02/10/2008 fonte: Il Giornale di Vicenza
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Ma il sindaco si ribella: «Voteremo lo stesso»
L’ANNUNCIO IN PIAZZA. Davanti a 8 mila vicentini, la chiamata al referendum autogestito: si farà fuori dalle scuole
di Antonio Trentin
Venti minuti esatti di «non applaudite, lasciatemi ragionare», ma anche di parole ben piazzate e di silenzi messi al posto giusto per strappare abilmente proprio il battimani o per chiamare i fischi. Poi, quando la torre Bissara segna meno dieci alle undici, ecco il colpo di scena “in notturna”, dopo ore di tensione: Achille Variati - dal palchetto alzato alla bell’e meglio in piazza dei Signori per una manifestazione cresciuta sul tam-tam dei telefonini e delle e-mail - annuncia quello che il “popolo anti-base” aspettava. Domenica si voterà lo stesso, voglia o non voglia Roma.
«Un sindaco di tutti - dice nel microfono con l’ultima voce di una giornata iniziata nella capitale con i “sindaci dell’Irpef” e dell’autonomia - non può vedere la sua città imbavagliata.
Se non ci permettono di votare domenica dentro le nostre scuole, bene, allora voteremo davanti alle nostre scuole». E poi spiega: gazebi autogestiti al posto dei seggi, dalle 8 alle 21 come previsto, in 53 postazioni come 53 dovevano essere i punti di raccolta delle schede-voto, con tre scrutatori volontari in ogni banchetto per garantire la serietà e la correttezza anche nei confronti di chi tenterà sabotaggi. In pratica si ritorna al referendum autogestito ipotizzato un anno e mezzo fa, quando l’Amministrazione Hüllweck negava la possibilità di una consultazione ufficiale.
È finito così il “mercoledì nero” di Variati e del No Dal Molin: con la sconfitta istituzionale davanti ai magistrati del Consiglio di Stato e con la vittoria sentimentale sotto la Basilica. Il sindaco si è guadagnato selve di applausi da un pubblico numeroso come non si vedeva da decenni in Piazza. Le dirigenze dei comitati, associazioni, partiti e gruppi vari sono rimaste ancora a lungo davanti alla loggia del Capitaniato per concertare l’attività dei tre giorni che restano prima del referendum svolto in proprio.
«Quando una piazza si riempie - aveva detto all’inizio Variati - o è per una festa o è perché qualcosa non va. A Vicenza c’è qualcosa che non va». E poi giù con il riepilogo della vicenda-consultazione, con l’accusa che «a Roma qualcuno, qualcosa, ha tolto a tutti il diritto di parlare», con la lettura delle frasi-clou scritte dal Consiglio per cancellare il “via libera” dato dal Tar Veneto. Fino a quella clou, quella che dice che l’“auspicio” vicentino è irrealizzabile perché il venditore-governo non vuole cedere il Dal Molin al Comune.
«Ma io non ho nessun atto ufficiale del Demanio militare o di altri organi dello Stato che metta nero su bianco questa situazione» aveva replicato il sindaco: un rilievo formale - di fronte alla sostanzialità dei “niet” annunciati dal premier Berlusconi e dal ministro La Russa - che però gli ha consentito di lanciare il sospetto sulla natura politica e non tecnica della decisione del Consiglio.
«Per carità, la magistratura amministrativa è un organo indipendente... ma queste argomentazioni sono misere sul piano del diritto e miserabili sul piano della giustizia»: tanto da fargli intravvedere «un sospetto inquietante intorno al Consiglio di Stato».
Il resto del discorso è stato a base di critiche «alla scena raccapricciante di chi in piazza Montecitorio ha gioito alla notizia della bocciatura», di punzecchiature a Galan presidente della Regione (altro che Il Veneto sono io, come titola il suo libro: «Non rappresenta né il cuore né gli interessi dei veneti») e alla Lega («ha professato per tanto tempo l’autonomia, speravo fosse qui con noi, invece ha giurato a Pontida e tradito a Vicenza»).
Poi la definizione finale su ciò che sarà la domenica referendaria: «Questa non è una sfida allo Stato, questa è democrazia».
Guardate il video della manifestazione:
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