TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

mercoledì 4 marzo 2009

Oltre il giardino. Esplode la bolla irlandese

da il corriere.it
Irlanda, il mito europeo fa crac

Oltre 100 mila persone sono scese in piazza a Dublino per protestare contro i tagli decisi dal governo

Dal nostro corrispondente Fabio Cavalera

LONDRA - «Consumata dal consumismo». La signora Mary McAleese, presidente dell'Irlanda, ha spiegato con queste parole il crollo della Tigre Celtica. Avendo alla spalle due professioni come quelle di avvocato e di giornalista, Mary McAleese, in carica ormai da una dozzina d'anni, ha saputo sintetizzare con efficacia ciò che è accaduto in un Paese considerato fino a qualche mese fa un «esempio virtuoso» per tutta quanta l'Europa. Dublino si è ritrovata, di punto in bianco, a dovere ripartire da zero: aveva scalato le classifiche delle migliori performance economiche a livello continentale (il suo Pil fino al 2007 cresceva annualmente del 7 per cento) ma, alla fine, si accorge che è stata solo una finta. Una gigantesca bolla che una volta scoppiata lascia in eredità un cumulo di macerie.
È vero, gli irlandesi negli ultimi dieci anni hanno consumato come pochi altri al mondo. Ma, in maniera speculare, si sono pure indebitati come pochi altri al mondo. «Consumati dal consumismo», analisi impietosa che calza alla perfezione. Le stime ufficiali dicono che, mediamente, ogni contribuente è oggi scoperto per 100 mila euro. La montagna complessiva, per i quattro milioni di cittadini della Repubblica, è dunque di 400 miliardi di euro. E, siccome sono soldi che non si vedranno mai più, lo Stato deve correre ai ripari perché l'effetto moltiplicatore è drammatico. Le sei banche più importanti hanno concesso mutui e prestiti come coriandoli, alimentando il sogno di un boom immobiliare che si è materializzato nella costruzione di 128 mila nuovi edifici nell'arco di un biennio (2005-2007). Un cantiere gigantesco, simbolo di un'Irlanda che si presumeva prospera e felice. Invece, gli istituti di credito sono con l'acqua alla gola. La Anglo-Irish Bank è stata nazionalizzata a metà gennaio nel giro di un pomeriggio e con un comunicato del ministero delle Finanze: «Dopo un consulto con il consiglio di amministrazione, l'esecutivo ha deciso di effettuare i passi necessari alla nazionalizzazione». Per le altre cinque banche più importanti lo Stato ha messo sul piatto, fra l'autunno e l'inverno, una decina di miliardi di euro.
Una terapia d'urto per evitare il crac. Ma il pozzo è senza fine. E non passa giorno senza che il bollettino della disfatta non si arricchisca di nuovi dettagli. Persino le scorte di gas e petrolio sono di molto sotto ai livelli di guardia. Se dovesse trovarsi alla prese con una crisi energetica, l'Irlanda avrebbe autosufficienza per una cinquantina di giorni (contro i novanta suggeriti dalle istituzioni internazionali) poi si fermerebbe. Il Times di Londra ha scritto, citando uno studio del ministero dell'Energia, che il Paese «non sopravviverebbe». Discorsi teorici perché nessuno abbandonerebbe mai Dublino al suo destino (e l'Europa dà l'esempio, nonostante il referendum col quale gli irlandesi nel giugno del 2008 hanno bocciato la ratifica del Trattato di Lisbona) ma la Tigre celtica, per tornare alla metafora più in voga, ha perso gli artigli e forse qualcosa di più.

L'economia sembrava viaggiare che era una meraviglia. Dal 1995 in poi il tasso di disoccupazione era sceso da uno spaventoso 20 per cento a tassi (4,5 per cento nel 2006) di gran lunga migliori a quelli delle potenze industriali. L'innovazione e lo sviluppo non erano due parole magiche da inseguire ma, semmai, bandiere da sventolare. L'Irlanda era un motore che stava funzionando a pieno regime. «Prendete esempio», raccomandava il Fondo monetario. All'improvviso il giocattolo si è rotto, diventando il paradigma nella Ue, del terremoto globale. Alle spalle del boom nell'economia reale vi era una sconfinata palude di sofferenze finanziarie, una ricchezza più fittizia che materiale. I segnali sono comparsi all'inizio del 2008 quando i soldi non c'erano più. Se fino ad allora, con le migliori acrobazie, le banche erano riuscite a nascondere i buchi in bilancio, a quel punto la piaga si è aperta. La circolazione del credito si è interrotta, i debitori hanno dichiarato la loro insolvenza, le aziende sono asfissiate. E L'Irlanda da «esempio virtuoso» si è ritrovata ad essere la prima «malata» in Europa.

Ottobre 2008, dopo due trimestri negativi, Dublino dichiarava la recessione. La recessione per gli irlandesi equivale alla carestia, l'effetto psicologico è stato pesantissimo. Il 29 settembre la Borsa precipitava di quasi il 13 per cento. Una valanga. Le crisi hanno un percorso: l'ultimo gradino è la ricaduta sul lavoro e la società. Va in tilt il credito, si bloccano le imprese, partono i licenziamenti. La ex Tigre Celtica è stata travolta ed è nel mezzo della bufera. Il governo deve somministrare medicine amarissime: il premier Brian Cowen a metà febbraio ha presentato un piano da lacrime e sangue, due miliardi di euro da risparmiare entro il 2009, 15 entro il 2010. Dunque: per i dipendenti pubblici (compresi poliziotti, vigili del fuoco, insegnanti e spazzini) taglio medio delle retribuzioni del 7 per cento, tariffe al ribasso per i medici, riduzione dei sussidi per i figli più piccoli. Il sindacato è insorto e in piazza, cronaca della scorsa settimana, si sono visti a Dublino più di 100 mila manifestanti. Arrabbiati. «A noi portano via i soldi e alla nostra presidente?». Già, la signora Mary McAleese che, si sussurra (ma le cifre sono state pubblicate senza smentite), manterrebbe uno stipendio da 29.700 dollari al mese. Record o quasi fra i capi di Stato. La ex Tigre Celtica ha il morale davvero giù. A consolarla non bastano più la birra Guinness e il nuovo disco degli U2, mito nazionale e internazionale, appena uscito. I tempi sono cambiati. Al pub non si canta..

04 marzo 2009

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