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giovedì 28 maggio 2009

Prato verso le amministrative. Evasione fiscale

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MV

da il Tirreno del 28/05/09
La Sasch accusata di evasione fiscale

Rinviato a giudizio il presidente del cda, brutta tegola per Cenni
Contestato l’uso di fatture per operazioni inesistenti negli anni 2002 e 2003 al fine di abbattere l’Iva di oltre due milioni di euro
PAOLO NENCIONI

PRATO. Antonio Rosati, presidente del consiglio di amministrazione della Sasch, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di aver usato fatture per operazioni inesistenti al fine di evadere l’Iva che l’azienda avrebbe dovuto pagare negli anni fiscali 2002 e 2003.
A dieci giorni dalle elezioni amministrative nelle quali Roberto Cenni, socio di riferimento della Sasch insieme alla moglie Elena Rosati, si è candidato col Pdl per la poltrona di sindaco, non si può non pensare alle conseguenze che questa notizia potrà avere sul risultato del voto.
Cenni non è indagato nel procedimento penale, ma era ovviamente a conoscenza di conti dell’azienda e condivide la linea seguita dal presidente del consiglio di amministrazione.
Conviene comunque stare ai fatti, che sono i seguenti (anche se non è stato facile ricostruirli, stante il riserbo delle parti in causa).
Tutto nasce da una verifica della guardia di finanza, che nei suoi periodici controlli decide di controllare i conti della Sasch (la sede legale è a Prato in via Fra’ Bartolomeo nello studio del commercialista Annibale Viscomi).
I finanzieri tornano a casa con un po’ di materiale e di lì a poco contestano all’azienda di aver usato fatture per operazioni inesistenti per abbattere l’Iva. L’evasione fiscale viene quantificata in oltre due milioni di euro e sarebbe relativa agli anni fiscali 2002 e 2003. In particolare si parla di fatture provenienti dall’area asiatica, Thailandia, Bangladesh e altri paesi della regione.
L’articolo 2 del decreto legislativo 74/2000, quello ora contestato ad Antonio Rosati, punisce chiunque utilizzi «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto. La pena varia da un anno e sei mesi a sei anni, a seconda dell’importo sottratto.
Ma la Sasch, di primo acchito, preferisce vedersela con l’Agenzia delle entrate (come ricorda anche lo stesso Cenni nell’articolo a fianco). Nell’estate del 2004, secondo quanto sostiene Cenni, i commercialisti della società trovano un accordo con l’Agenzia e viene chiusa una transazione per meno di 200.000 euro.
Il problema, per la Sasch e il suo amministratore, è che parallelamente al procedimento fiscale va avanti quello penale. Il fascicolo, coi tempi lenti della giustizia, fa il suo corso e finalmente, ieri, approda davanti al giudice dell’udienza preliminare Anna Liguori.
A difendere Antonio Rosati dovrebbe esserci l’avvocato fiorentino Gaetano Berni, che però ha fatto pervenire una nota in cui dice che non potrà essere presente per altri impegni (in gergo, legittimo impedimento). Ma il giudice decide che si può andare avanti comunque con l’avvocato mandato dallo studio Berni (cosa che manderà su tutte le furie la difesa) e dopo una veloce camera di consiglio l’imputato viene rinviato a giudizio.
Sarà il Tribunale a decidere se, come sostiene la Procura, sono state usate carte false per evadere l’Iva, oppure, come sostiene la difesa, era tutto in regola e si è trattato soltanto di una diversa interpretazione delle stesse carte.
Nel frattempo è ancora tutto da valutare l’impatto che potrà avere questa novità sulla campagna elettorale che è entrata nella sua fase più calda.

Secondo il patron dell’azienda si tratta di un equivoco
Il candidato: «Per me era una storia chiusa»

Di fronte a una cosa del genere, di questi tempi ci si aspetterebbe che il diretto interessato gridasse all’uso politico della giustizia o in alternativa alla “giustizia a orologeria”. Invece va dato atto a Roberto Cenni di non cedere a questo tipo di tentazioni. «Certo, è una cosa che non mi fa piacere alla vigilia delle elezioni» si limita a dire il candidato sindaco del Popolo della libertà.
«Per me quella era una storia chiusa - spiega Cenni - E’ vero, la Finanza ci ha fatto quel verbale, ma poi siamo andati all’Agenzia delle entrate e abbiamo fatto una transazione. Ero convinto che quell’atto chiudesse anche le eventuali pendenze penali, e invece non è andata così».
«Le dirò di più - aggiunge Cenni - In questo procedimento abbiamo rifiutato di patteggiare, come ci era stato proposto, perché siamo convinti delle nostre ragioni e contiamo di dimostrarle davanti ai giudici». Le ragioni, appunto. «C’è stata una diversa interpretazione - prova a spiegare il titolare della Sasch - Da una parte l’Agenzia delle entrate, alla quale abbiamo prodotto le bolle e tutta la documentazione, perché quelle non sono operazioni inesistenti. Dall’altra la Procura e la guardia di finanza, che hanno ritenuto che sia stato commesso un reato. Ripeto, io ero convinto che questa storia non sarebbe più saltata fuori dopo la transazione. Ne ho sentito riparlare nel 2008 quando ci sono arrivati dei fogli e abbiamo prodotto l’atto con l’Agenzia delle entrate».
L’amarezza c’è, non si può nascondere: «Quando un ufficio dello Stato ti dice di non preoccuparti, uno che deve fare? Comunque io sono tranquillo e vado avanti per la mia strada».
Avremmo voluto un commento anche da Antonio Rosati, rinviato a giudizio, ma il diretto interessato ieri non era raggiungibile.
P.N.

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