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La mer, la fin...

sabato 21 marzo 2009

Prato. Cecchi dopo lo show

Gustosa, l'intervista a Cecchi...
MV

da il Tirreno del 21/03/09
La battaglia di Prato è appena iniziata

L’imprenditore Cecchi: «E ora, colleghi, basta approfittarsi della crisi»
Il decano dei rifinitori «Avanti su questa strada. Ma serve anche più moralità sennò lascio l’Unione»
PRATO. «Siamo commercianti di materie prime da tre generazioni. L’odore dei cenci l’ho ni’ sangue. Da piccina i’ babbo mi pigliava in collo e mi par di sentirlo ancora l’odore di rifinizione di lana mista. Caro signor Cecchi mi manca tanto la nostra Prato, ho pianto ieri sera vedendola, mi pareva il mio nonno. Grazie, ricorderò per sempre le sue parole perché io le ho ascoltate. La nostra dignità non si compra e non si vende. Quella non possono portarcela via». A scrivere queste righe per mail all’imprenditore Renato Cecchi è stata Francesca, 29 anni, ieri pomeriggio, dopo aver visto la trasmissione Anno Zero.
Renato Cecchi ne è stato uno dei protagonisti. Umanità, dignità, bisogno di aiuto. Questo hanno trasmesso le sue parole durante la trasmissione, oggi, oggetto di mille polemiche.
Cecchi, lei cosa pensa. Com’è andata?
«Bisogna ancora ribattere. Non bisogna mollare. Abbiamo avuto poco spazio per parlare e in trasmissione c’era gente che litigava senza sapere neppure di cosa stessimo parlando. E’ uscita una descrizione parziale della nostra città: dovevano far parlare il presidente degli industriali Riccardo Marini, il presidente degli industriali di Biella invitato a Prato. Anche lui avrebbe potuto parlare dimostrando che il problema del tessile è un problema reale. Mi ha detto che sarebbe disposto ad andare con le pezze davanti al parlamento europeo. E credo che anche Prato non si tirerebbe indietro. Mi ha chiamato un assessore per farmi i complimenti. E anche a lui ho detto “macché complimenti a me, qui ci servono soldi”».
E’ indubbio che è stato uno dei protagonisti indiscussi. Più volte il pubblico in fabbrica l’ha applaudita con forza.
«Vorrei dire che non cerco gloria ma lavoro. Anche la mia fabbrica senza lavoro è solo un monte di ferro vecchio. Ho voluto parlare del made in Italy e del fatto che c’è anche qui chi produce in Tunisia. E non mi piace avere nella mia stessa associazione chi fa questo tipo di concorrenza».
Si spieghi meglio.
«Io con la D’Avenza faccio abiti realizzati interamente qui. Italiane sono le stoffe, la manodopera, la confezione. E utilizzo il made in Italy. Non mi fa piacere di far parte di un’associazione dove ci sono imprenditori che facendomi concorrenza ledono i miei interessi. Ho fatto questo riferimento volutamente. E non lo nego: ho pensato, e penso, anche a lasciare l’Unione industriale. Avevo chiesto di affrontare questo problema già a Silvano Gori quando era presidente della Camera di commercio: era quello il momento di fare una battaglia ma non ci si è accorti che ci stavano tallonando. Dovevamo fare tessuti numerati e creare carte d’identità di aziende e imprenditori con scritta la storia di ognuno con il suo comportamento».
E’ un’opinione molto forte.
«Lo so. All’inizio quando si espongono le difficoltà si è titubanti, ma poi quando ci si è esposti si comincia a dire tutto. Ho tanta rabbia dentro. Non sopporto più le scorrettezze, chi si approffitta della situazione difficile che stiamo vivendo».
In che senso.
«C’è chi si approfitta delle aziende che hanno molto personale. Siamo impiccati dai costi e non manca chi chiede prezzi sempre più bassi. Non è un comportamento lungimirante: se qui la filiera si rompe è un effetto domino. Irreparabile».
Ilenia Reali

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