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La mer, la fin...

giovedì 7 agosto 2008

Cooperazione. Iolanda e Giuliano liberi.

Da il Manifesto di ieri.
mv

SOMALIA
Liberi i due cooperanti italiani dopo due mesi e mezzo di silenzio
Erano stati sequestrati il 21 maggio. Poi segretezza assoluta del governo sui negoziati e le condizioni poste dai rapitori

di Irene Panozzo

Iolanda Occhipinti e Giuliano Paganini, i due cooperanti italiani che erano stati rapiti il 21 maggio scorso in Somalia, sono stati liberati. La notizia è stata confermata ieri pomeriggio quando il ministro degli Esteri Franco Frattini ha preso la parola alla Camera per annunciare che i due rapiti «sono liberi e in buona salute e stanno atterrando a Nairobi».
Dalla capitale kenyota partiranno poi alla volta dell'Italia, dove sono attesi già oggi.
Un rapimento lungo più di due mesi, che per fortuna si è concluso nel migliore dei modi. Non si sa quasi nulla sui dettagli del rilascio. Ma forse in queste ore conta poco come siano andate le cose. Il riserbo che ha contraddistinto l'operato del ministero degli Esteri italiano, a partire dall'unità di crisi, in questi mesi di continui (pare) negoziati per il rilascio dei due sequestrati è stato confermato quindi anche in occasione della loro liberazione.

Se le notizie su quanto accaduto ieri sono scarse, ugualmente rare sono state quelle che hanno costellato la loro prigionia. Occhipinti e Paganini erano stati rapiti da un gruppo di uomini armati nel villaggio di Awdhegle, a una settantina di chilometri a sud di Mogadiscio. Assieme a loro era stato prelevato dagli uffici del Cins (Cooperazione Italiana Nord Sud), l'organizzazione non governativa per cui lavorano i rapiti, anche un loro collega somalo, Abderahman Yusuf Arale.
A poche ore dalla notizia del loro sequestro, dal Cins avevano fatto sapere di essere riusciti a stabilire «un primo contatto indiretto» con i tre cooperanti, che avevano comunicato di «stare bene e di non aver subito alcun tipo di violenza».
Dal giorno dopo, però, una spessa coltre di silenzio era scesa su tutta la vicenda, su richiesta della Farnesina. Il ministro Frattini in persona aveva chiesto a tutti - diplomatici, mondo della cooperazione internazionale e, soprattutto, stampa - di mantenere «il massimo riserbo», in modo da evitare «che venga messa a repentaglio la sicurezza dei due connazionali».
Il timore, per nulla nascosto, della nostra diplomazia era che ricostruzioni e illazioni, magari basate sulle voci che circolavano in Somalia, potessero mettere a repentaglio il canale di trattative aperto evidentemente poche ore dopo il rapimento.
Il silenzio è stato rispettato in questi due mesi e mezzo, anche se non senza qualche dubbio o velata polemica da parte delle organizzazioni non governative che operano nel paese del Corno d'Africa. A più riprese, pur senza contraddire la linea scelta dalla Farnesina, il mondo della cooperazione ha fatto appello a governo e ministero degli Esteri perché gli ostaggi - saliti di numero a inizio luglio, quando quattro dipendenti somali dell'ong «Acqua per la vita» sono stati rapiti poco lontano da Mogadiscio - non fossero dimenticati ma anzi fosse fatto tutto il possibile per la loro liberazione. Il silenzio stampa, avevano ribadito solo pochi giorni fa le ong in una nota, «inizia a pesare e non avrebbe più senso se non avessimo la certezza che l'azione per la loro liberazione continua incessantemente e con il necessario impegno».
L'unica notizia ufficiale filtrata in questi mesi era stata data il 25 luglio dallo stesso Frattini, che a margine di una conferenza stampa a palazzo Chigi aveva detto che i sequestrati «sono vivi». Una notizia confermata ieri, al momento della liberazione.
Se e come la strategia del silenzio abbia contribuito al risultato positivo sarà il tema dei dibattiti del giorno dopo, dicono fonti delle ong sentite da il manifesto. Ora è solo il momento di festeggiare la fine di un incubo.

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