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La mer, la fin...

giovedì 12 marzo 2009

Politica. PD, si alleva una generazione di bamboccioni?

Se il loro modello è Renzi...
MV

da il Tirreno del 12/03/09
Così giovani e già così vecchi...

Bravi, colti, impegnati ma senza grinta: l’identikit dei Pd boys

Diventeranno una Castina? «Dipende da noi, bisogna avere voglia di fare come Renzi»
MARIO LANCISI E GABRIELE FIRMANI

FIRENZE. I loro padri hanno fatto il Sessantotto. Tirato le molotov. Occupato le chiese. Manifestato per il Vietnam. Loro - i figli politici dei D’Alema, dei Veltroni, dei Franceschini - navigano nella Rete, mandano messaggi su Facebook, sognano magari anche un futuro in politica. Bravi, colti, tecnologici e perbene ma senza la forza di osare. Non contestamo, ma appaiono remissivi, silenziosi. Con il rischio, così giovani, di essere già vecchi, troppo maturi e realisti.
«Stanno nei luoghi della politica in attesa degli scranni istituzionali. Ma chi il posto lo aspetta sarà sempre conformista e mai un leader», dice severo il senatore livornese Marco Filippi, 45 anni. Che però li assolve, i giovani Pd delle nuove generazioni (vedi intervista a parte).
I Manciulli boys. Eppure il dopo Veltroni li riguarda. Il futuro del Pd passa da loro. Dai Manciulli boys. Giovani come Patrizio Mecacci, 25 anni, segretario regionale dei giovani democratici, come Cecilia Pezza, 23 anni e l’empolese Brenda Barnini, approdati alla politica attraverso il Social Forum e i cortei contro la Moratti. E poi c’è la generazione degli under 21 che hanno scoperto il Pd nelle primarie per Veltroni o nelle occupazioni contro il ministro della Pubblica istruzione Gelmini. Come Jonni Guarguaglini, 18 anni, Volterra, responsabile dei giovani demoratici per i problemi della legalità. O Alessio Arzilli, 19 anni, empolese, che non ha letto La Casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, ma invoca che «chi fa politica deve essere moralmente pulito» e si dichiara d’accordo con Di Pietro e le sue battaglie contro i parlamentari con la fedina penale sporca. O Ginevra Paini, 21 anni, responsabile della federazione giovanile di Piombino, e Riccardo Trallori, 21, coordinatore provinciale dei giovani democratici di Pistoia.
La nebbia del Pd. «Giovani che non osano? Il problema è che nel Pd non sono chiare le posizioni. Chi è approdato al Pci negli anni Settanta sapeva con chi schierarsi perché Ingrao, Amendola e Berlinguer erano leader che rappresentavano linee politiche chiare e diverse. Ma oggi non è così», osserva Mecacci, che lavora nello staff di Manciulli (si occupa di lavoro e guadagna mille euro al mese).
Per capire il mondo dei giovani, Mecacci e i giovani democratici toscani lanceranno martedì prossimo una campagna di interviste su scala regionale. «Andremo a chiedere ai giovani i loro problemi e la voglia di spendersi per il cambiamento», spiega.
D’Alema è il Massimo. La maggior parte dei giovani del Pd stravede per D’Alema. La Pezza, cattolica, che alle primarie fiorentine ha appoggiato il dalemiano Michele Ventura, non ha mai nascosto le simpatie per D’Alema. Così come Giulio Francesconi, 22 anni, coordinatore provinciale dei giovani democratici a Massa Carrara: «D’Alema? L’ho sempre ammirato sin da piccolo». Anche Sara Caporaso, 21 anni, studentessa, esponente nazionale dei Giovani democratici: Veltroni o D’Alema? D’Alema ovviamente». Mentra Corinna Pugi, 19 anni, fiorentina, vota Fassino, «un uomo che ha dato tanto al partito», e come leader nazionale non gli dispiacerebbe Pierluigi Bersani.
Sognando Renzi... Giovani che alla guida del Pd difficilmente sognano un altro giovane come Martina o Cuperlo. L’unico azzardo lo compie Arzilli che come segretario del Pd indica Matteo Renzi, 34 anni, che ha vinto le primarie fiorentine, sbaragliando la nomenklatura: «Se rischiamo di diventare noi stessi una Castina? Dipende da noi. Penso che i giovani dovrebbero prendere come esempio Renzi per la sua volontà di innovare. Sono rimasto colpito quando Renzi ha raccontato di essere stato accusato di non aver rispettato la fila degli aspiranti sindaci».
Tonino non ci piace. Di Pietro e Grillo non raccolgono grandi consensi. Tutt’altro. Sull’ex pm di Mani Pulite piovono molte critiche: «Offende il capo dello Stato un giorno sì e l’altro pure; porta avanti una politica vociata fatta per spot, che personalmente non condivido per niente», sottolinea la Caporaso. «Udc o Idv? Meglio allearsi con Casini perché è l’ora di finirla con questa litania dell’antiberlusconismo e del giustizialismo che ha dimostrato di non pagare in termini elettorali», risponde Francesconi. Infine Lorenzo Rocchi, 22 anni di Poggio a Caiano, osserva: «Non mi piace il misto di giustizialismo e populismo di Di Pietro».
Professione politico. Infine - sorpresa - chi l’ha detto che la politica come professione non piace ai giovani? Diversi giovani Pd sognano un futuro da sindaco, parlamentare, segretario di partito. «Sì, nella vita mi piacerebbe continuare a fare il dirigente di partito; penso non ci sia nulla di male a credere nell’idea di un partito strutturato. La politica ha dei costi e bisogna viverli con responsabilità», spiega Mecacci.
E Trallori ammette: «L’idea di diventare parlamentare credo resterà un sogno nel cassetto». Chissà...

da il Tirreno del 12/03/09
«Bamboccioni, però non è colpa loro»

Il senatore Filippi: i padri sono sempre lì, il ricambio è fallito

«Chi resta in attesa dello scranno sarà sempre conformista e mai un leader»


FIRENZE. «Giovani Pd così giovani e così vecchi? Può anche darsi, almeno in alcuni casi. Ma non è colpa loro. No, la responsabilità è dei loro padri». A difendere la generazione dei giovani del Pd under 23 ci pensa il senatore Marco Filippi, 45 anni, livornese. Perché li difende? «Intanto sono preparati, conoscono le nuove tecnologie e le lingue. E poi i giovani che si occupano di politica sono un tesoro da custodire, tutelare», risponde Filippi. Eppure si tratta di giovani mai fuori del coro. E’ come se avessero paura di osare. «Questo è vero, almeno in parte. Noto anch’io che non hanno capacità di scontro. Preferiscono mantenersi nell’ombra. Sono un po’ dei bamboccioni della politica. Però, ripeto, non è responsabilità loro», incalza Filippi.

E di chi è la responsabilità?
«Della generazione dei D’Alema e dei Veltroni. Di quella che ha fatto il ’68. Che anagraficamente è nata tra il 1946 e il 1955».
Anche lei contro la diarchia D’Alema-Veltroni?
«E’ una generazione che ha grandi meriti perché ha traghettato il Pci verso il Pd attraverso diverse fasi. Ha avuto coraggio, ha osato, ha subìto scissioni».
E ha portato la sinistra al governo.
«Esatto».
Dove sta la colpa?
«Fin qui grandi meriti. Poi però questa generazione ha bloccato il partito. A tutti i livelli. C’è la diarchia nazionale D’Alema e Veltroni, ma anche quelle sul territorio. In breve: questa generazione non ha preparato la nuova, non ha passato il timone».
Non c’è ricambio?
«Proprio così».
Ma anche i D’Alema e i Veltroni non sono arrivati al vertice per grazia ricevuta.
«Questo no, perché una volta nel Pci c’erano le scuole politiche e il gusto dei segretari di preparare le nuove generazioni. Basti pensare a Berlinguer. Che ha valorizzato i D’Alema, i Veltroni...».
Che fare?
«Forse la stagione di una generazione politica è davvero finita ma per quella successiva non ci sono né automatismi né imprimatur. Forse solo iniziative da assumere con coraggio e determinazione, ma anche con molta umiltà, calandosi in concreto nei problemi quotidiani dei più deboli con la volontà di trovare la soluzione insieme a loro. Ecco, se qualcosa rimprovero ai ventenni del Pd è di non calarsi nella realtà, di non sporcarsi le mani. Una volta i D’Alema e quelli della sua generazione venivano spediti in regioni e federazioni difficili a farsi le ossa».
Oggi invece?
«Oggi spesso si limitano a stare nei luoghi della politica in attesa degli scranni istituzionali. Ma chi il posto lo aspetta sarà sempre conformista e mai un leader». (m.l.)

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