TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

mercoledì 11 marzo 2009

Prato. Fiato ai tromboni

A leggere le interviste di Logli, che si toglie per l'ennesima volta qualche sassolino dalla scarpa e che sembra un povero incompreso, quando invece bisognerebbe chiedergli cosa ha fatto in concreto per il distretto pratese, piuttosto che pensare ad organizzare manifestazioni di piazza, verrebbe da pensare che possa avere qualche mira su una candidatura al Parlamento Europeo. Certo, mancherebbe, rispetto alla descrizione fatta, qualche attributo, in particolare l'autorevolezza, ma la politica, si sa, è l'arte del possibile...
O è solo un modo per lanciare quella del presidente della Regione Martini?
Intanto, diamo fiato ai tromboni...
MV

da il Tirreno del 11/03/09
«In Europa le istanze del distretto»

Il presidente della Provincia Logli chiede un parlamentare a Bruxelles

«Sarebbe tradire le aspettative utilizzare i temi del lavoro e della solidarietà solo a fini elettorali»

PRATO. Servizi sui telegiornali Rai, articoli sulle pagine dei quotidiani nazionali, approfondimenti sulle tramissioni televisive d’attualità. Il mondo dei media si muove: Prato fa notizia. La debàcle del tessile, purtroppo, fa notizia.
Quindi presidente Logli, lei ha raggiunto quello che è stato il suo ultimo obiettivo: portare i problemi di Prato all’attenzione nazionale. Lo ha fatto a poche settimane dall’inizio del periodo di ordinaria amministrazione della Provincia, che lei dovrà lasciare dopo le amministrative di giugno.
«Sì, devo dire che non mi sono mai sentito tanto in sintonia come in questo periodo con quello che era il mio slogan elettorale: “La Provincia una voce per Prato”. In pochi mesi la città ha fatto uno scatto in avanti, ha superato le divisioni e ha espresso la capacità di difendere l’identità più profonda della città che è fatta di lavoro e solidarietà. E’ su questi temi che si costruirà il futuro di Prato».
Sì e anche la prossima campagna elettorale.
«E’ il rischio che intravedo. Mi fa piacere che Roberto Cenni, il candidato sindaco del centrodestra, abbia colto lo spirito della manifestazione del 28 febbraio scorso. Ma utilizzare, banalizzandoli, questi temi in campagna elettorale, sarebbe tradire le aspettative. Sarebbe un errore fare a gara a chi cavalca meglio la crisi».
E’ un messaggio anche per il centrosinistra?
«Bisogna superare le condizioni che il Pd ha creato con la lunga e travagliata discussione sulle candidature e l’unico modo è saltare l’asticella. Come ho già detto, ora che anche il centrodestra ha raccolto la sfida, il centrosinistra si deve imporre una capacità progettuale più alta di quella dimostrata fino a poche mesi fa».
Insomma Prato si è svegliata.
«Che avesse necessità di destarsi mi era chiaro fino dall’ottobre scorso. Era una percezione che avevo netta e che si è dimostrata valida nell’impostazione politica che ho dato e che ha avuto come fondamento tre concetti: la concertazione attraverso il tavolo del distretto, innovazione con il centro di ricerca, la valorizzazione con il grande evento. Sono temi ripresi durante la campagna elettorale per le primarie e credo che sia stato un riconoscimento che vale più di tanti sondaggi».
Eppure lei non farà il secondo mandato. Prova più amarezza o più rammarico?
«Amarezza personale, certo, ma non rammarico. C’è stata un’affermazione che mi ha colpito molto nei giorni precedenti la mia decisione di non ricandidarmi. Qualcuno ha definito ciò che stava accadendo “ingiusto ma necessario”. Ecco, è stata ingiusto nei miei confronti ma forse necessario perché la mia uscita di scena è servita a dare maggiore valore alla politica di questi anni. Un esempio: durante le fasi di organizzazione del grande evento, mi sono sentito dire che era solo una kermesse a fini elettorali. Quando la mia candidatura è caduta, il grande evento ha preso forza. Il mio rammarico è tutto lì: che non si sia trovato il coraggio sufficiente a sostenerlo anche prima. Ho pagato un prezzo alto nell’interesse del mio partito e della città. Spero che anche altri siano disponibili ad avere lo stesso atteggiamento».
Presidente lei ha parlato di accelerazione, di città che ha ingranato la quinta per sopravvivere e uno dei registi è certamente stato lei. Perché non ha iniziato prima ad avere questo ruolo?
«Non sono riuscito a farlo prima perché la situazione politica dentro il mio partito, rendeva più difficile trovare lo spirito di coesione. Prevaleva il timore di non dividere piuttosto della voglia del fare. Ma forse anche perché i morsi della crisi sono diventati così evidenti da chiamare tutti alla responsabilità».
Cosa lascia in eredità?
«Un esempio di buona amministrazione e uno spirito nuovo che il centrosinistra deve cogliere. Prato è il distretto-pilota della voglia di rilancio della piccola e media impresa. Il centrosinistra deve riuscire a portare queste istanze in Europa, lì dove si prendono le decisioni su imprenditori, artigiani e operai».
Ha in mente un nome da mandare a Bruxelles?
«Assolutamente no. Chiedo che qualcuno si faccia carico dei problemi del distretto pratese, che si assuma la responsabilità di portarli avanti e che abbia voglia di fare questa battaglia».
Che il governo nazionale non fa.
«La disattenzione da parte del governo presuppone la volontà di Berlusconi. Chi usa questi temi come argomenti di campagna elettorale dimostra di non sapere distinguere il livello istituzionale da quello della politica. E’ solo un uso strumentale di un problema reale».
Cristina Orsini
da la Nazione del 11/03/09
‘Tessile: la battaglia ora si gioca in Europa, partendo da Prato’

di ANNA BELTRAME
NON SONO mesi facili per Massimo Logli, il presidente della Provincia che non farà il secondo mandato, rimasto in qualche modo vittima della vicenda Romagnoli, del sondaggio choc e dei suoi misteri. Eppure in questi mesi è stato lui il protagonista delle battaglie per Prato, impegnandosi come se nulla fosse successo.
Lei è stato il principale promotore della grande manifestazione del 28 febbraio: le cose stanno iniziando muoversi.
«L’interesse dei media dimostra che l’attenzione sui problemi di Prato sta crescendo. Ma c’è soprattutto un altro aspetto positivo che vorrei sottolineare».
Quale?
«A Como così come a Biella, vedono Prato come un esempio pilota da imitare. Basta leggere le cronache locali: a Prato sono riusciti a superare le divisioni, a lottare insieme, scrivono. E’ vero. In pochi mesi Prato è riuscita a ritrovare ed esprimere la sua identità vera, è scesa in piazza per difenderla. Un’identità fatta di lavoro e solidarietà. La drammatica evidenza della crisi ha richiamato tutti a un maggior senso di responsabilità».
La Provincia, con il suo tavolo di distretto, è stata un traino fondamentale per Prato. E’ successo però dopo la sua mancata ricandidatura. Ha qualche rimpianto?
«Il mio slogan di campagna elettorale era: ‘Un presidente voce della gente’. Ecco, penso di non esserlo mai stato come in questo periodo. Non ho rimpianti, però. Un’amarezza personale, questa sì».
All’indomani del sondaggio e della sua sofferta scelta di rinunciare al suo secondo mandato, un big del Pd disse che era stata una decisione ingiusta ma necessaria. Col senno di oggi, cosa ne pensa?
«Ingiusta nei miei confronti sì. Lascio comunque un ente ben amministrato, con le tasse al minimo e i premi di Brunetta, che evidentemente non ‘premiano’. E poi ci sono i tre temi fondamentali della mia impostazione: la coesione, con il tavolo del distretto; l’innovazione con il centro di ricerca; la valorizzazione, con il grande evento. Sono tre punti che hanno caratterizzato la campagna per le primarie e li vedo come un riconoscimento, più significativo di tanti sondaggi».
Ma è stata una scelta necessaria?
«Forse sì, lo richiedeva un’esigenza di discontinuità che la gente sentiva e sente ancora. In fondo la mia mancata ricandidatura ha contribuito a creare le condizioni per alzare l’asticella del confronto nel partito e con la città. Penso però di aver pagato un prezzo molto alto, nell’interesse del Pd e della città. Spero che anche altri siano disponibili ad avere lo stesso atteggiamento. Comunque adesso mi sento più libero».
Cosa succederà, adesso?
«Mi auguro che non accada una cosa, che non si voglia banalizzare in chiave elettorale questa ritrovata voglia di fare squadra, che non si usi la crisi in modo strumentale, per cercare facili consensi e non trovare risposte vere. Purtroppo gli ultimi segnali dal governo non sono incoraggianti».
In che senso?
«Vedo un atteggiamento di disattenzione, temo che nasconda la volontà di fare della crisi di Prato un uso strumentale. Aspettare il clou della campagna elettorale per interessarsi di Prato, per far vedere che lo si fa, sarebbe ingiusto. Prato non se lo merita».
E cosa invece vorrebbe che accadesse?
«La manifestazione del 28 febbraio è stato l’inizio di un percorso, vorrei si scommettesse davvero sulla capacità di Prato di rappresentare in Europa gli interessi del tessile italiano e più in generale del manifatturiero. Ecco, questa è la sfida del Pd e del centrosinistra: costruire una proposta politica nuova a livello europeo nell’interesse delle aziende e degli operai, del Paese».
Ora però c’è una sfida più immediata e concreta: il voto del 6 giugno.
«Infatti. E non è il momento di capire cosa si guadagna dalle elezioni, ma di muoversi per vincerle. E non sarà facile. Un candidato autorevole del Pd alle europee, che conosca e sappia esprimere le istanze di Prato, sarebbe sicuramente d’aiuto».

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