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La mer, la fin...

venerdì 15 maggio 2009

Toscana. Cemento sì, cemento no.

Due articoli del Tirreno usciti in prima pagina in perfetta par condicio. Il dibattito sulla cementificazione della Toscana si isterilisce un po' nelle argomentazioni di professori ed intellettuali, ma è comunque meglio che il silenzio. La campagna elettorale come nella migliore tradizione, serve a deformare tutto in un registro di romantica cortesia, travestita da contrapposizione politica. Le responsabilità si dimenticano, i fatti diventano più leggeri e si vaporizzano. Solo il cemento resta pesantemente a testimonianza e a futura memoria. mv

BUTTA IL CEMENTO E FUGGI
Caro direttore, cavalieri solitari attraversano le valli e le colline toscane e avvertono tutti del pericolo. Hanno prestigio, passato accademico, lunghi elenchi di importanti pubblicazioni. Ma si affannano a risalire le valli più belle del mondo per denunciare l’emergenza. Qualcuno sta per coprire questo paesaggio di cemento.
Il cemento è come la radiazioni. Si insedia dove c’era il verde, alberi, prati, acque. E non va più via. Il cemento chiama cemento. È come il condono. Una legge folle ne chiama un’altra. Ci sono sempre degli esclusi da far entrare nel paradiso del cemento, dei metri quadrati che si moltiplicano. Ogni metro quadrato ne chiede un altro sia per giustizia (perché io no?) sia per vendetta (quel cumulo di metri dell’altro mi ha tolto prato e alberi, perché non dovrei farlo anch’io ai danni di un altro?).
Inoltre ogni metro quadrato, ogni metro cubo di nuovo cemento alza il prezzo dell’immobile deformato e gonfiato dalla costruzione posticcia, neppure rivisitata dall’architetto. Ognuno corre a farlo, indebitandosi, per vendere la casa ingrandita e imbruttita.
Ma in quale mercato? Chi può, comincerà il grande esodo, via dalla bulimia di malta e mattoni, di tufo e carton gesso che intanto avrà devastato le valli. Gli abitanti di Santa Barbara, in California (una città che assomiglia talmente alla Toscana da avere un finto Palazzo Strozzi), da 105 anni, e tuttora, non possono aggiungere alla loro casa né una tegola né un canile. I sindaci vengono eletti perché siano inflessibili. I costruttori si sono assicurati brutti terreni altrove dove piazzano brutte case che però non guastano la parte di splendore esistente. A quanto pare i sindaci, in Toscana, vengono eletti perché siano flessibili.
Getta il cemento e fuggi, sembra il sussurro che passa da un proprietario all’altro, e il brusìo nei consigli municipali. Infatti chi vuol vivere col muro dell’altro più vicino, più alto, più largo del 20-30 per cento? Non tutti i sindaci sono flessibili, è vero. C’è chi con coraggio difende cittadini e natura. Ma alla fastidiosa inerzia di inutili amanti del paesaggio che non favoriscono la bulimia da cemento dei cittadini, provvede il governo della Regione Toscana.
Per mostrare che a sinistra qui nessuno si tira indietro, la Regione Toscana copia, adotta e approva fra gli applausi una delle peggiori leggi Berlusconi: il Piano Casa. Da adesso l’unico problema di chi vive in Toscana è di trovare cemento, ognuno contro l’altro. Ma rimettiamo a posto i pezzi di questa sequenza concitata.
Primo: chi sono i cavalieri solitari che gridano al pericolo? Non ci crederete, ma non hanno alcun interesse a farlo. Sono strane creature persuase che il paesaggio toscano debba restare come si vede agli Uffizi. Sono il professor Asor Rosa, il grande italianista, e il professore Settis, già alla direzione dei Beni Culturali italiani, cioè il vero tesoro di questo paese.
I due scriteriati credono che la bellezza sia un valore, che la storia conti, e insegni, e che la distruzione, con lo stesso colpo di mano, di storia (la bellezza toscana dell’arte e della memoria) e di geografia (lo scempio del territorio) sia delitto grave non rimediabile.
Secondo: Che cosa è il Piano Casa? Come è noto, Berlusconi non è uno statista, è un pubblicitario. Altrove, dovunque nel mondo, Piano Casa vuole dire: lo Stato costruisce per chi non può da solo e, se riesce, si affida, per farlo, ai migliori architetti: case per i giovani, case per i nuovi arrivati. Qui, in questa Italia, e in questa sfortunata Toscana, che sembra avere appena scampato il pericolo della Spaccamaremma (l’autostrada che avrebbe rovinato la costa e portato i TIR in spiaggia), Piano Casa vuol dire: fate voi, come credete e come volete, davanti, di lato, sul tetto, rigonfiate a piacimento di circa un terzo la vostra casa.
Si sa che una casa con spazi posticci è per forza più brutta. E che rigonfiare del 20-30 per cento lo spazio cemento di una intera regione fondata su turismo, bellezza e arte, è un imperdonabile delitto. Ma l’invito è irresistibile. Guastare, imbruttire, perché no? Butta il cemento e scappa.
Terzo: tutto ciò richiede credito, non tutti hanno ricevuto collier di valore alla festa della bambina. E dovranno indebitarsi, subito, pena la scadenza della legge bulimica. Per ingrassare e imbruttire la casa ci vuole credito. Il credito o te lo negano e te lo danno a strozzinaggio, o ci si ritrova nella famosa bolla edilizia americana. Case gonfie, niente soldi e un paesaggio imbruttito che non fa mercato.
La conclusione, come avvertono Asor Rosa e Settis, è che in questa legge toscana che sprigiona bulimia da cemento c’è qualcosa che si può riassumere così: il peggio di noi e il peggio della politica. Non è un buon modo per definire il mondo di Berlusconi? Furio Colombo


Macché, la Regione ha invertito la tendenza
È un’amara sofferenza dover leggere sui giornali continue allusioni a un territorio della nostra Toscana in via di devastazione, addirittura in via di cementificazione, e dove il personale tecnico e politico delle amministrazioni locali lavora più per favorire questo processo che per contrastarlo o bloccarlo.
Amerei che gli osservatori “scendessero da cavallo” e camminassero sul territorio, piuttosto che guardarlo dalla finestra, mentre gli “altri” lo lavorano, lo modellano e lo conservano quotidianamente. Perché questo è il nodo che deve essere sottolineato. Territorio e paesaggio sono la stessa cosa. Non esiste un paesaggio separato dal territorio: l’uno da preservare e tutelare, l’altro da trasformare e modellare.
Il territorio e i suoi caratteri paesaggistici sono un prodotto della storia e delle relazioni che gli uomini vi hanno stabilito. Chi lo produce, lo modella e lo conserva quotidianamente sono le comunità locali: agricoltori, contadini, proprietari che lo vivono e lo curano. Non c’è nessun ente funzionale centrale o periferico e nessun “sovrintendente” che riesca a preservarlo così come fanno comunità locali e i singoli cittadini.
Se i paesaggi della Toscana sono riconoscibili e conservano ancora le identità delle comunità locali insediate, lo si deve proprio a questo. Il suo mantenimento è in larga parte dovuto a una prevalenza di diffusa cultura rurale, anche in larghi strati di giovani generazioni, che determina un significativo trasferimento di redditi provenienti da altri settori economici.
Solo questo spiega la ridotta dimensione economica del settore agricolo regionale (1,9 per cento del valore aggiunto regionale al 2006, che sale al 3,8 se aggiungiamo anche il ramo della pesca - 0,1 - e quello degli alimentari e bevande: 1,8 per cento, fonte Banca d’Italia) rispetto all’immagine rurale dominante che si ha della Toscana nel suo complesso.
Le superfici destinate all’agricoltura rappresentano (dati Istat), infatti, quasi la metà del territorio regionale extra-urbano (45,2 per cento); il resto sono boschi e aree seminaturali (50,1) e solo in minima parte aree urbanizzate (4,1) e infrastrutture esterne all’urbano (0,6). Questi sono i dati veri.
Se il territorio in Toscana produce valore aggiunto è proprio per questa decennale attenzione delle popolazioni locali e dei loro governi. Non a caso la Convenzione europea sul paesaggio è stata firmata proprio a Firenze nel 2000. Nella Convenzione si sostiene che il paesaggio è una risorsa, che si estende a tutto il territorio, dagli spazi naturali a quelli rurali fino a quelli semi-urbani e urbani, in uno spirito di integrazione con le politiche e i piani territoriali e urbanistici.
Tratti, forme ed espressioni sono diventati così elementi “tipici” regionali, che di certo hanno dato riconoscibilità a un territorio, ma proprio per questo si sono tramutati in elementi di valore differenziale che, in un’economia di mercato e in un contesto sempre più globalizzato, è trasmigrato in un considerevole aumento della rendita di posizione.
Questa si governa solo con gli strumenti della pianificazione del territorio, ben sapendo che i continui tagli ai Comuni operati dai Governi, e specialmente da quest’ultimo, rendono le politiche locali fragili e le casse comunali vuote, tanto che alcuni di essi hanno usato gli oneri di concessione come leva fiscale per generare cassa. Questo è il problema.
Come si può (in parte) bloccare questo fenomeno? Reindirizzando l’attenzione del comparto edilizio verso il recupero e la ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente. In questo spirito deve leggersi la recente legge regionale sulle misure straordinarie sulla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente. Non consumare ulteriore suolo, ma rimodellare quelli esistenti nelle aree deboli del tessuto urbano: fuori dai centri storici e dalle aree con valore storico, culturale e architettonico; non sugli immobili storici; fuori dalle aree protette e a pianificazione attuativa; e solo tipologie edilizie mono o bifamiliare e comunque con superficie utile lorda inferiore a 350 mq. e tutto senza cambio di destinazione d’uso.
È poco? È troppo? È quanto basta per invertire una spirale verso il nuovo e un tentativo per indicare una strada ad altre regioni, dove la questione assume altro significato e ruolo.
Giuseppe De Luca Professore di urbanistica Facoltà Architettura Firenze

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