TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

giovedì 9 ottobre 2008

Una morte, due pesi e due misure

La morte di un ragazzo è sempre una brutta notizia. E' ancora più brutta quando si tratta di un suicidio, e non pensiamo ci sia bisogno di spiegarne i motivi.
Però colpisce, ancora una volta, come le notizie possono essere date.
E' il caso dei principali quotidiani locali di oggi, che riportano - con differenze minime nei toni - la notizia del suicidio di un trentunenne al carcere della Dogaia, dove vi era finito a causa di problemi legati all'abuso di alcool e relativi episodi di violenza. Un caso come quello di moltissimi abitanti delle carceri italiane, aggiungiamo un purtroppo.
Forse, il particolare che cambia tutta la vicenda è che il ragazzo è un italiano, e di "famiglia bene": il suo automaticamente diventa un "difficile caso", "il giovane con molti problemi" che invece di essere aiutato finisce "in cella con i delinquenti comuni". Viene da chiedersi se lo stesso trattamento sarebbe stato riservato ad un ragazzo albanese (tanto per fare un esempio), con gli stessi identici precedenti: beh, ci sia concesso dubitarne fortemente!
Si preferisce, al solito, l'emozionalità ad una più seria riflessione sulla finalità delle pene, sul sistema carcerario, sull'efficacia dei servizi sociali (a proposito degli educatori nelle carceri, ad esempio, la situazione è sconfortante... come il resto...); si preferisce giocare con pesi e misure diverse a seconda della nazionalità e del ceto, trasformando in "delinquenti comuni" quelli che non piacciono, e in "difficili casi" quelli più "simpatici", senza un minimo di oggettività.
Vizi italianissimi, che non risparmiano né la politica né, purtroppo, la stampa e la società.

Kritias
per Municipio Verde




da il Tirreno del 09/10/08
Non resiste al carcere e si toglie la vita

Il dolore dei familiari: «Non c’era un’alternativa a finire in cella?»
Era stato rinchiuso alla Dogaia dopo litigi e problemi con l’alcol. I tentativi di farlo entrare in una comunità di recupero
PRATO. Non era certo un delinquente incallito Gabriele Franchi. Era un giovane con molti problemi, soprattutto di rapporti coi familiari, problemi aggravati dall’abuso di alcol. Eppure è finito alla Dogaia insieme ai delinquenti comuni e lì non ha retto al primo impatto col carcere. Martedì sera l’hanno trovato morto nella sua cella. Ha approfittato della momentanea assenza dei due compagni per impiccarsi alle sbarre e quando sono arrivati i soccorsi ormai non c’era più nulla da fare. Gabriele Franchi aveva 31 anni, abitava in viale Piave e alla Dogaia era arrivato solo da pochi giorni.
Sono andati a prenderlo giovedì della scorsa settimana nella casa signorile accanto al Caffé 21 per notificargli un ordine di carcerazione firmato dal giudice di sorveglianza.
Lui probabilmente non se lo aspettava. Aveva alle spalle una vecchia condanna con l’affidamento ai servizi sociali, ma evidentemente il giudice ha ritenuto che Gabriele non avesse rispettato gli obblighi e ha ordinato la traduzione in carcere.
Alla base del provvedimento ci sono fondati motivi di carattere giuridico che affondano nella storia recente di Gabriele Franchi. Più volte la polizia e i carabinieri sono stati costretti a intervenire nella casa di viale Piave per riportare alla calma il giovane dopo violente liti coi familiari. Spesso gli interventi si sono tradotti in denunce alla Procura e la giustizia ha fatto il suo corso.
Ora però i familiari più stretti del giovane si chiedono se fosse proprio il caso di mandarlo in carcere, anziché sistemarlo in un’altra struttura, magari una comunità di recupero specializzata nella trattazione di casi simili, con un minore impatto sulla personalità del detenuto. Sembra che Franchi fosse appunto in attesa di essere trasferito in una di queste comunità, ma non ha resistito ai primi giorni di carcere.
L’ordine di carcerazione fa seguito all’ultimo episodio di cui Franchi era stato protagonista nel pomeriggio del 10 settembre. Prima aveva litigato con un gruppo di ragazzi in via Papa Giovanni XXIII, nei pressi del Ponte Petrino, poi aveva avuto una violenta discussione col fratello per l’uso della macchina. Quando la polizia arrivò a risolvere la situazione, Gabriele fu trovato perso nei fumi dell’alcol e scattò una denuncia a piede libero con le accuse di percosse e danneggiamento aggravato. E’ stata l’ultima volta che le forze dell’ordine si sono dovute occupare del suo difficile caso.
Il passo successivo è stata la traduzione alla Dogaia e la tragedia di martedì sera. Sembra che i due compagni di cella di Franchi fossero impegnati in un momento di socialità con altri detenuti e il giovane ne ha approfittato per mettere in atto il suo proposito. Dell’accaduto è stato informato il sostituto procuratore Benedetta Foti, che ha ordinato il trasferimento della salma all’Istituto di anatomia patologica dell’ospedale, dove verrà compiuto l’esame medico (i funerali forse domani a cura della Misericordia).
Gabriele Franchi era l’ultimo rampollo di una famiglia che fino agli anni Ottanta possedeva una delle più grandi aziende tessili di Prato, l’omonima manifattura di viale Montegrappa che dava lavoro a centinaia di operai. Orfano del padre quando era ancora bambino, Gabriele ha continuato a vivere con la madre, il fratello e la sorella, ma i suoi problemi sono diventati via via più gravi senza che i familiari potessero far molto per risolverli.
Paolo Nencioni

da la Nazione del 09/10/08
Tragedia in carcere Giovane disperato s’impicca
AVEVA 31 ANNI, ma ha deciso di dire addio alla vita. E’ probabile che non abbia retto all’idea della reclusione, che non ce l’abbia fatta all’idea di restare dietro le sbarre della casa circondariale della Dogaia nemmeno per un’altra settimana, perché tanto mancava all’udienza che poteva riportarlo se non in libertà, almeno a casa. E’ difficile abituarsi a stare rinchiusi, specialmente per chi non ha fatto la scelta di vita di porsi al di fuori delle regole della società.
Erano circa le 21, martedì sera, e gli altri detenuti si trovavano nello spazio della cosiddetta socialità, forse davanti al televisore. G.F. non si è unito agli altri, probabilmente chiuso nella sua sofferenza covava già propositi tragici. Lo hanno trovato impiccato all’inferriata della cella quando ormai c’era ben poco da fare. I soccorsi sono stati comunque tentati, ma senza successo. Intorno alle 22,30 non è restato altro da fare che chiamare i servizi funebri della Croce d’Oro che hanno trasferito il corpo all’istituto di anatomia patologica, a disposizione del magistrato di turno Benedetta Foti che probabilmente — come da prassi — farà eseguire l’esame necroscopico esterno sul corpo del giovane.
E’ particolarmente dolorosa, la morte di G.F. e non solo perché aveva solo trent’anni. A portare alla Dogaia il giovane, pratese di ottima famiglia, residente in centro storico, era stata una pendenza conseguente ad una lite: l’abuso di alcol gli aveva fatto perdere il controllo, ma — trattandosi di un episodio — aveva ottenuto dal tribunale di sorveglianza l’affidamento in prova ai servizi sociali. Poi ai primi di ottobre, c’era stato un nuovo episodio, più o meno analogo, che aveva portato lo stesso magistrato di sorveglianza ad aggravare la misura restrittiva. Aggravarla di molto, però. Così G.F. si è ritrovato chiuso nella casa circondariale della Dogaia, dove sarebbe stato seguito da educatori. L’occhio esperto degli operatori penitenziari ne avevano probabilmente intuito la difficoltà, ma non fino a prevederne le estreme conseguenze. Erano anche già stati presi contatti con una comunità di recupero, ma non ha retto alla mancanza di libertà. Domani l’addio nella basilica delle Carceri.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

bisognerebbe capire prima di punire perche non e giusto che gente piena di problemi,e ovvio parlo in riferimento al caso sia rinchiusa dentro quattro mura e abbandonato li, perche cosi è, abbandonati ad assistenti sociali che non vanno mai, perche cosi e , con guardie quasi spallate di fare il propio lavoro sgorbutici, ma come volete che si senta una persona chiusa con dei problemi cosi,ma per un giudice e molto piu sbrigativo metterlo dentro,che recuperarlo con comunita apposta,e una vergogna,gente con problemi di alcool rinchiusi in galera con i delinquenti.

Anonimo ha detto...

Gabriele era prima di tutto uno di noi. Un ragazzo come tanti, con cui da bambino si va a scuola e si gioca a pallone e con cui da ragazzo si continua a scherzare. Poi la vita riserva fortune e sfortune e a volte non si riesce a venir fuori da tanti tranelli, che il caso ha voluto seminare qua e là. Non si può polemizzare sui "due pesi e due misure": il caso di Gabriele è quello più evidente che è stato trattato al pari di un criminale, italiano o straniero che fosse. Era un italiano, ma soprattutto non era un criminale. Non meritava di morire solo, dietro quelle sbarre, alle quali ha voluto attaccarsi fino all'ultimo respiro.
Un vecchio compagno di scuola