TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

sabato 25 ottobre 2008

Prato verso le amministrative. Lo scaricabarile

Non possiamo che fare i nostri complimenti agli industrialotti e ai media pratesi, che sono riusciti a far passare il messaggio che la crisi pratese è poi, in fondo in fondo, tutta colpa dei cinesi - sia di quelli del distretto che di quelli in Cina, ovviamente.
Sono riusciti a far passare il messaggio che se a Prato si perdono posti di lavoro è perché ci sono le confezioni cinesi che lo toglono agli italiani, magari dimenticandosi di dire che il boom delle ditte di confezioni a Prato è proprio legato ai cinesi, perché a Prato si è sempre prodotto il tessuto, ma molto meno del resto (confezioni). Dimenticandosi pure che è da ben prima dei cinesi che le aziende pratesi hanno ritenuto più "conveniente" (in altre parole, ha portato molti più soldi nelle tasche dei soliti noti) portare le produzioni dei tessuti e dei capi finiti in Tunisia, Romania, e chi più ne ha più ne metta, in nome della competitività.
Ma la colpa rimane dei cinesi... perché è molto più facile scaricare tutto sulle spalle di soggetti ben individuabili, e "diversi" anche fisicamente. Allora, il cinese con il macchinone fa impressione, il pratese che va tutti i finesettimana a Forte dei Marmi a sfoggiare la Ferrari è un "ganzo". Il cinese che sfrutta i connazionali è un delinquente (e lo è, senza ombra di dubbio), il pratese che froda l'IVA, non paga le tasse, magari continua a tenere condizioni igieniche molto discutibili nelle sue aziende è solo "costretto" a farlo, altrimenti non mangia.
Sono giornaliere le ispezioni alle ditte cinesi (ed è bene sia così), ma ci piacerebbe sapere quanti controlli vengono svolti nelle filature e nelle tintorie italiane, e se sono così in regola come la vulgata vorrebbe farci passare.
Ma non vogliamo cadere anche noi in questa specie di "manicheismo laico", con il bene da una parte e il male tutto dall'altra. La questione immigrazione, la questione lavoro, la questione sicurezza (ed altre ancora) vanno si affrontate, ma nei termini giusti, e senza creare allarmi e "capri espiatori" buoni solo per deviare l'attenzione dai fenomeni reali.
Altro che PD, PDL e menate varie: qui l'impegno è a ri-costruire un tessuto sociale, a Prato e in tutta la provincia, che impedisca degenerazioni future. Perché, è bene dirlo, in questo stato di cose c'è sempre qualcuno che ci prospera (politicamente o economicamente), e gira e rigira non sarà mai realmente interessato a "risolvere" un problema.
Questa è veramente la sfida più dura...
MV

da il Tirreno del 25/10/08
Primo: spezzare l’assedio cinese

Prato, crisi tessile ma anche di identità. Cercasi sindaco decisionista

Non è una questione di ordine pubblico: è che mentre noi chiudiamo le aziende, loro girano in Mercedes...
DALL’INVIATO MARIO LANCISI

PRATO. Dalla sua poltrona di sindaco Marco Romagnoli, 58 anni, sorride: «Sto facendo strategie per affrontare la globalizzazione...». Ha voglia di scherzare dopo lo tsunami politico che lo ha colpito assieme al presidente della Provincia Massimo Logli. Un sondaggio, commissionato dal Pd e realizzato dall’Ipsos su un campione di mille pratesi, li ha spazzati via. Solo il 30% dei pratesi li rivoterebbe. Il Pd perde consensi, la destra incalza. Da appassionato di vela Romagnoli non si fa prendere dal panico. «Questi fenomeni li conosco bene. Ricordo che alla fine degli anni Ottanta, da dirigente economico della Regione, fui mandato a Massa per la crisi del sistema delle partecipazioni statali. Comune e Provincia furono commissariati», racconta il sindaco.
Prato come Massa? O come Marsiglia (politicamente rossa, divenuta poi la roccaforte del fascista Le Pen) e Sesto San Giovanni (dalla fabbrica ai servizi)? Città fondate cioé su un modello economico e sociale che nel momento in cui è entrato in crisi ha messo in ginocchio un’intera classe dirigente. Provocando spesso anche un mutamento culturale e antropologico. «Il rischio di fare la fine di queste città c’è», ammette il sindaco.
Come don Ferrante. Strano destino quello capitato a Romagnoli, una sorta di don Ferrante di manzoniana memoria: ha studiato a lungo quei fenomeni economici che poi ne hanno causato la sconfitta politica.
A capo del dipartimento economia della Regione Romagnoli ha infatti passato al setaccio la Toscana delle fabbriche e dei distretti, del lavoro nero e dei cinesi. Temi che conosce forse meglio del jazz (l’altra sua grande passione). Un conto però sono le analisi economiche, i numeri, le tabelle, i grafici e i diagrammi. Altra cosa governare da sindaco una città in cui «la gente che resta senza lavoro vede il cinese girare in Mercedes, schiavizzare i propri dipendenti ed evadere le tasse», spiega Andrea Frattani, assessore all’immigrazione.
Prato-Alitalia 2. Già, i cinesi. Sono loro la “peste” di Romagnoli-don Ferrante. Il sondaggio evidenzia che i problemi dei pratesi sono soprattutto due: il lavoro e i cinesi. Ma attenzione: qui gli immigrati non sono visti come un’insidia per la sicurezza (come altrove), ma invece per l’economia.
Nel 2007 Prato ha prodotto oltre 4,8 miliardi di beni. La metà li ha esportati. Il grosso - l’80 per cento - sono prodotti del tessile e dell’abbigliamento, che conta complessivamente 7mila aziende per oltre 40 mila occupati e fattura intorno ai 5 miliardi. «Ma dal 2001 a oggi hanno chiuso il 25% delle aziende, 10mila posti di lavoro persi: siamo un’Alitalia 2, ma pochi se ne sono accorti», osserva Riccardo Marini, presidente dell’Unione industriali.
Una volta i telai giravano a pieno regime e producevano il 60% della ricchezza pratese. Nel giro di quindici anni il settore tessile è più che dimezzato a causa della globalizzazione dei mercati. I posti di lavoro sono stati falcidiati. Nel 1990 erano 45mila i tessili: sono scesi a 16mila (13.397 nell’industria e 386 nell’artigianato), ma altri 5mila rischiano il licenziamento. Le aziende si ridimensionano e molti imprenditori, dopo aver chiuso i telai, si sono messi ad investire sul mattone.
Il cinese in Mercedes. Al distretto tessile si contrappone quello dei cinesi. La Chinatown pratese è la prima comunità in Italia e la terza in Europa, dopo Londra e Parigi.
In una città che conta 185 mila abitanti gli immigrati regolari sono almeno 18.500 e oltre 5mila, a stare stretti, sono quelli clandestini. A Prato si trova il primo distretto italiano di cinesi con 2.700 aziende, 17mila addetti, 1,8 miliardi di euro di volume d’affari. A Prato un’azienda su 8 (il 12,5%) è gestita da immigrati cinesi.
Tra i due distretti - il pratese e il cinese - la sfida è ad armi impari perché i cinesi sfornano prodotti a prezzi altamente competitivi, grazie anche all’estesa illegalità, sia fiscale che contributiva. Le imprese sono attive giorno e notte, festività comprese, con una capacità produttiva superiore ai 900mila capi al giorno. Appena arriva una commessa, basta una telefonata e in un batter d’occhio arrivano lavoranti cinesi da tutta la penisola.
La Cina a Prato è vicina e lontana. L’impoverimento dei pratesi nasce dalla concorrenza asiatica, dalla Cina lontana. La paura e il rancore, quel mal di pancia della città che è sfociato nel sondaggio choc, nascono invece dalla Cina vicina. Dalla difficile integrazione. Dalla Mercedes che sfreccia mentre il piccolo artigiano chiude la saracinesca.
L’allarme del vescovo. E se i cinesi sono all’origine della decapitazione di Romagnoli e Logli, in qualche misura decideranno anche i loro eredi.
«Nel Pd ci sono tre anime a riguardo del problema degli immigrati. Chi li ritiene una risorsa, chi un problema e chi l’una e l’altra cosa», spiega Romagnoli. Ma il partito di quelli che li considerano un problema è in crescita. Il leghismo avanza e un comitato di cittadini ha chiesto l’obbligo delle iscrizioni in doppia lingua su tutte le insegne delle attività cinesi.
La crisi economica rischia di erodere la pace sociale: «Bisogna evitare rabbie e possibili derive razziste. Se la crisi va avanti, se operai, artigiani e commercianti perdono il lavoro e vengono sostituiti solo da stranieri, si possono scatenare atteggiamenti razzisti», è l’opinione del vescovo Simoni.
Ricetta cercasi. Ma gli immigrati sono anche una risorsa. Prato è l’unica città con il saldo demografico attivo e i cinesi alimentano l’economia locale. Ad esempio i capannoni dove prima giravano i telai sono stati acquistati dai cinesi. Soldi che sono andate nelle tasche dei molti immobiliaristi pratesi.
Romagnoli e Logli lasciano il campo. Per dare una sterzata, dicono al Pd. Un po’ come quando una squadra di calcio cambia l’allenatore. Una svolta che divide la città. «Il berluscomunismo del Pd pratese», è il titolo dell’editoriale di Gianni Rossi che uscirà oggi nell’edizione pratese di Toscanaoggi, settimanale della diocesi. La svolta viene vista come il frutto di una scelta elitaria (stile vecchio Pci), realizzata con metodi berlusconiani (il sondaggio).
Ma al di là delle polemiche, la domanda è: servirà a qualcosa la svolta? Per ora non emerge in città una classe dirigente in grado di dare una risposta all’altezza della crisi. Si ha come l’impressione che lo tsunami non si sia ancora acquietato...

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