Il seguente articolo di Roberto Della Seta, ha stimolato una forte reazione sulla Mail list dei Verdi Toscani. Leggetelo e non ve ne stupirete. Invitiamo chi lo volesse a trasferire il dibattito anche qui sul blog ed eventualmente ad allargarlo.
Noi preferiamo non commentare le vigliaccate. Ci piacciono gli uomini coraggiosi.
mv
15 ottobre 2008
L'anima verde del Pd
di Roberto Della Seta - L'Unità
È colpa dei Verdi, dei loro errori e delle loro miserie, se l’ambiente in Italia è ancora ai margini del dibattito pubblico?
Se mentre in Europa e negli Usa occupa le prime file del confronto politico, condiziona le grandi scelte sul futuro, interseca la discussione sulla crisi di struttura che sta vivendo l’economia mondiale (basta leggere in un giorno qualsiasi le prime pagine dei grandi quotidiani americani, tedeschi, francesi, inglesi, spagnoli) da noi continua ad essere considerato un tema politicamente ed economicamente irrilevante?
Ed è colpa dei Verdi, del loro indiscutibile fallimento politico, se ci ritroviamo con un governo che con parole ogni giorno più esplicite (le più recenti e inquietanti, ieri, del ministro Andrea Ronchi) si chiama fuori dall’impegno dell’Europa per fermare i mutamenti climatici e per modernizzare il sistema energetico nel segno dell’efficienza, della sostenibilità, dell’innovazione tecnologica? Molti la pensano così, e con qualche buona ragione. Mai cresciuti oltre le dimensioni di un piccolo gruppo di opinione, nella loro più recente stagione i Verdi italiani erano diventati anche un partitino personale - una specie di Udeur mastelliana in salsa ecologista - sempre più identificato con una visione settaria della tutela ambientale all’insegna di una radicata diffidenza verso la scienza, la tecnica, l’innovazione.
Ciò non solo ha portato all’autodistruzione una forza politica nata vent’anni fa con grande ambizioni e che in molti Paesi europei è ormai stabilmente tra i protagonisti della dialettica politica ed elettorale. Ha anche appiccicato a tutto l’ambientalismo l’etichetta di pensiero anti-moderno, incardinato sul peggiore egoismo “nimby”, fino all’ultima vicenda dei rifiuti a Napoli.
Eppure la preoccupazione ambientale è tutt’altro che reazionaria, anzi è una delle grandi conquiste della modernità. Nasce mezzo secolo fa dall’intuizione che il progresso, lo stesso sviluppo economico devono mettere in conto la limitatezza delle risorse naturali e che il benessere dell’uomo è legato alla salute del suo habitat. Allora, subito dopo essersela presa con i Verdi e con l’ambientalismo che dice sempre e solo no, è bene chiedersi: perché nel nostro Paese chi verde non è mai stato ha lasciato ai Verdi la rappresentanza esclusiva dei temi ambientali?
La verità è che l’ambiente in Italia rischia di venire stritolato tra due opposti anacronismi: il conservatorismo di chi in nome dell’ecologia si batte contro tutte le scelte d’innovazione - comprese quelle, dagli impianti eolici ai rigassificatori agli impianti per riciclare i rifiuti all’alta velocità ferroviaria, indispensabili proprio e innanzitutto per ridurre l’inquinamento e contrastare i mutamenti climatici -, e dall’altra parte l’arretratezza culturale di una classe dirigente che ancora guarda all’ambiente come ad un lusso, ad una preoccupazione da ricchi.
Insomma lo sviluppo sostenibile è un interesse squisitamente umano, e un interesse prima di tutto sociale ed economico. Di più, è l’anima di un grande mutamento globale già in atto, di una rivoluzione che come ha scritto Anthony Giddens sarà «nei prossimi venti anni ciò che l’information technology è stata nei venti precedenti: la forza trainante di un più vasto cambiamento economico e sociale».
L’energia è il primo, più importante teatro di tale “rivoluzione”: per arginare i mutamenti climatici, i cui costi ambientali, sociali, economici diventeranno presto insostenibili, bisogna uscire il più rapidamente dall’età del petrolio, puntando sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili, sulla ricerca di tecnologie innovative e potenzialmente risolutive come l’idrogeno o la fusione nucleare. Un traguardo verso il quale oggi spingono, accanto al global warming, anche le ragioni più immediatamente economiche del caro-petrolio; ma un traguardo che non è a portata di mano: per tagliarlo e per tagliarlo in tempo utile servono scelte radicali e immediate. L’Italia finora su questo “treno” non è salita, ed è anche qui una radice del nostro declino. La responsabilità del ritardo italiano nell’imboccare la strada della sostenibilità ricade in gran parte sulla politica, impegnarsi per superarlo è un compito prioritario del Partito Democratico. Certo preoccuparsi e occuparsi dell’ambiente non è di destra né di sinistra, ed è un fatto positivo che nel mondo anche leader conservatori - dalla Merkel, a Sarkozy, a Cameron - mettano le questioni ambientali in testa alla propria agenda politica. Ma i primi a dovere alzare la bandiera ambientalista sono coloro che vogliono cambiarlo il mondo, sono le forze riformiste. Questo è tanto più vero in Italia, dove la destra al governo dà prova di un assoluto analfabetismo ambientale, fino al punto di agitare la minaccia di ricorrere al veto se l’Europa continuerà ad impegnarsi per ridurre le emissioni dannose per il clima, sviluppare le energie pulite, migliorare l’efficienza energetica. Poche settimane fa, chiudendo la «Summer School» di Cortona, Walter Veltroni ha detto che il Pd deve diventare un grande partito ambientalista. Concetti analoghi ha espresso in più occasioni e anche di recente Francesco Rutelli, e centinaia di dirigenti, di amministratori, di militanti democratici sono impegnati con gli ecodem, l’associazione guidata da Vigni e Realacci che si batte perché davvero le ragioni dell’ambiente siano nelle fondamenta del Partito Democratico, ne segnino l’identità e ne orientino i comportamenti. Ma per ora la gran parte dei gruppi dirigenti del Partito Democratico, a Roma come in giro per l’Italia, resta molto lontana da questa consapevolezza.Torno allora alla domanda iniziale: tutta colpa dei Verdi se l’ambiente conta così poco nella politica italiana? Mettiamola così: ora arriva la prova del nove. L’ambientalismo nimby e antimoderno simboleggiato dai Verdi di Pecoraro Scanio, almeno in politica non c’è più. Al Pd dimostrare con i fatti che prendersela con l’ambientalismo del no non è un alibi per non sapere o non volere mettere l’ambiente al centro del nostro agire, che per noi Democratici l’ambiente è un argomento importante per tornare a vincere e un’arma decisiva contro il declino dell’Italia.
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