acquedotto privato di Castelvecchio, località che da quel momento si è dovuta rifornire con autobotti non senza difficoltà.
L'ARPAT infine costatava che in alcuni casi la portata delle acque di aggottamento risulta superiore a quanto ipotizzato nello Studio di Impatto Ambientale. E ravvisava la necessità che venisse effettuato un aggiornamento dello studio specifico relativo alle interferenze delle gallerie sulla risorsa idrica sotterranea.
E’ stato fatto qualcosa? No. E siamo nel ’98.





2) S. GIORGIO
Continuiamo, cambiamo zona. Passiamo dunque a S. Giorgio.
La gente comincia a preoccuparsi. Si attivano il Comune di Scarperia, Rodolfi (4), l’OAL. Comincia tutto uno scambio di corrispondenza. Ci sono segnalazioni. Insomma, mandano alla fine Rodolfi (4)a controllare [...]. Dalla "Relazione geologico-ambientale sul movimento franoso verificatosi in data 27.04.'98 in località Pianacci - San Giorgio nel Comune di Scarperia", a firma del prof. Giuliano Rodolfi, si desume che con una lettera del 28.4.’98, il Sindaco del Comune di Scarperia aveva segnalato all’OAL la “presenza di una frana in atto di notevoli proporzioni nel territorio di questo Comune in corrispondenza della finestra denominata S. Giorgio che presuntivamente può essere stata causata dalla perforazione della finestra stessa”. Facendo seguito a tale segnalazione, il prof. Rodolfi effettuava in data 29.4.'98 un sopralluogo preliminare nella località denominata Pianacci -San Giorgio al fine di "verificare le cause dello smottamento che potrebbe anche interessare l'alveo del Torrente Bagnone". Il giorno stesso, il prof. Rodolfi "denunciava al Sindaco lo stato di pericolosità del fenomeno e richiedeva nel contempo che gli fosse messa a disposizione tutta la documentazione progettuale della "finestra". Un secondo sopralluogo, finalizzato ad un rilevamento di dettaglio della situazione, fu effettuato in data 2.05.98. La documentazione richiesta, completa di planimetrie, sezioni e dati stratigrafici e geotecnici, si rese disponibile" soltanto "ai primi di Giugno e fu oggetto di un esame collegiale del Comitato Tecnico-Scientifico (CTS) dell'OAL nella seduta del 9.6.98. Nel frattempo era pervenuta all'OAL la relazione sulla stessa frana (prot. 10526 II HA1) redatta dal Dott. Geol. Stefano Mirri dell'Ufficio del Genio Civile di Firenze. Il CTS ne prese atto e sospese ogni iniziativa in merito, nell'attesa di essere autorizzato dal Sindaco di Scarperia a superare il parere espresso da tale Ufficio, istituzionalmente competente in materia".
Una ulteriore richiesta del Sindaco all'OAL (lettera raccomandata del 23.07.98, prot. 9361) autorizzava definitivamente il dott. Rodolfi nella sua qualità di geologo e di Presidente del CTS a formulare le considerazioni che seguono e che si basavano sulla documentazione messa a disposizione da CAVET e al rilevamento topografico appositamente eseguito dalla struttura tecnica di supporto dell'OAL. Secondo il prof. Rodolfi, “il movimento franoso ha interessato un breve tratto dell’orlo della scarpata, allungata in direzione Nord-Sud, che sovrasta il corso del Torrente Bagnone all’altezza dell’abitato di San Giorgio (…) Nel corso del sopralluogo è stato intervistato il pensionato che curava più o meno giornalmente l’orticello sul ripiano sul quale si è depositato il corpo di frana. A suo dire, da tempo si avvertivano vibrazioni del suolo (…) Si ritiene che la principale causa che ha innescato l’evento franoso risieda nelle sollecitazioni trasmesse a terreni in già precario stato di stabilità, in un primo momento dalle operazioni di scavo della galleria e, poi, dal continuo transito in essa di macchine operatrici o di automezzi pesanti”.
Perché tutta questa attività su S. Giorgio?
Perché il Sindaco e l'OAL si erano attivati sulla base dell'apprensione manifestata da alcuni di agricoltori della zona, dopo le perforazioni eseguite dal CAVET. Si temeva che lo scavo della galleria potesse causare dissesti suscettibili di danneggiare gli immobili, e che con i drenaggi dell'acqua nel sottosuolo i terreni potessero perdere la fertilità dovuta alla presenza dell'acqua anche durante l'estate. Timore confermato dopo un sopralluogo svolto il 28.9.'98 in Località Campagna, all’esito del quale si evidenziava che l’escavazione per il tracciato AV potesse drenare “l’acqua da una grossa sacca dove si trova mista a sabbia, sacca trovata durante le perforazioni effettuate per conto della CAVET”, e che essa potesse “causare dissesti geologici che danneggino gli immobili”.
A S. Giorgio eravamo – perché non lo siamo più - in presenza di terreni dotati di una particolare fertilità, “dovuta alla presenza del livello della falda d’acqua a poca profondità, condizione che aggiunta alla presenza di un terreno con un’importante percentuale di sabbia nella sua struttura permette di coltivare il mais durante il periodo estivo senza ricorrere a nessun tipo d’irrigazione di soccorso”. Qui, nonostante lo stato di calamità e siccità riconosciuta dalla Regione Toscana per la carenza di pioggia durante il 1998, il mais era rigoglioso e non manifestava di aver subito nessuna crisi idrica. Ci si riferisce, tanto per chiarirsi, al mais del sig. A. C..
Credo che tutti si ricordino la testimonianza del sig. A. C., particolarmente toccante. Nella nostra ignoranza ed insensibilità dovuta al fatto di fare un lavoro diverso da quello dell’agricoltore, noi pubblici ministeri mai avremmo potuto immaginare un amore tale per la terra, per ogni singola zolla.
Teste A. C. - All’inizio del ’99, in particolare intorno ad aprile ’99, noi siamo stati avvisati… ricordo bene che era un giorno festivo perché non vado mai ma ero andato a mangiare una pizza insieme ai parenti, mi telefona mio fratello alle dieci di sera, un giorno festivo, dicendomi di stare attento a tornare a casa perché si erano verificate delle perdite d’acqua dove si costruiva la galleria e essendo la sera tardi, non sapendo esattamente dove fosse riportato sopra il fronte di scavo, ci avevano avvisato di fare attenzione perché poteva manifestarsi qualcosa in superficie.

Cioè, vorrei che ognuno facesse - sennò diventa una litania, diventa veramente una noia - vorrei che ognuno facesse un esercizio di stile, provasse a pensare se fosse successo a lui. Quello sta lì, non so da quanti anni, poi vedremo. A. C. è quello che si va riprendere i primi dieci centimetri della terra, del suo terreno, perché gli voleva tanto bene. Quello sta lì, ti telefonano: “Forse succede qualcosa. Stai a mangiare una pizza? Stai attento quando torni a casa, potresti cadere in una buca”. Non si sa dove, potrebbe succedere qualcosa. È tutto più o meno così. Abbiamo sentito cento testimoni: il livello di informazioni, il livello di attenzione è questo, non è che è un caso eccezionale. Anzi. Ed ormai la gente è abituata a tutto, sostanzialmente quasi sempre se la tiene, è rassegnata. Dice: “Stai attento”.
Teste A. C. - La mattina dopo prontamente subito arrivarono dei tecnici, individuarono dov’era il fronte di scavo, ma successivamente, circa sette giorni dopo, si verificò anche il crollo del terreno, però molto più avanti della strada da dove magari pensavano di essere.
Pubblico Ministero - E’ vostro il terreno?
Teste A. C. - Sì.
Pubblico Ministero - Il vostro terreno è quello coltivato a mais?
Teste A. C. - Quello coltivato a mais.
Pubblico Ministero - Ecco, mi dice che cosa è successo a questo terreno coltivato a mais?
Teste A. C. - Io non sono sufficientemente edotto a dire che cosa è successo sotto il terreno…
Pubblico Ministero - No, cosa ha visto.
Giudice - Sopra, ci dica sopra, che si vedeva.
Teste A. C. - Sopra il terreno praticamente si è verificato, la prima volta mi pare agli inizi di maggio del ’99, un piccolo buco, cedimento di un terreno, che man mano si è allargato e poi immediatamente c’è stato l’intervento da parte della Cavet che ha provveduto a mettere in sicurezza; poi è passato un po’ di tempo perché hanno dovuto… non so che cosa sia successo però è stato recintato tutta un’area che più o meno aveva una superficie inizialmente di circa tre ettari e su questa area hanno costruito dei pozzi artesiani per prosciugare il terreno perché dicevano che altrimenti non potevano costruire la galleria.
Pubblico Ministero - Ecco, ma questo terreno è calato?
Teste A. C. - Sì, è calato, cioè si è sgonfiato praticamente, ha cambiato la conformazione, le pendenze che c’erano inizialmente.
Pubblico Ministero - Ce lo spieghi. Prima che cos’era, era pari?
Teste A. C. - No, una zona che comunque era sull’asse galleria si è creato come una buca.
Pubblico Ministero - Profonda quanto?
Teste A. C. - Allora, anche qui bisogna differenziare fra quelli che sono stati degli assestamenti e quindi degli avvallamenti che potevano essere di circa da un metro a due metri in quella zona dove s’era verificata la prima rottura del terreno…
Pubblico Ministero - Il buco.
Teste A. C. - … il primo buco e subito chiuso; mentre nel secondo caso, quando è venuto il buco che io ho visto era un buco più profondo che è stato richiuso immediatamente e quello sarà stato circa una decina di metri profondo; e così anche nel terzo caso.
Pubblico Ministero - Voi lo usate questo terreno ora?
Teste A. C. - Attualmente sì, c’abbiamo già rilavorato su questi terreni, sono stati rimessi a posto.
Pubblico Ministero - ‘Rimessi a posto’ in che senso?
Teste A. C. - È stato chiuso i pozzi, ne sono stati lasciati solo due perché uno ancora alimenta la sorgente se no altrimenti attualmente non è stata fatta una soluzione diversa, è stato ripristinato i campi in piano e poi dopo è stato rimesso il terreno e poi abbiamo rilavorato.
Pubblico Ministero - Questi lavori tutti chi li ha fatti?
Teste A. C. - La Cavet ha fatto sempre il ripristino di tutte le cose che erano di loro competenza, io ho rimesso solo l’ultima parte della terra perché avevo piacere di togliere quella che era la mia su cui avevo sempre lavorato quindi me la sono voluta togliere da solo e rimettere a posto da solo, l’ultima parte superficiale, perché mi premeva in quanto era terra buona e non volevo che venisse mescolata a un’altra.
Pubblico Ministero - Senta, di queste cose lei è stato avvisato nell’immediatezza di quando sono avvenuti i fatti, non è che quando si parlava dei lavori dell’Alta Velocità lei ha avuto qualche ordinanza, qualche provvedimento dell’amministrazione, qualcuno che le ha detto ‘guardi, succederà questo’.
Teste A. C. - Allora, io su questo devo dire che l’anno precedente siccome mi sono informato su quali erano le strutture a cui ci dovevamo rivolgere mi sono rivolto all’Osservatorio Ambientale Locale un anno prima insieme alla signora D. preoccupati visto il passaggio di questo progetto abbastanza grosso della costruzione dell’Alta Velocità… preoccupati per le strutture, gli immobili, credendo che potevano subire dei danni. Quindi siamo andati all’Osservatorio Ambientale Locale, abbiamo chiesto un sopralluogo, è venuto il tecnico dell’Osservatorio Ambientale e ha ritenuto necessario fare dei testimoniali di stato e c’ha fatto la richiesta per avere i testimoniali di stato che sono stati immediatamente fatti… questo era luglio, credo che nel settembre ‘99 furono fatti i testimoniali di stato. Nei testimoniali di stato fra le osservazioni avevo indicato la preoccupazione per la fertilità dei terreni, perché se per le strutture immobili si potevano fare i testimoniali di stato, Cavet non prevedeva niente per quella che era la fertilità dei terreni; io comunque nei testimoniali di stato feci verbalizzare questa mia richiesta di un geologo che verificasse anche queste cose qua. Successivamente feci anche, sempre all’Osservatorio Ambientale, una richiesta preoccupato per la fertilità dei terreni in quanto era emerso da un sondaggio che sembrava che ci fosse qualche problema… parlavano che ci sarebbero state delle difficoltà perché c’era una sacca di acqua… questo avevo sentito dire.
Pubblico Ministero - Sotto il suo terreno.
Teste A. C. - Più a monte però, vicino al bosco, questo fu individuato vicino al bosco, però ovviamente non distante né dalle strutture né tanto meno dai terreni che erano lavorabili, e comunque sia nella zona della sorgente; per esperienza io sapevo che comunque questi terreni son freschi perché questa era un’esperienza indotta in quanto sono anni che io lavoravo su questi terreni quindi avevo fatto un sacco di drenaggi dove c’era molta acqua ma soprattutto, a volte, anche facendo arature con poco si trovava l’acqua.
Pubblico Ministero - Ecco, questa cosa era buona per il mais?
Teste A. C. - Certamente, infatti io quello che ho sempre detto è che la mia azienda riusciva in questi terreni a fare dei raccolti come irrigui, tant’è che io anche nel ‘99 feci fare anche una perizia da un tecnico sulla mia produzione rispetto alla produzione di un’altra zona.
Pubblico Ministero - E’ esatto dire che lei non c’aveva bisogno neanche di annaffiare?
Teste A. C. - Esatto, esatto, non solo la mia azienda ma anche quelle degli altri agricoltori che erano lì in quella valletta.
Pubblico Ministero - Per questo lei dice ‘io ci tenevo a questa terra’…
Teste A. C. - Esatto, esatto.
Pubblico Ministero - … cioè tutto il discorso sulla qualità e quant’altro perché il mais che assorbe molta acqua in quel caso a lei praticamente gli veniva quasi naturale perché c’era già l’acqua.
Teste A. C. - Certo, certo, io non avevo bisogno di fare l’irrigazione, anche se là da noi la portata del fiume più vicino - che era il Bagnone - non era sufficiente per fare l’irrigazione, comunque sia non avevo necessità di fare irrigazione.
Pubblico Ministero - Quindi addirittura un allacciamento col fiume Bagnone non sarebbe bastato per ottenere gli stessi risultati.
Teste A. C. - No, non si poteva ottenere lo stesso risultato.
Pubblico Ministero - E ad oggi?
Teste A. C. - Dunque, ad oggi la mia azienda irriga, cioè ha avuto una licenza di attingimento temporaneo d’irrigazione in quanto la Cavet ha immesso acqua nel Bagnone e quindi c’era sufficiente acqua per chiedere un permesso di irrigazione; essendo stata impattata in modo abbastanza importante quindi io ho dovuto effettuare l’irrigazione, quindi oggi se voglio ottenere lo stesso prodotto devo fare l’irrigazione.
Pubblico Ministero - Paga per quest’acqua?
Teste A. C. - Il canone annuo.
Pubblico Ministero - Quindi lo paga.
Teste A. C. - Sì sì.
Pubblico Ministero - Quindi lei per ottenere lo stesso risultato paga un canone che è questo dell’allaccio al Bagnone e poi deve annaffiare.
Teste A. C. - Devo annaffiare altrimenti non ottengo lo stesso risultato.
Pubblico Ministero - Mentre prima questa cosa andava di suo. E in più c’ha questo avvallamento, se ho capito bene, il terreno è più basso di prima?
Teste A. C. - Fuori anche dalle zone interessate, perché anche dove ha attraversato tutta la galleria si notano un po’ di assestamento io direi, non eccessivamente però…
Pubblico Ministero - Ma non capita più di ritrovare quest’acqua affiorante?
Teste A. C. - No, situazione come prima… ora non lo so, è poco tempo che rilavoro, può darsi che ancora sia passato poco tempo dalla costruzione della galleria e quindi fra qualche anno… io non lo so se fra qualche anno ritornerà a no lo stesso.
(...)
Pubblico Ministero - Lei ha sempre detto che comunque è stato avvisato da Cavet, Cavet è venuta, Cavet ha fatto… quindi è stato lei ha interpellarli o sono anche venuti di suo? O lei si è limitato ai rapporti con l’OAL?
Teste A. C. - No, il Cavet è stato costretto a intervenire d’urgenza sui nostri terreni quindi è venuto Cavet a cercarci chiedendoci il consenso di entrare sui terreni per rimettere in sicurezza la galleria perché c’era un problema di sicurezza della galleria.
Pubblico Ministero - Quindi dal problema di galleria è arrivato che è venuto lui da voi insomma, è venuto Cavet da voi.
Teste A. C. - No, dipende in che situazioni, per esempio c’è stata una situazione prima ancora che si verificassero questi fatti che siccome noi sentivamo delle vibrazioni in certi momenti, soprattutto la notte e poi anche in altri momenti, capitò che una volta di domenica mattina… che se non ricordo male doveva essere il 18 aprile ‘99… capitò che queste vibrazioni erano talmente forti lì vicino alla stalla, e s’erano verificate anche delle crepe alla stalla nei giorni precedenti, si sentiva talmente forte vibrare che a quel punto io chiamai anche la signora D., c’era la mamma, venne e sentì anche lei, e insieme decidemmo di chiamare l’Osservatorio Ambientale per far sentire anche a qualcun altro… cioè non era noi che ci si sognava, perché a volte l’avevo anche detto in altre occasioni ma sembrava fossi io perché gli altri non le sentivano… quindi si chiamò l’Osservatorio Ambientale il quale si accertò di queste vibrazioni e ci invitò a contattare immediatamente il cantiere CAVET che di domenica venne il responsabile che era di turno e anche lui verificò queste vibrazioni e quindi ci volle portare a vedere che cos’era che causa questa vibrazioni, perché loro stavano lavorando in galleria e quindi ci fece vedere…
Dunque A. C. è quell’agricoltore cui sprofonda il terreno. Quel terreno che il vicino dice sembrava essere diventato una piscina vuota.
E cosa fa A. C. dopo che gli si sprofonda il terreno? Si mette lì e raschia il primo strato di terra per riportarla su un altro terreno perché “era terra tanto buona”.
Teste A. C. - La CAVET ha fatto sempre il ripristino di tutte le cose che erano di loro competenza, io ho rimesso solo l’ultima parte della terra perché avevo piacere di togliere quella che era la mia su cui avevo sempre lavorato quindi me la sono voluta togliere da solo e rimettere a posto da solo, l’ultima parte superficiale, perché mi premeva in quanto era terra buona e non volevo che venisse mescolata a un’altra.
Ecco cosa temevano gli agricoltori. Conoscendo le loro ottime terre temevano di perderle. E purtroppo non sbagliavano.

Torniamo un passo indietro.
Il 6.10.'98 l'Osservatorio Ambientale Locale (O.A.L.) del Mugello segnalava al sindaco di Borgo San Lorenzo "la presenza di una grossa sacca composta da sabbia e acqua" sulla traiettoria della galleria A.V., aggiungendo che "tutta l'area ai piedi della collina è storicamente ricchissima di acqua". Il tecnico dell'OAL terminava la propria segnalazione al sindaco di Borgo San Lorenzo con questa frase: "Ritengo che la situazione, per le implicazioni che potrebbero manifestarsi in caso di una eventuale modifica della "sacca di acqua e sabbia", debba essere valutata urgentemente, responsabilmente e seriamente, dal punto di vista geologico".

Il 20.10.'98 il sindaco di Borgo San Lorenzo, Antonio Margheri, rispondeva chiedendo al presidente dell'OAL, prof. Giuliano Rodolfi, un approfondimento della problematica evidenziata. All'OAL il sindaco chiedeva inoltre "di coinvolgere anche l'ARPAT e il CONSIAG, qualora si ritenga, come sembra, che il fenomeno abbia implicazioni anche sulla risorsa idrica".

Il 6.11.'98 il prof. Rodolfi, dopo il sopralluogo, rispondeva al sindaco Margheri, e per conoscenza al presidente della Comunità Montana del Mugello Giuseppe Notaro: “In mancanza di dati sulla distribuzione in superficie e in profondità della granulometria dei depositi suddetti, non risulta possibile ricostruire, nemmeno approssimativamente, né la struttura della falda né le sue relazioni con il corso del Torrente Bagnone. Altrettanto arduo è stabilire se il tracciato della galleria interesserà, nel suo tratto che corrisponde in superficie all’attraversamento della piana del Bagnone, i sedimenti lacustri o i depositi alluvionali che li sovrastano e, quindi, se questo si troverà a interferire o meno con gli acquiferi presenti. Risultano pertanto fondati i timori dei residenti, che potrebbero rimanere privi di una risorsa alla quale la loro attività è strettamente vincolata. Pertanto, lo scrivente ritiene indispensabile e di estrema urgenza, prima che il progredire dei lavori di scavo possa creare situazioni irreversibili, l’organizzazione di una campagna geognostica, ad integrazione di quella che risulta già svolta da CAVET, volta ad accertare le relazioni sopra illustrate. Tale campagna, consistente in un raffittimento dei sondaggi già eseguiti, dovrebbe servire anche per porre in opera una rete di monitoraggio continuo, mediante piezometri, del comportamento della falda durante la progressione dei lavori in galleria”.
Quanto ai soggetti da coinvolgere, il prof. Rodolfi aggiungeva: "Lo scrivente concorda pienamente nel porre il problema all'attenzione degli Enti preposti al controllo dell'ambiente (ARPAT) e delle acqua (CONSIAG); si domanda, però, se tale iniziativa non spetti, piuttosto che all'OAL, ad una delle Amministrazioni competenti per territorio". Cosa hanno deciso di fare al riguardo CAVET, le Amministrazioni Locali, l'Osservatorio Ambientale nazionale? E’ stato fatto qualcosa di queste indicazioni? La risposta è nei fatti. No. Qualcuno ha avvisato A. C. che non fosse il giorno in cui è avvenuto il fatto? No. Qualcuno ha tutelato A. C.? No. E’ uno Stato di diritto? Non credo. Uno Stato di diritto queste cose non le permette. E se non le permette, come credo che nessuno le abbia potute permettere, vanno sanzionate. Perché sennò vorrebbe dire che hanno fatto bene a fare quello che hanno fatto. E per questo c’è il processo. Dobbiamo spiegare agli imputati perché sono in questo processo, questo è un caso per cui si giustifica questo processo.
Quindi non è stato fatto nulla, tant’è vero che sei mesi dopo A. C. torna a casa e deve stare attento perché se no cade in una buca.
Risulta che sei mesi dopo il primo allarme tecnico, il danno ambientale preannunciato si è verificato.
Si verifica quello che A. C. ha testimoniato aver visto. Si verifica quello che risulta dal rapporto dell'ARPAT sui lavori per l'Alta Velocità e datato 20.5.'99 e che attesta la nuova emergenza ambientale di una galleria invasa dall'acqua e precipitosamente evacuata; una perdita di almeno 300.000 ettolitri di risorsa idrica; con danno non solo per l'economia agricola del Mugello, ma anche per l'approvvigionamento idrico del paese di Luco e degli insediamenti prossimi alla galleria.
Il tutto attribuibile a quella che l'ARPAT definisce una "fase di progettazione esecutiva" che "non ha probabilmente raggiunto il dettaglio necessario". Sempre prudente ARPAT. Dopo lo sfacelo dubita ancora che la progettazione esecutiva “non ha probabilmente raggiunto il dettaglio necessario”.
Vediamo i dettagli del rapporto del 20.5.'99 dell'ARPAT, a firma Dr. S. Rossi, Dr. P. Biancalani, e Direttore Generale Dr. A. Lippi. "Il giorno 25/4/99, durante una sosta delle operazioni di scavo del fronte, in maniera del tutto inaspettata, a circa 2 m dalla base del fronte di scavo, in prossimità del piedritto destro, si manifestava una concentrata e consistente venuta di acqua torbida e sabbia, con una portata stimata intorno ai 50 l/sec.. La presenza di una considerevole quantità di sabbia ha messo fuori uso il sistema di decantazione depurazione, intasando le pompe, causando il fluire dell'acqua in galleria che, data la pendenza lato Firenze, ha iniziato ad allagare la zona del fronte di scavo opposto impregnando i limi e mettendo in crisi il sistema di centine utilizzate per il sostegno ed il contenimento provvisorio nelle zone della calotta e dei profili estradosso".
Tre giorni dopo, è ancora l'ARPAT a farlo sapere, "la venuta di acqua torbida, pur con una portata inferiore (25/30 l/sec.) ed un minore carico solido, era sempre attiva".
Dieci giorni dopo, cominciano a essere apprezzati anche gli effetti in superficie: "a circa 100 m a NNE del fronte di scavo si era creato un avvallamento del terreno con un diametro approssimato di quasi 20 m ed una profondità massima di 40 cm, certamente legato al dislocamento del materiale solido in galleria". Da notare che la galleria corre a ben 40 m al di sotto del piano campagna! "L'area della depressione, informa l'ARPAT, è stata sottoposta a monitoraggio per verificare l'evolversi dell'avvallamento". E "allo stato attuale (14 maggio) la venuta di acqua non é cessata, anche se si è ulteriormente ridotta passando a circa 10 l/sec.".
Una stima molto cauta, ricavata moltiplicando i dati forniti dall'ARPAT per il tempo trascorso, permette di stabilire che la fuoriuscita di acqua e sabbia dalla galleria di S. Giorgio è stata, nei primi 19 giorni registrati nel rapporto ARPAT, di oltre 300.000 ettolitri. Un'enorme risorsa gettata via. Diventata anzi un grave fattore di inquinamento. È ancora l'ARPAT a scrivere che "l'immissione di notevoli quantità di acqua con un elevato contenuto di materiali solidi nel torrente Bagnone ha determinato il deposito di una notevole quantità fango nell'alveo con un indubbio danno biologico". Che si tratti di una vera e propria emergenza lo attesta l'ammissione che "allo stato attuale è impossibile, per motivi di sicurezza, interrompere l'emungimento delle acque della galleria".
Nel paragrafo dedicato alle "considerazioni", l'ARPAT scrive di ritenere, come abbiamo sopra evidenziato, "che, alla ripresa della escavazione, l'avanzamento dei fronti debba procedere di pari passo con una ricostruzione dettagliata della stratigrafia e dei rapporti geometrici fra le varie formazioni geologiche che, in fase di progettazione esecutiva, non ha probabilmente raggiunto il dettaglio necessario".
Nei mesi successivi le intercettazioni della falda, in quella stessa località (Luco di Mugello), ha provocato cedimenti di terreno profondi fino a 7 metri a distanze anche di 70 metri dal fronte di scavo del tunnel.

1) Renzo Mascherini, allora sindaco del Comune di Firenzuola (FI).

2) AMI, acronimo di “Azienda Multiservizi Intercomunale” di Imola, dal 1 gennaio del 1996 si è trasformata in Consorzio Pubblico di cui sono soci 23 Comuni serviti e TE.AM. di Lugo. I comparti di attività dell’azienda sono: energia, acqua, igiene ambientale, farmacie comunali (dal sito web http://www.ami-consorzio.it/cea.htm).

3) ARPAT è acronimo di “Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana”.

4) Il prof. Giuliano Rodolfi, ordinario di Geografia fisica presso l'Università di Firenze, è presidente del Comitato Tecnico-Scientifico (d’ora in poi anche “CTS”) dell'Osservatorio Ambientale Locale (d’ora in poi anche “OAL”) sui lavori per l'Alta Velocità ferroviaria, istituito dalla Comunità Montana del Mugello.

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