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La mer, la fin...

mercoledì 18 marzo 2009

Prato. Dopo quelle grasse, ecco le vacche magre!

Di sicuro, la storia non è delle più edificanti - minacciare la messa in mobilità se non si accetta una riduzione di stipendio - ma è significativo il fatto che in questione vengano messi i bonus "ad personam" che nel corso del tempo, e nel periodo delle vacche grasse, gli imprenditori concedevano volentieri ai propri dipendenti, questi forti di un potere contrattuale elevato - in termini di professionalità e di scarsità della manodopera specializzata.
Eppure, di questo se ne parla poco... Si parla poco di un sistema distrettuale, inclusi quindi i sindacati, che nel corso del tempo, profondamente convinto della propria crescita illimitata nel tempo che ha fatto poco e male i conti con il futuro. Superminimi individuali o aziendali abnormi, accordi sugli straordinari che non esistono in nessun altro tipo di contratto, e via dicendo, che tutti - e sottolineamo il "tutti" - pensavano sostenibili in eterno.
Ovviamente, alla fine dei giochi, chi rischia di rimetterci è sempre l'anello più debole del sistema - che prima si riteneva, però, molto forte e molto furbo: il dipendente.
MV

da il Tirreno del 18/03/09
«Riducetevi lo stipendio o vi licenzio»
In aumento le pressioni e le minacce degli imprenditori sui lavoratori Il sindacato: «Questi casi sono in forte crescita. I dipendenti non firmino prima di parlarne con noi»
PRATO. Mobilità, cassa integrazione ma anche una riduzione dei diritti di coloro che lavorano. Nelle aziende pratesi aumentano le richieste degli imprenditori di ridurre i salari ai propri dipendenti. La rinuncia che si chiede a operai e impiegati è quella di rinunciare ai bonus ad personam concessi quando le aziende guadagnavano. Ora la crisi sta riducendo i margini, l’esigenza di abbattere i costi fissi è diventata una priorità e gli scrupoli sono sempre meno. E se da una parte c’è chi affronta l’argomento nell’ottica di un sacrificio a cui tutti sono chiamati, dall’altra c’è chi pone l’argomento come un ricatto «o ti tagli lo stipendio o ti licenzio».
E’ una guerra sottile. Una forzatura psicologica che spesso, negli ultimi due anni, i dipendenti hanno vissuto da soli. Oggi la situazione è un po’ cambiata perché i costi da ridurre sono sempre più alti e spesso la richiesta non riguarda una sola persona ma gruppi anche consistenti. Una novità delle ultime settimane che ancora non ha visto aumentare il numero dei lavoratori che si presentano all’ispettorato del lavoro per dare il proprio consenso ma che sta impegnando i rappresentanti sindacali contrari a questa soluzione. «Capita sempre più frequentemente - racconta Annarosa Stefani, sindacalista della Filtea-Cgil - che si presentino gruppetti di lavoratori, spesso intimoriti, che ci chiedono come possono comportarsi perché si sono trovati davanti a frasi del tipo “o ti togli il 10% o licenzio tre persone”».
Cgil, Cisl e Uil consigliano sempre di non firmare e cercano di avviare un dialogo con le aziende per capire quali sono i motivi delle richieste anche perché, come spiega Chiara Malinconi (segretaria della Femca Cisl) «le crisi aziendali non si risolvono così. Spesso si tratta di sacrifici inutili».
Malinconi e Leandro Innocenti (segreteria Cgil) sono tra i rappresentanti del sindacato nella commissione istituita all’Ispettorato del lavoro. «Quando il lavoratore firma non si può fare niente», spiega Malinconi. «Si cerca di capire se ci sono state forzature o ricatti ma spesso il lavoratore quando arriva davanti alla commissione è talmente impaurito che nega tutto». E l’unica arma adottata, ma spuntata visto che non ha conseguenze, è quella che i rappresentanti sindacali non firmano nessuna di queste richieste. «I lavoratori - interviene Stefani - devono rivolgersi a noi prima di arrivare all’Ispettorato. Solo così abbiamo margini di manovra».
Scrive in una lettera un dipendente che preferisce non rendere pubblico il suo nome. «Il proprietario pretende da tutti i dipendenti una decurtazione dello stipendio (per chi ha un aumento ad personam ndr) pari al 14% dell’intero salario (prima era il 20%) minacciando la messa in mobilità di chi non avrebbe accettato l’accordo da firmare». «Parlare con i sindacati - aggiunge - è proibito perché sanno che sono contrari e vogliono evitare colloqui. Ma è possibile che a Prato possano esistere queste cose?»
Dall’azienda dove lavora l’operaio non si conferma. «Stiamo pensando a un accordo che colleghi il salario all’andamento della azienda». Bonus se c’è un utile - dicono - ma sottolineano come «non sia stato ancora deciso quale sarà la contropartita». Agli operai è già stato detto però che l’accordo dovrà essere retroattivo, dal primo marzo.
I.R.

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